7.1

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

La guerriera entrò nel passaggio che da tempo sapeva essere destinato solo a lei e a pochi altri; il luogo della responsabilità, il luogo delle decisioni, il luogo del potere. Quella era l'Oikìa.

«Oh, Genew, bentornata». Non fece in tempo ad abituarsi alla penombra presente e a volgere uno sguardo veloce al circolo che ben conosceva, che subito la voce di suo padre, calda, pacata e sempre serena, la raggiunse.
«Com'è andata la spedizione?» aggiunse immediatamente un'altra, riportando la mente della giovane al mese e mezzo appena trascorso, passato sulle montagne, a cercare di dialogare con i popoli autoctoni perché condividessero alcune informazioni. Come se il dialogo potesse servire. Lo dicevano, gli Anziani, che era tutta fatica sprecata.

In due passi si trovò anche lei nel circolo e si sedette sulla sua pelle di giaguaro, riposando per la prima volta le membra dopo tanto tempo. Non osava alzare gli occhi sui presenti, non voleva che vedessero al loro interno la sua sconfitta. Non voleva che la vedesse suo padre.

«Solito» rispose all'Anziana che aveva parlato, probabilmente sua zia Mara, mantenendo un tono di riguardo: con loro non poteva certo tenere il comportamento irrisorio che aveva mostrato nei confronti di suo fratello. Tutti coloro che si trovavano lì erano o erano stati valorosi combattenti, che avevano sacrificato tanto per Tou Gheneiou. Non potevano non essere rispettati. «Le solite tracce che non portano mai da nessuna parte» continuò, senza nascondere lo sconforto che l'affliggeva. «Abbiamo viaggiato per un ciclo lunare e mezzo, ispezionando ogni singolo luogo delle montagne a est delle foreste, come avevamo stabilito. Per una volta pensavamo che la profezia della pietra potesse portare a qualcosa...»

"Non dimenticate il solco nell'argentea pietra scolpito dall'alba". E invece ancora niente. Neanche lo straccio di un indizio per arrivare al tesoro. Come sempre.

Un attimo di silenzio calò tra gli uomini e le donne seduti circolarmente ai loro posti. Non era mai facile accettare le sconfitte, benché da secoli non facessero altro che subirle.

«Saranno altre montagne. La Squadra di Ricerca deve solo cercare ancora» sentenziò alla fine Eracle, uno dei più speranzosi e positivi.
«E se fosse qualcos'altro?» obiettò l'anzianissima Vinsenes.
«Tanto seguire questa profezia è sempre stato fallimentare» tagliò corto la zia Pako, esibendosi in una smorfia rivolta al fratello, il nonno della giovane Genew. «E ha portato tante morti. Lo sai bene anche tu, Pitone, vero? Del resto finché hai potuto non hai mai smesso di provare a decifrarla».

Il vecchio storse il naso, sentendosi chiamato in causa: quando tanto tempo prima era stato lui uno dei più influenti guerrieri del clan, non aveva fatto altro che insistere su quella profezia, perdendo solo del tempo, a detta di molti.

«Sempre meglio che quella di Mortino, con cui vi ostinate voi: la fiamma immortal sulle mortifere palme lo tiene» citò a memoria, scuotendo la testa. «È riuscita a causare molte più morti che l'ira di un dio». Del resto, come sarebbe potuto essere diversamente? Era risaputo che le battaglie contro i Mortinou fossero dei laghi di sangue.

«Sono queste le profezie che abbiamo, insieme ad altre dieci che non sembrano molto più comprensibili» replicò un'altra Anziana ancora. «Se solo potessimo ancora andare a combattere come un tempo, forse riusciremmo a carpire informazioni agli altri clan».

«Non insistere, Leda». La voce di suo padre, rimasta silente dopo averla salutata al suo arrivo, giunse chiara e severa alle orecchie di tutti. «Ne abbiamo già parlato».

Gli Anziani non poterono che ammutolire: quella era la sua decisione, per quanto stesse stretta a molti di loro, che avevano visto Tou Gheneiou brillare di gloria con i Genew precedenti. Ma lui detestava combattere e non li avrebbe mai accontentati.

Subito l'austerità che aveva animato il tono dell'uomo scomparve, lasciando il posto alla solita quieta tranquillità: «Discutere del tesoro non porta a niente e invece ci sono altre questioni da sbrigare: dopo vado a dare una mano ai costruttori, che stanno trasportando della legna per costruire un nuovo magazzino. Vorrei finire di parlare. Abbiamo già deciso come dividere il cibo di oggi, non ci resta che-».

«Scusami se ti interrompo, padre, ma c'è una cosa che mi preme sapere» disse Genew, abbassando un poco gli occhi in segno di rispetto non appena incontrò quelli del capo del clan: per quanto non fosse d'accordo con alcune sue idee, era ugualmente convinta che fosse uno degli uomini più saggi di Tou Gheneiou. E poi era tradizione che tutti tenessero un reverenziale rispetto nei confronti dell'anax o dell'anaxa di quel momento e le tradizioni non devono essere interrotte.

Non si sarebbe mai sognata di interromperlo durante un discorso, ma un altro pensiero l'aveva assalita: «Giungendo al clan ho incontrato mio fratello accompagnato da un tizio che non avevo mai visto... Non sarà un...»
«Invece sì, un neoteros» completò con disprezzo Pako.
«Un altro?!» esclamò la guerriera, alzando gli occhi sul padre, ma preceduta dal nonno.

«Fosse solo lui» sentenziò con lo stesso tono della sorella, iniziando a spiegare ciò che era accaduto durante l'assenza della giovane. «Due giorni fa è uscito dai territori con i Guerrieri rimasti al clan, senza dare molte spiegazioni, ed è tornato con questi sei giovani, così nuovi sull'isola che portano ancora i vestiti dell'Exo».

«Altri, padre? Ma quanti neoteroi hai intenzione di prendere ancora?» sbottò, non riuscendo a contenere l'irritazione che in un attimo l'aveva infiammata; era consapevole che non poteva comportarsi così, ma in quel momento la sua mente visualizzava solo i neoteroi. Altri neoteroi...
«Da come ne parli sembra che di questi tempi non siano arrivati altri che neoteroi» ribatté suo padre, senza scomporsi. «In realtà è da quando, ventun anni fa, giunse tua madre che non ne accogliamo di nuovi».

«Ed è stato abbastanza...» sussurrò la guerriera, pensando di non essere stata sentita, ma venendo invece subito rimproverata dall'uomo al suo fianco.
«Genew» disse soltanto, non alzando nemmeno la voce, ma fu abbastanza per farle abbassare di nuovo lo sguardo.
«Scusami, padre» mormorò, continuando a parlare. «Spero almeno che per ospitare questi ci sia un motivo buono, oltre a quelli che riesci a vedere soltanto tu».

"I neoteroi sono saggi, hanno una mente diversa da noi". Quante volte gli aveva sentito dire questo e altre affermazioni simili... Ma il suo pensiero era solo stato annebbiato dall'amore per quell'arpia di sua moglie! Nessuno era riuscito a distoglierlo, da allora, e quando parlava di questo era come se fosse impazzito, come se la sua risaputa sapienza venisse momentaneamente meno.

Suo padre alzò di nuovo gli occhi al cielo: «Parli così solo perché li temi».
«Certo che li temo! I nemici non aspettano altro che trovare dei neoteroi che diventino le loro spie». Ma perché lui non riusciva ad aprire gli occhi?
«Dovresti ascoltare le parole di tua figlia, anax» la appoggiò la zia Mara, sorridendole complice.
«I neoteroi traditori...» ripeté il capo, come se quella fosse la sentenza più insulsa mai pronunciata. «Solo perché ne capitò uno da quando Tou Gheneiou è nato, non significa che siano tutti così».

«Uno solo, vero, e io ricordo come fosse ieri cosa successe tre Genew addietro, anax» disse Pako, marcando particolarmente l'ultima parola, quasi volesse richiamarlo ai suoi doveri di capo. «Tu, piuttosto, lo ricordi? O non aver visto quella tragedia non la rende abbastanza viva nella tua mente» proseguì, calcando ancora di più le parole. Un'espressione rancorosa si era impossessata di lei. «Ero solo una ragazzina ma questi occhi - sì, sì, proprio questi! - videro Tou Gheneiou rischiare di scomparire!» Il ricordo di quei momenti terribili si impossessò di lei: la bocca si muoveva in modo confuso, gli occhi fissavano un punto preciso; probabilmente stavano scorrendo le immagini dei cadaveri trasportati per gli onori funebri nelle basse mangrovie, decenni prima.

«Quel gruppo di neoteroi, quel maledetto gruppo di neoteroi!» Ormai delirava. «Era esattamente come Tou Melitos - sì, è questo il loro insulso nome! Ma le maghe non avevano acconsentito alla transizione... Dieci anni, dieci anni erano stati con noi... E poi... Uno di quelli, quel bastardo, Yehudah! "I Guerrieri di Tou Gheneiou passeranno dal vostro bosco domani quando il sole sarà alto nel cielo". Questo deve aver detto ai Mortinou! E così sono morti, tutti quanti, tutti i nostri Guerrieri! E Tou Gheneiou sarebbe morto a sua volta, sarebbe morto! Ed è stata solo colpa dei neoteroi

Le mani immerse nei capelli bianchi erano prossime a staccarli dalla testa, che non smetteva più di muoversi in modo convulso, imprigionata nella memoria, ma Pitone la bloccò prima che peggiorasse ancora. «Il nostro clan quella volta aveva rischiato di scomparire, è vero, Pako. Ci avevano reso deboli, poi l'anax successivo inglobò altri neoteroi, facendoli diventare davvero dei Gheneiou e respingendo chi non poteva: così ci salvammo e ora il nostro clan prospera». Così dicendo, posò la mano sul capo della sorella e quella tornò quieta in un attimo. «Ma avremmo potuto risparmiarci tutto questo, se quei neoteroi fossero rimasti dove dovevano stare: lontano da noi».

Cenni di consenso arrivarono da tutti gli Anziani e anche la giovane Genew annuì, pur restando in silenzio.
«E cosa vi fa dire, padre, zia, che questi neoteroi non diverranno Gheneiou?» ribatté il capo. «Non sono ancora tornato dalle maghe - devo aspettare due lune. Allora avverrà la transizione».
«E nel mentre?» fece ancora la zia, ormai tornata in sé. «Chi ti assicura che non combineranno qualcosa?»
«Pako, due lune non è molto» si aggiunse Paula, infastidendo Genew: degli Anziani lei era l'unica d'accordo con suo padre, dunque una minoranza, ma avrebbe dovuto sapere che l'unico che poteva avere un'idea diversa dagli altri e portarla avanti era l'anax. E certamente non un'Anziana come lei, che non si era nemmeno distinta tra i Guerrieri durante la giovinezza.

Troncò immeditamante il suo discorso, provando a concludere quel dibattito: «Padre, se posso esprimere il mio parere, considerando tutto ciò che è stato detto, non vedo la necessità di tenerli con noi».
Il capo restava in silenzio, forse a riflettere sulle parole della figlia, cosa che riempì di euforia l'animo della giovane, che già si vedeva insieme ai suoi compagni durante la notte a riportare i neoteroi addormentati dove erano stati trovati.

«Se non fosse che c'è una profezia» asserì infine il capo, facendo scoppiare gli Anziani.
«Oh, ancora con questa profezia!»
«Io ho già detto che non mi convince».
«Ci manderanno alla malora e basta!»
«Profezia? Di cosa state parlando?» si espresse Genew, confusa: cosa si era persa durante la spedizione?
«Vedi, figlia,» iniziò il padre, in procinto di fornirle una spiegazione che le avrebbe tolto ogni dubbio, «mentre eri sulle montagne mi sono recato dalle maghe. Non sono andato con i Guerrieri rimasti a salvare Tou Melitos casualmente».

~

L'oikarion della famiglia di Genew era più spazioso di quello in cui erano stati sistemati i neoteroi e al suo interno, oltre a cinque giacigli formati da foglie e ricoperti da coperte che sembravano di lino, si trovavano diversi oggetti interessanti. Mijime, non sapendo che altro fare, continuava a guardarsi intorno in cerca di nuovi utensili ignoti, anche se Anita aveva ormai soddisfatto le sue domande in merito a tutti gli oggetti presenti.

Le sacche sparse al centro del pavimento, gli aveva spiegato, erano di un tessuto ricavato da una bestia dal nome strano che presentava un singolare manto ignifugo, e servivano per cuocere la carne e il pesce in un particolare processo: poste al loro interno delle pietre ardenti, le sacche venivano immerse dentro a una pentola piena d'acqua, così da scaldarla fino a creare del vapore, e sopra a questa venivano fatti cuocere i pezzi di carne e di pesce infilati dentro a bastoncini.

Poi aveva notato svariati vasi ordinati dal più grande a quello di dimensioni minori, ognuno con una forma diversa in base alla funzione: quelli alti e stretti contenevano l'acqua, perché erano i più leggeri da trasportare fino alle fonti ai piedi del mangrovieto, quelli più larghi i vari cibi e quelli più piccoli le erbe che usava lei.

Le due bacinelle di terracotta sempre rifornite di acqua di fianco ai giacigli erano invece delle specie di acquai, dove i membri della famiglia avevano la possibilità di lavarsi i denti dopo aver mangiato e le parti del corpo che ne avevano bisogno prima di andare a coricarsi o prima delle occasioni importanti.

Gli occhi di Mijime cercavano qualche altro elemento che potesse attirare la sua attenzione per passarsi il tempo, mentre Anita lavorava silenziosa pestando alcune erbe in un mortaio di pietra fino a renderle una poltiglia cremosa. Il giovane non aveva badato tanto al processo, distraendosi in continuazione dalle spiegazioni offertegli dalla donna, prima sull'organizzazione del clan, finendo poi a parlare di cose di poco conto come gli utensili domestici.

In realtà molte domande ancora giravano nella sua testa, ma temeva che potessero infastidire la donna: se prima infatti, mentre erano ancora sulla piattaforma insieme a tutti, aveva mantenuto un'aria serena, seppur non euforica come quella dei figli, quella precaria quiete era scomparsa una volta che si erano trovati soli, lasciando spazio a una turbolenta malinconia che si leggeva chiara nei suoi occhi.

«Forse Genew avrebbe dovuto affidarti a uno dei nostri figli» sospirò a un tratto, facendo voltare Mijime verso di lei. Continuava a tenere la testa bassa, concentrata solo sul mortaio. «Come vedi, qui non puoi fare molto e, ora che ti ho parlato di tutto quello che c'è da dire, dovrai annoiarti».
«Oh, non c'è problema» fece l'altro, con il suo tono affabile. «So anche stare con le mani in mano, per quanto mi riguarda. Non voglio però essere un peso...»
«No, affatto, non stai facendo nulla».

Mijime ridacchiò a quella frase, cogliendo la stessa frecciatina sarcastica che avrebbe potuto indirizzare lui a Em o a Spiro. Sentiva di essere simile a quella donna, e questo lo attirava sempre di più: non resisté ad andare sull'argomento che lo incuriosiva maggiormente.

«Questa che stai preparando è la stessa pozione che Genew ci ha portato ieri, vero?» chiese, tanto per andare sull'argomento della magia.
«Sì, è la stessa».
«Cosa fa di preciso?»
«Interrompe le emorragie, grandi o piccole che siano, e procura sollievo sui colpi incassati».
«Interessante» si complimentò, senza dover fingere la sua approvazione: quella lozione si sarebbe rivelata salvifica anche per lui, qualora ne avesse avuto bisogno.

Ma Anita non sembrava dello stesso avviso: «Non guarisce dalle ferite mortali» disse, sollevando gli occhi in uno sguardo piuttosto tetro.
«È già qualcosa che guarisca quelle più superficiali».
«Non capiresti» sbuffò alla fine, tagliando corto.

Chissà cosa la turbava... Una persona qualsiasi sarebbe stata ben contenta di avere un potere simile, invece lei lo giudicava poco: esistevano allora maghi con abilità ancora più straordinarie?
«Non sei una delle maghe, vero?» constatò Mijime, facendo inaspettatamente scoppiare a ridere l'interlocutrice.
«L'avete anche creduto? Io? Una delle maghe?» chiese, scuotendo la testa mentre si ricomponeva.
«Non lo so, magari...» provò a giustificarsi il giovane, ma troncato dalla donna.

«Allora non avete sentito parlare davvero di Arla e Silva, le due maghe che vivono qui da più tempo di chiunque altro mortale, a detta di molti. Loro sì che hanno poteri che possono essere definiti tali, non come i miei. Io sono solo una fattucchiera, il cui potere è solo trovare queste erbe magiche e saperle unire: se chiunque altro le mischiasse come sto facendo io ora, non produrrebbe nulla». Si alzò in piedi, andando a prendere cinque vasetti. «Così, oltre a quella che sto preparando adesso, so fare un decotto che rende i sonni tranquilli, un filtro che allevia dolori interni e non visibili...» Man mano che li elencava li passava a Mijime, eseguendo il passaggio come se fossero oggetti di nessun conto. «Cose simili, nulla di speciale».

«Come sarebbe a dire nulla di speciale?» scattò quasi l'altro, ma senza uscire dalla morigeratezza. «Io farei la firma per avere pozioni di questo tipo».
Quella sorrise beffarda, per poi tornare immediatamente seria: «Finché non farò spuntare arti mancanti o guarirò qualcuno caduto dalle cime delle mangrovie, non penso riceverò ammirazione o almeno gratitudine dagli altri del clan».

Quell'affermazione colpì Mijime, che provò a ripercorrerla nella sua testa, pensando di non aver capito bene quando la donna l'aveva pronunciata. Invece aveva sentito giusto. Ma perché non dovevano apprezzarla? Una figura come Anita, una sorta di curatrice, in qualsiasi popolazione antica era logico che fosse quanto meno rispettata.

Vedendo la sua espressione disorientata, Anita proseguì: «Noi neoteroi non abbiamo vita facile, qui sull'isola»
«Anche tu sei-».
«Una neotera? Sì, proprio come te e come i tuoi compagni».

Si sedette di nuovo, riprendendo a lavorare e iniziando intanto il suo racconto: «Avevo una vita bellissima, prima, avevo... tutto ciò che potevo desiderare. E poi sono capitata su quest'isola, questa prigione, che ha dato il via alle mie sventure: arrivati qui in un gruppo di otto o nove iniziammo a girovagare, come suppongo abbiate fatto anche voi, e finimmo nei territori dei Mortinou, che vedendoci decisero di divertirsi un po'. Uccisero tutti gli altri del mio clan, gli unici affetti dell'Exo che mi fossero rimasti, ma risparmiarono me. Da giovane ero bella e, insomma...» si interruppe bruscamente, sul suo viso era comparsa una smorfia di disgusto. «Bah, penso tu possa arrivarci. Ma non fecero in tempo a farmi nulla: Genew, allora un giovane Guerriero sveglio e coraggioso, mi salvò. Era il tempo delle battaglie contro i Mortinou e capitava di lì per caso, ma quando mi vide legata a un carro e imbavagliata - mi stavano conducendo a un villaggio vicino - pur non conoscendomi, pur sapendo di rischiare la sua stessa vita, non esitò a combattere contro i miei aguzzini e a portarmi via». Un'espressione quasi sognante si era fatta strada tra le varie emozioni che si susseguivano. Sorrise sinceramente. «Pazzo. Mi portò al suo clan, ma fu subito evidente che non fossi tanto amata: ero una neotera, per di più piuttosto inutile - ero e sono tutt'ora una frana sulle liane - e non ero diventata una Gheneiou. Genew mi portò dalle maghe perché mi facessero passare da un clan all'altro, ma non acconsentirono alla transizione. Così diventai una potenziale traditrice».

«E perché?»
«I membri di uno stesso clan devono rispettare delle regole, imposte dagli dei dell'isola, che quindi non possono trasgredire: non possono uccidere o tradire nessun compagno. Pena: l'ira degli dei, sul proprio capo e su quello della propria discendenza. Ma a un neoteros che vive semplicemente nel clan chi lo impedisce?» chiese retorica, guardando Mijime con i suoi occhi celesti e assumendo un'espressione che mostrava l'ovvietà di ciò che diceva.

«E perché non potesti entrare?»
«Quando un nuovo gruppo approda sull'isola, le maghe scrivono sopra a una tavoletta di terracotta i nomi dei componenti: a volte li incidono uno sopra l'altro, come in un elenco, mentre ogni tanto li pongono in modo circolare. In quest'ultimo caso significa che il clan in questione non può essere inglobato all'interno di altri o, viceversa, prendere al suo interno nuovi membri. È raro far parte di un clan del genere, eppure il mio era proprio così».

Mijime era abbastanza confuso: «Che senso ha?»
«Come la maggior parte delle cose che fanno gli esseri immortali dell'isola, non ha un senso: serve solo a rendere più interessanti le vicende degli umani. Noi tutti non siamo altro che divertenti e insignificanti esserini che si arrovellano per cercare un tesoro che sanno già in partenza che non troveranno mai: a Tou Gheneiou esiste un gruppo di Guerrieri chiamato Squadra di Ricerca e formato dai migliori, più forti, intelligenti, valorosi giovani del clan» pronunciò con solennità, probabilmente imitando i Gheneiou. «Ma siamo ancora qui. Siamo soltanto un loro intrattenimento. Vedere anche solo che cerchiamo di capire perché si comportino in certi modi, come le maghe nel nostro caso, è estremamente divertente per loro».

A Mijime venne un sorriso amaro ripensando che era esattamente ciò che aveva sempre pensato lui quando viveva ancora nell'Exo. Ma scomparve in fretta: il futuro si faceva più oscuro a ogni parola, purtroppo veritiera, pronunciata da Anita. La speranza di tornare nell'Exo iniziava a sbiadire nella sua mente.
«E cosa ci garantisce che i nostri nomi sono in un elenco o meno?»
«Nulla».

Mijime si morse un labbro, improvvisamente nervoso: «E se non dovessimo diventare dei Gheneiou
«Non lo so. Io sono rimasta solo perché, quando fu scoperto che non potevo entrare, ero già incinta di Genew: non potevano più mandarmi via. Per voi... Non so, potrebbe accadere di tutto».

Accadere di tutto. Magari si sarebbero rivelati davvero utili e li avrebbero accettati comunque. Magari avrebbero assunto comportamenti sbagliati, commesso errori o fatto qualsiasi cosa che avrebbe provocato il loro odio. Ma era inutile fasciarsi la testa: magari erano un clan normalissimo e sarebbero diventati dei Gheneiou. Fino ad allora, in quel periodo di incertezza, nessuno avrebbe potuto dire qualcosa contro di loro. Ma era meglio sbrigarsi: avrebbe parlato con Genew non appena ne avesse avuto l'occasione.

«Vabbè, ma l'unica cosa che fanno gli altri Gheneiou è non portare rispetto al tuo potere, no?» chiese, più per tranquillizzare se stesso che altro: non poteva precludersi totalmente la possibilità di non entrare nel clan. Se fosse stata solo un'intolleranza nei loro confronti non sarebbe stato nulla di insopportabile...

Anita ignorò la domanda, gettando il giovane ancor più nello sconforto: cosa poteva mai accaderle di tanto atroce che non voleva nemmeno parlarne?
Fece invece come se non ne avessero mai parlato e riprese a raccontare: «Così diventai una maga. Volevo rendermi utile, far capire che, pur non essendolo formalmente, ero parte del clan. Del resto è così che mi sono sempre sentita, dopo essere stata abbracciata dall'accoglienza di Genew e di qualche altra buon'anima - se devo essere sincera, infatti, non tutti sono chiusi nei miei confronti, ma non sono né tanti né influenti nel clan. L'unica cosa che potevo fare, da neotera, era diventare maga, ottenendo i poteri magici da Robero, il daimon della roccia. È l'unico modo possibile per diventare maghi, che io sappia, ma è possibile solo per i neoteroi. Genew credeva molto in me, lo ha sempre fatto, e pensava che sarei diventata una grande maga, persino che sarei riuscita a dare una svolta con la mia magia alla ricerca del tesoro. Non accadde nulla di tutto ciò. Tutto quello che riesco a fare è curare delle ferite superficiali. Ma i Gheneiou pensano che io sappia fare molto di più e nasconda i miei poteri. Non ho mai capito perché dovrei farlo, ma fa lo stesso. Quando durante l'ultima battaglia contro Mortino, diciassette anni fa, la precedente Genew morì trafitta da una lancia, io fui accusata di aver dato loro una lozione più debole perché al potere potesse salire mio marito, a detta di alcuni; a detta di altri, perché ero in combutta con Mortino. Da allora fui odiata da praticamente tutti, tranne Genew e i miei figli: tutto ciò che ho e che riesco ancora ad amare. Bene, questa è la mia storia». Anita appoggiò il mortaio e Mijime vide che aveva terminato il suo lavoro. Ora lo stava fissando, irrisoria. «La tua sete di conoscenza è stata soddisfatta o c'è dell'altro?»

Mijime rimase in silenzio, impietrito dal suo sguardo. Difficilmente si sentiva a disagio in situazioni simili, ma in quel momento si vedeva riflesso in lei, come se Anita fosse lo specchio di come lui sarebbe diventato in futuro: triste, solo, sconfortato, senza più alcunché da raggiungere, e detestato dalle persone vicine. E questo nella prospettiva migliore; la peggiore neanche la voleva immaginare. E sarebbe rimasto arenato in quella stupida isola, magari ci sarebbe anche morto...
"No, troverò quel tesoro, non diventerò l'ultimo dei miserabili in questo clan di dannati. Troverò quel tesoro, fosse l'ultima cosa che faccio".

«So che c'è dell'altro» continuò Anita. «Avanti, chiedimi». I suoi occhi, adesso supplicanti, puntarono quelli scuri del giovane, che capì che era lei stessa a volergli raccontare la sua storia: chissà da quanto tempo teneva tutto dentro... Decise di accontentarla.

«Ti manca l'Exo
«No. Mi sono rassegnata all'idea di essere stata data per morta. Poi qui sull'isola ho la mia famiglia, e posso anche sopportare l'odio che gli altri Gheneiou mi riversano addosso. Vorrei che almeno loro potessero vederlo, il mondo vero, assaporare la libertà che gli è stata preclusa alla nascita, invece che vivere su una terra in cui non è possibile nemmeno scegliere il nome dei propri figli - sì, hai capito bene: sono le maghe che lo stabiliscono. Tutto è stabilito. Dall'altra parte però sono felice che non lo vedranno mai: fatico a credere che potrebbero essere trattati diversamente da me qui. Il luogo cambia, ma l'animo umano no: la maggior parte degli uomini faticherà sempre ad accettare incondizionatamente il diverso. È la triste realtà».

Mentre Mijime considerava i pensieri di Anita, un rumore sorprese i due alle loro spalle.
«Dio mio!» esclamò Em, sfinita, buttandosi sul pavimento. «Che fatica seguire questo ragazzino».
Dalla botola fece poi irruzione Hermit, che corse incontro alla madre, iniziando a saltellarle intorno.

«Mamma! Mamma!» esclamò con la sua inestinguibile allegria. «Mi sono divertito tantissimo! Lo sai che i neoteroi sono davvero simpatici? A un certo punto io, Iulius, Rose e Sofia ci siamo trovati nello stesso punto insieme ai neoteroi e, siccome avevamo già finito tutti di fare le cose, io e Morag abbiamo fatto una gara di tiro con l'arco con tanto di posta in gioco. Tu sapevi cos'era?»

«Certo, e cos'avete scommesso?» lo esortò a proseguire la donna, sul cui volto era tornato un grande sorriso.
«I vincitori avrebbero scelto il gioco del pomeriggio» continuò a raccontare tutto orgoglioso il bambino. «Ovviamente ho vinto io, quindi oggi pomeriggio giocheremo a Cacciatori e giaguari

«Non ti conviene fare il fenomeno: aspetta che Morag impari a usare l'arco come si deve e ti darà filo da torcere» disse, falsamente provocatoria.
«Intanto deve imparare e poi io sono bravissimo!» ribadì Hermit, quasi offeso.
«Lo so, ma sai che mi piace prenderti in giro» concluse la madre, traendolo verso di sé e stringendolo forte.

Hermit si dimenò subito e in un batter d'occhio sgusciò via dall'abbraccio.
«Comunque,» cambiò argomento, mentre il suo volto era diventato bordeaux, «Iulius è già andato a prendere all'Oikìa la nostra razione per il pranzo e l'ha portata di sotto insieme alla frutta. Indovina cosa c'è! Indovina cosa c'è!»
«Mmm... Direi pesce?»
«Esatto!» esclamò il piccolo, battendo le mani. «Finalmente, poi. Era da quattro giorni che non capitava il pesce!»
«Perfetto, allora vado a prenderlo e mi metto subito a cucinare» annuì Anita, alzandosi in piedi e andando a riporre i vasi che aveva utilizzato.

«Noi possiamo tornare a giocare ancora un pochino, vero?» Hermit non se n'era ancora andato e aveva iniziato a fissare la madre, mettendo in atto la micidiale tecnica degli occhi dolci: Mijime doveva ammettere che in questo era un vero maestro.
«Avrai tempo per farlo tutto il pomeriggio: per oggi il papà non vi ha dato altri compiti» ribatté Anita.

«Ma neanche se stiamo qui vicino? Ti prego». Il piccolo sgranò di più gli occhioni, piegò la testa da un lato e fece sporgere il labbro inferiore, continuando a fissare la madre finché non gliela diede vinta: «Oh, e va bene. Ma appena vi chiamo per mangiare tornate subito, intesi?»
«Signorsì, signore!» esclamò il bambino, eseguendo un perfetto saluto militare che fece sorridere Anita.
«E questo chi te l'ha insegnato?»
«Spiro, però siccome non lo sapeva spiegare l'ha spiegato Bellatrix. Adesso vado». Così dicendo la abbracciò, per poi scuotere la manina anche in direzione di Mijime e infine tornare da Em. «Ehi, tu! Non pensare di riposarti!» Afferrò la mano di Em e, senza badare al fatto che la sua compagna fosse ancora sdraiata sul pavimento, la trascinò giù dalla botola.

«E per oggi abbiamo finito. Vai pure, ti ho annoiato abbastanza». La voce di Anita tornò a essere l'unico rumore all'interno dell'oikarion. Aveva riordinato tutto in pochi istanti e si stava già dirigendo verso la botola. «Scusa lo sfogo, ma mi hai dato il la e non sono riuscita a trattenermi».
«Perché non ne parli con tuo marito?»
Anita scosse vigorosamente il capo: «Ha già abbastanza pensieri».
«Ma se tu non stai bene...»
«Non importa: mi basta che lui e i miei bambini siano felici» sorrise appena, confortata dal pensiero della sua famiglia. «Questo renderà felice anche me. Tu, piuttosto,» disse a un tratto, come se avesse dimenticato un'importante informazione, «dovresti lasciar uscire i problemi che ti affliggono».
«Come posso non averne dopo i bei pronostici che mi hai fatto?»
«Eri pensieroso anche appena arrivato qui».

Mijime la guardò dubbioso: cosa aveva notato? E dire che non lasciava mai trapelare nulla di ciò che pensava, mantenendo invece sempre la sua immutabile espressione sarcastica che aveva imparato bene a usare in ogni occasione. Eppure Anita aveva visto oltre. Che l'isola lo stesse facendo vacillare a tal punto?

«Sai nascondere particolarmente bene le tue preoccupazioni, se è questo che ti turba adesso» continuò lei, indovinando le idee del giovane. «Però siamo due spiriti affini e, come tu hai colto il mio malessere, io colgo il tuo».
«Sono abituato e non m'importa più di tanto» disse infine lapidario, per troncare la conversazione: era già durata troppo.
Anita alzò le spalle: «Se lo dici tu».

~

Spazio autrici:
Ma sciao! Eccoci qua con un capitolo che pone un bel problema ai nostri eroi... Oltre al tesoro che sembra sempre più introvabile, anche la loro stessa sopravvivenza potrebbe essere compromessa: ma sono davvero così terribili i Gheneiou nei confronti dei neoteroi? E che profezia avrà mai trovato Genew per decidere di tenerli nel clan? Lo scoprirete. Ma soprattutto, secondo voi le ragioni dei Gheneiou sono sensate o dovrebbero essere più tranquilli bei confronti dei neoteroi? Intanto, che ne pensate dei due personaggi che abbiamo conosciuto un po' più approfonditamente oggi: la giovane Genew (che per semplificare, tra noi la chiameremo Genew f: certo che le maghe potevano essere un po' più originali...) e Anita. E quali mai potrebbero essere invece i pensieri del nostro Mijime, che è riuscita a notare soltanto Anita? Ogni dubbio sarà presto o tardi chiarito: non vi resta che rimanere connessi su "Il mare dell'eternità"!
A presto, con un capitolo che torna a essere solare, come gli animi degli euforici figli di Genew ;)
~🐼🐢

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro