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«Per farla breve, è stato bellissimo e un giorno vi porteremo con noi alle fonti» concluse soddisfatta Sofia, terminato il racconto della giornata trascorsa insieme a Hermit e il padre: come aveva promesso, poco dopo essere tornato dal suo viaggio aveva portato i figlioletti a esplorare un luogo vicino a uno dei clan più prossimi, Tes Gheisas, dove scaturiva la fonte che creava il fiume serpeggiante sotto la loro foresta.

Morag aveva ascoltato il loro discorso, come anche gli altri neoteroi, continuando a riposarsi sopra gli imponenti rami delle mangrovie carezzati dal sole del pomeriggio. Come ogni giorno, dopo la mattina occupata a svolgere i vari lavoretti insieme ai ragazzi, l'ormai inseparabile combriccola si era recata sulle cime più alte della foresta a rilassare il corpo e la mente. All'appello mancavano solo Germanico e Kairos, che invece lavoravano anche durante la seconda parte della giornata.

«Quando sarete diventati un po' più bravi a spostarvi...» aggiunse Hermit. Morag, sdraiato di schiena, sentì un leggero movimento provenire dalla posizione dei due più piccoli e presto si ritrovò il bambino accoccolato di fianco a lui: già da quando erano appena giunti a Tou Gheneiou erano diventati la massima attrazione dei ragazzi, ma la loro ammirazione era andata crescendo con il passare del tempo. Non sembrava fossero trascorse solo tre settimane dal loro arrivo, tanto gli uni erano legati agli altri; almeno, così era come la vedeva Morag, che quasi li considerava i fratellini che non aveva mai avuto. Avvicinò una mano alla testa di Hermit e gli tirò scherzosamente una ciocca di capelli.

Prima che quello protestasse, Iulius si inserì tempestivamente nella conversazione. «A proposito, è da un po' che non ve lo chiediamo: come vi siete trovati a muovervi sulle liane in questi ultimi cinque giorni?» Era uso che i ragazzi - e soprattutto il coscienzioso quartogenito - chiedessero ai giovani di giorno in giorno un parere su come proseguisse il loro addestramento per vivere nella foresta.

«Male» borbottò subito Em, seguita dalle solite risatine dovute al suo abituale comportamento: i ragazzini lo trovavano divertente e anche i neoteroi dovevano ammettere che a lungo andare risultava buffo - sebbene le intenzioni della giovane fossero ben lontane dall'essere la protagonista di ogni scena comica.

Tuttavia era già ben diversa rispetto ai tempi dell'approdo sull'isola: ricordava bene come i primissimi giorni fossero stati un vero trauma per la giovane aristocratica, che adesso invece, per quanto non la smettesse mai di lamentarsi, era spesso tranquilla e a suo agio; con gli altri si mostrava sempre sostenuta, ma talvolta la beccava mentre rideva al comportamento di Rose e di Spiro, oppure sorrideva teneramente quando Hermit e Sofia si avvicinavano a lei per rubarle un abbraccio.

In lei doveva essersi manifestato lo stesso fenomeno che aveva colpito lui: improvvisamente, da quando era arrivato a Tou Gheneiou, si era sentito leggero e libero da altri turbamenti e quella sensazione non aveva fatto altro che amplificarsi nel corso della loro permanenza. I pensieri sembravano un ricordo lontano.

Anche gli altri suoi compagni ne erano stati influenzati: Spiro aveva assimilato da subito lo stesso clima, che in realtà non era poi così diverso dalla sua filosofia di vita, e Germanico, dopo qualche giorno, aveva iniziato a ingranare, sebbene il compito che Genew gli aveva assegnato, cioè quello di prepararsi per diventare un Cacciatore iniziando il Percorso, fosse ancora per lui motivo di turbamento.

Persino a Bellatrix doveva essere accaduto qualcosa di analogo, benché il processo avesse trovato un terreno molto più arido per maturare: all'inizio Morag aveva continuato a vederla inquieta, sempre a farsi domande e a porle anche ai ragazzi - tanto da essersi meritata il soprannome di Curiosa. Ma, da qualche tempo, sembrava avesse ceduto anche lei e sul suo viso era sempre dipinto un sorriso sereno, che scompariva solo quando Mijime si avvicinava un po' troppo a lei.

Cosa avessero quei due nessuno lo aveva capito, ma non si sopportavano: se infatti tra gli altri del loro piccolo clan era venuto a crearsi uno stato di reciproca tolleranza, il disprezzo che scorreva tra quelli continuava a essere ben radicato e nessuno di loro aveva intenzione di stipulare una pace, almeno momentanea. Anzi, era ben visibile come entrambi godessero nell'irritare l'altro: Bellatrix continuava a tenere nascosto da qualche parte il coltello di Mijime, fingendo di non sapere dove si trovasse, così che il giovane non poteva badare alla cura del proprio corpo, che chissà perché vedeva così indispensabile. E osservando come lo infastidiva, gli faceva pesare in ogni occasione il suo stato di "disordine", se il filo di barba che gli incorniciava il mento e le unghie un po' più lunghe del normale potessero definirsi in questo modo. Dall'altra parte, lui sfruttava ogni momento per stuzzicarla in qualsiasi modo gli venisse in mente. Le loro battaglie erano continue e imprevedibili, forse l'unico elemento che disturbava la pace altrui, insieme alla presenza stessa di Mijime.

Se tutti gli altri infatti presto o tardi erano riusciti ad ambientarsi nella piccola realtà in cui erano capitati, il giapponese continuava a persistere in uno stato di tensione, provocata, a detta sua, dal clan in cui erano arrivati e dalla ricerca del tesoro che veniva sempre ritardata. Morag non capiva proprio il perché di una tale inquietudine: i timori sui Gheneiou erano infondati, siccome dopo tre settimane ancora nessuno aveva avuto qualcosa da ridire. In realtà nessuno di loro, a parte Germanico, aveva ancora incrociato qualcuno che non facesse parte della famiglia di Genew ma, dopo tutto il tempo che era passato, Morag non vedeva motivo per cui non fidarsi. E per quanto riguardava il tesoro cercava solo di non pensarci, cosa ormai facilissima grazie alla presenza dei nuovi piccoli amici.

«Sempre pessimista, Em» sospirò Rose, dondolandosi dalla sua comoda posizione a testa in giù, fino ad arrivare a un palmo di naso dalla giovane.
«Ah, perché? Sono per caso migliorata?» chiese l'altra, una nota stupita ma speranzosa.
«No, sembri sempre nata con le gambe al posto delle braccia e le braccia al posto delle gambe» disse l'altra, fomentando i neoteroi grazie anche al tono di voce pacato con cui aveva emesso la sua affermazione. «Menomale che c'è Morag...»

Il giovane arrossì subito, contemporaneamente all'altra neotera: quest'ultima infatti era ancora così imbranata sulle liane che spesso doveva essere il compagno di clan a portarla nei luoghi più lontani e, per quanto tra i due non ci fosse niente, questo faceva sorgere varie fantasie nelle menti degli altri.

«La smettete di prendermi in giro?!» fece Em, incrociando le braccia offesa; Morag stava per aggiungere qualcosa in sua difesa, ma si fermò in tempo, prima che si scatenasse il finimondo: capitava che proferisse una parola in suo favore e ogni volta i ragazzi se ne uscivano con la solita cantilena "Ti piace Em! Ti piace Em!", mentre Rose attaccava con i suoi discorsi contrari a ogni genere di affettività. In quelle occasioni si sentiva così tanto in imbarazzo...

«No» continuò Rose, lasciandosi sfuggire un momentaneo sorriso, per poi tornare nel personaggio: era più in vena di scherzare del solito. «E comunque, siccome non sei l'unica al mondo, anche se pensi di esserlo, andiamo avanti con gli altri. Tu, Curiosa,» apostrofò poi Bellatrix, «esprimiti».

Ridacchiando per il tono da sergente che aveva assunto Rose - glielo aveva insegnato Spiro, citando uno dei suoi film preferiti - restò al gioco: «Io penso di essere un po' migliorata, signora».
«Risposta sbagliata: vai così lenta che dovresti svegliarti all'alba se ti chiamassero sotto l'Oikìa per mezzogiorno. Il prossimo».

Guardò poi Mijine, che, alzati appena gli occhi per visualizzarla, con un sospiro annoiato le chiese: «Dobbiamo per forza fare questo interrogatorio idiota?»
«Sì».
«Va bene,» continuò con lo stesso tono, «io non sono migliorato, sono esattamente come la settimana scorsa».
«Realistico come sempre, Mijime» asserì la giovane, annuendo tra sé soddisfatta della risposta. «È un'andatura sostenibile, ti basterebbe solo affinare la tecnica».

«Io sono il migliore!» intervenne Spiro, ostentando subito i bicipiti poco vigorosi.
«No» lo smentì la ragazzina. «Sei bravino - contro ogni mia aspettativa - ma non certo il migliore: quello è Morag».

Le guance del giovane si tinsero nuovamente di rosso: aveva temuto che il discorso sarebbe andato a parare proprio lì, ma sperando che si dimenticassero di elogiarlo. E invece il suo pronostico si era avverato.
«Rose, così però esager-» iniziò a dire quest'ultimo, ma presto fulminato: «Osi mettermi a tacere? Che discepolo sfacciato! Io sono la saggia sapiente dell'arte delle liane, tu non puoi contraddirmi».

«Ma dai. Lo sai anche tu che non ho talento» continuò quello, senza falsa modestia: aveva scoperto di non riuscire ad accettare i complimenti, credendo che fossero sempre falsi; non ne aveva mai ricevuti tanti in vita sua, venendo invece sempre descritto come un inetto, capace solo di vantarsi di qualità inesistenti. Aveva sempre saputo di non averne, ma non accettandolo aveva fatto in modo di essere, almeno nella sua testa, chi avrebbe voluto. Giungendo sull'isola però il suo personaggio si era distrutto e aveva dovuto fare i conti con la realtà: lui non valeva nulla.

«Invece, Morag, Rose ha ragione» aggiunse poi Sofia, andandogli vicino e afferrandogli una mano. «Sei davvero bravissimo!»
«Sei quasi più bravo di me» ammise Hermit, un po' tentennante. «E non devi dire che non hai talento, perché non è vero».

Morag sorrise: quei quattro erano davvero teneri, sebbene non volessero mostrarsi così; con una mano scompigliò le chiome dei due. Come avrebbero potuto mentirgli? Per quanto potesse sembrare strano, forse possedeva davvero una qualità, quella dell'arte delle liane, come la chiamava Rose. L'isola continuava a produrre effetti positivi; era incredibile.

«Non ci credo!» esclamò Em. «Iniziate a elogiare lui e io non ricevo neanche un complimento!»
«Ovvio, tu non ne meriti» disse Sofia, con una così innocente sincerità che tutti proruppero in una risata di gusto. Persino Mijime era riuscito a uscire appena dal suo perenne stato di serietà: «Sofia, dovresti farne più spesso di commenti simili».

Continuarono a ridere insieme, finché, una volta smorzato il divertimento, Iulius proruppe, come se qualcosa lo avesse reso a un tratto euforico: «Ragazzi, siete pronti ad assistere alla vostra prima festa!»
«Iulius, era da un po' che fortunatamente non se ne parlava...» sbuffò la sorella maggiore. «Che abilità hai a ripescare i discorsi più noiosi?»
«Ma la festa non è noiosa!» esclamarono in coro gli altri due.
«Voi non dovete danzare i riti sacri in onore dei daimona...» bofonchiò ancora Rose, con la faccia imbronciata come ogni volta che si iniziava a parlare dell'imminente festa: si trattava di quella in onore di Zarkros, il daimon del vento, come avevano spiegato i ragazzi diverse volte, e che si sarebbe tenuta quella sera.

«Ma quindi per questo Zarkros avete proprio un rito specifico» considerò Bellatrix, incuriosita, mentre Mijime sbuffava: «Ecco che l'impicciona torna alla carica. Avanti su, chiedi: "come sono i vostri riti?"» disse poi, con un falso sorriso accomodante, che produsse subito un'espressione corrucciata sul volto di Bellatrix.

«Per tutti gli dei, in realtà, non solo per Zarkros» affermò Iulius, prima che iniziasse uno scambio tagliente tra quei due. «Ma non vi anticipiamo niente: sarà bellissimo!»
«E poi, a cerimonia conclusa, si raccontano le storie! Ed è la parte più bella!» continuò Sofia, battendo le mani, tutta contenta.
«Paula è bravissima!» aggiunse Hermit, seguito dalla sollecita spiegazione di Iulius: «Paula è una degli Anziani».
«Anche se non somiglia agli Anziani. È una vecchietta tanto carina e tratta tutti come se fosse la loro nonna!»
«E a raccontare le storie è fantastica! È persino più brava del papà!»

«Ehi ehi, io mi sto impegnando per raggiungerla» disse a un tratto Rose, che si era improvvisamente rasserenata. «Mi aveva detto che presto sarò come lei».
«Io non credo» borbottò Iulius.
«Allora vi racconterò una storia, quella più famosa. Saranno i neoteroi a dire se sono brava oppure no».

Con un balzo scattò in piedi, ritrovandosi subito in equilibrio sul ramo; aspettò poi che gli altri si fossero seduti e, quando ebbe gli occhi di tutti puntati addosso, iniziò, cambiando voce e immedesimandosi nel ruolo che aveva appena assunto: «Tutto è iniziato quando Genew e i suoi compagni capitarono per sbaglio sull'isola: erano quindici uomini, alcuni con le rispettive mogli e i figli, che stavano navigando per raggiungere un luogo misterioso chiamato America. Ma il mare decise di non lasciar loro tregua: dopo tre soli giorni dalla partenza trovarono sul loro percorso una tremenda tempesta, così ardua da fronteggiare, che dovettero indietreggiare. La notte era buia, senza stelle, il mare agitato anche fuori dall'area del temporale: persero la rotta. La disperazione dilagava. La gente piangeva, pregava, qualcuno si buttò giù dalla barca per trovare una morte più clemente di quella provocata dai morsi della fame. Dopo giorni e giorni di viaggio scorsero finalmente terra: un'isola! Sbarcarono e iniziarono a inoltrarvisi, ma capirono presto che si trattava di un luogo disabitato e pericoloso, pieno di bestie feroci, e quello era solo il meno. Non era quello il posto per loro, non era quello il posto per esseri umani. E così decisero di tornare alla nave, per provare a salpare di nuovo e navigare fino al raggiungimento di un nuovo approdo. Ma... la nave era scomparsa!»

La giovane si fermò un attimo, scrutando i volti dei presenti che pendevano ormai dalle sue labbra; anche i fratelli, che dovevano conoscere bene la storia, la guardavano assorti. Furono proprio loro a cui si rivolse per continuare, iniziando ad avvicinarsi lentamente: «Si dice che la Torpedine l'abbia trascinata sul fondo degli abissi per il resto dell'eternità, dove avrebbe dovuto riposare anche il resto dell'equipaggio, che invece si era salvato. Non fu cosa a lei gradita: aveva eseguito solo la metà della sua opera. E allora si narra che il mostro marino dalle due facce e una bocca una volta ogni notte senza luna venga sull'isola con le sue zampe striscianti, il suo fischio perpetuo, le sue enormi zanne e la bava che le scende da tutto il corpo, ancora vogliosa di terminare il suo lavoro!»

Improvvisamente spiccò un balzo verso Hermit e Sofia e li prese in braccio, caricandoseli sulla schiena. I due bambini urlavano dalla paura, accompagnati dalle risate della sorellona che iniziavano a scaturire limpide dalla sua gola. La ragazzina li riposò subito e iniziò a rotolarsi sul ramo per lo scherzo ben riuscito.

«Rose!» protestò Hermit sbattendo un piede e andando a rifugiarsi da Iulius. «Lo sai che la leggenda della Torpedine mi fa paura!»
«Certo che lo so!» rispose la sorella, in lacrime dal divertimento.
«Sei cattiva! I daimona dovrebbero punirti!» continuò Sofia, seguendo l'esempio del fratello.
«Spero proprio che la Torpedine venga a prenderti!» le fece eco Hermit.

«L'incorreggibile Rose». Si sentì a un tratto una voce maschile che proveniva da sotto i rami. Morag si sporse un po' e vide il maggiore dei figli di Genew appeso a un ramo, mentre poco più sotto stava Germanico, paonazzo in viso per la fatica.

«Kairos!» gridarono subito i due più piccoli, correndo ad abbracciare il fratello, una volta arrivato al loro stesso livello.
«Voi due non vi stavate lamentando con vostra sorella».
«Sì, ma ora ci sei tu e le dici qualcosa» disse con enfasi Sofia, puntando un dito contro la ragazzina, che non aveva ancora smesso di ridere.
«Rose, sei una vera cattivona!» disse Kairos, cercando di assumere un atteggiamento burbero, ma subito iniziò a ridere, venendo meno al suo proposito.

«Dai, davvero!» continuò a contestare la più piccola, ma non proseguì a lungo: Kairos la sollevò da terra fino a portarsela in spalla, circondandola con le sue braccia vigorose. Avvolta in quella stretta la bambina si calmò subito.
«Guarda cosa ti ho portato, Sofia» disse il maggiore, non appena l'altra tornò a sorridergli. Da una tasca della tunica estrasse una grande orchidea azzurra, che lasciò nelle mani della sorellina.

«È stupenda!» esclamò la bambina, ammirando il fiore. «È dello stesso colore dei miei occhi! Ma è rarissimo trovarne una così!»
«Non è merito mio: l'ha trovata Germanico» disse Kairos, facendo un cenno verso il compagno che aveva usato le sue ultime forze per sdraiarsi su un ramo.
«Strano che tu l'abbia data a me e non a Raya» commentò la piccola con un sorrisetto provocatorio.
«Ne ho portata una anche a lei». Il fratello avvampò in un attimo al sentire il nome della consorte, abbassando un po' la testa per nascondere l'improvviso rosso apparso sulle sue guance. Cambiò subito argomento: «Volendo avrei potuto prenderne una anche per Rose, ma sappiamo tutti come è fatta...»
«Ecco, bravo! I fiori sono noiosi!» sbuffò quella, che intanto si era di nuovo appesa a testa in giù. «Ma sai che un dente di giaguaro, nel caso dovessi ammazzarne uno, non mi dispiacerebbe».

Kairos scosse la testa sorridendo, scostò una ciocca di capelli dietro all'orecchio di Sofia e vi appoggiò delicatamente l'orchidea, rimirando poi soddisfatto il proprio lavoro: «Ecco, così sei bellissima».
«Ti sbagli: sono sempre bellissima».
«Hai ragione, però così sei ancora più bella; pronta per la festa di stasera». Le diede un bacio sulla fronte, per poi rivolgersi agli altri, rimasti in silenzio durante il tenero scambio tra i due fratelli: «Scusate, neoteroi, non vi ho ancora considerati. Oggi sono un po' di fretta: con gli altri Cacciatori ho ancora un po' di faccende da sbrigare entro la cerimonia, quindi vi saluto ora e mi auguro di poterci incontrare stasera. A questo proposito, Rose...»
«Non ho idea di cosa tu stia parlando» disse lei distogliendo lo sguardo.

Il ragazzo ripose la sorellina sul ramo e si avvicinò a quello su cui era ancorata Rose, tirandola giù.
«Ma non mi va!» si lagnò lei, urlando e dimenandosi dalla presa del fratello.
«Invece è un tuo dovere».
«Perché il papà doveva stare tanto simpatico ai daimona
«Su, non ti lamentare: se non vieni da sola ti dovrò portare in spalla».
«Va bene, va bene, vengo» si arrese alla fine, divincolandosi da Kairos e dirigendosi verso una liana, mentre tutti gli altri ridacchiavano, conoscendo anche la buffa motivazione.

Come aveva spiegato Iulius giorni prima, Rose era infatti una danzatrice, una figura particolarmente importante all'interno del clan per il suo legame con le divinità dell'isola: capitava infatti, avevano spiegato i ragazzi giorni prima, che tra le bambine di Tou Gheneiou alcune, che avevano genitori o antenati particolarmente osservanti delle leggi divine, i cosiddetti eusebeîs, fossero benedette dai daimona, che instauravano con loro un rapporto del tutto chiaro solo alle danzatrici stesse. Si diceva che comunicassero, che apparissero loro in sogno e, soprattutto, le ispirassero nelle danze in loro onore, che aprivano e chiudevano le cerimonie. Era un ruolo che conferiva onore e rispetto, lasciava una patina di sacralità su ognuna di quelle giovani, ma quell'adolescente ribelle di Rose non accettava il suo destino, forse solo per polemizzare, come suo solito, forse per motivi che non aveva rivelato a nessuno.

«Ci vediamo dopo». Kairos alzò una mano in segno di saluto. «Quando sarà calato il sole recatevi tutti quanti all'Oikìa, ma per adesso continuate pure a divertirvi».
«Almeno non dirlo, che si divertiranno!» si lamentò infine Rose, per poi partire insieme al fratello sulle liane, dirigendosi verso i rami più bassi, senza smettere di borbottare.

Dopo la scomparsa della rumorosa sorella maggiore, il silenzio era tornato ad aleggiare e Morag ne approfittò per sdraiarsi di nuovo e assaporare la bellezza di quel momento di serenità. Ma con i figli di Genew non era la tranquillità a essere all'ordine del giorno.
«Facciamo un gioco!» propose Sofia, energica, e subito trascinò con il suo entusiasmo gli altri giovani.

~

"Nascondino... E che nascondino sia!" Bellatrix si muoveva cautamente di liana in liana, certa di riuscire a sfruttare alla perfezione i trecento secondi di conta. A dir la verità pregustava già la vittoria che avrebbe assaporato quella sera, al calar de sole, quando fosse tornata all'oikarion dei ragazzi, il luogo stabilito come tana. Giorni prima aveva trovato, in una mangrovia poco distante dal loro oikarion, una cavità piuttosto profonda e si sarebbe nascosta lì: era una tecnica praticamente infallibile, quando lo sventurato a cui toccava contare era un neoteros, e infatti non era mai stata trovata. Quel pomeriggio era stato scelto Germanico, quindi non aveva dubbi sulla riuscita del suo piano.

Mentre sghignazzava immaginando il suo piccolo momento di gloria, la sua coscienza, riemersa estemporaneamente dall'inerzia in cui persisteva da giorni, la rimproverò: "Il fatto che una giovane adulta come te si ritrovi a giocare con dei bambini non è solo una situazione imbarazzante, ma anche degradante rispetto a chi sei davvero".

Per un attimo Bellatrix trasalì: da tempo non la sentiva più. Anzi, da quando era giunta a Tou Gheneiou pareva che non fosse mai esistita, come del resto la sua vita prima dell'isola. I momenti che trascorreva lì le provocavano una sorta di amnesia: la sua mente, infettata dalla perenne allegria dei figli di Genew, era sempre lontana da pensieri oscuri o che potessero anche solo portarle una minima preoccupazione.

Si fermò un attimo, rimanendo attaccata alla liana e guardandosi, temendo all'improvviso di essere mutata anche nel corpo oltre che nella mente. Ma oltre alla veste che le avevano offerto per cambiare il suo abito lacero era sempre la stessa. Sospirò forte per un attimo, ripensando alla sua condizione: stava davvero conferendo tanta importanza a un gioco da bambini? Come la stava riducendo quell'isola?! Di questo passo non sapeva cosa sarebbe rimasto della vera lei, di quella giovane estremamente analitica, precisa, sempre concentrata sulla realtà.

"È davvero un male?" chiese a un tratto un'altra voce, più dolce e indulgente del severo timbro che conosceva bene. Certo che era un male! Andando avanti così sarebbe arrivata alla stregua di Spiro. Ma se fosse sopraggiunta una difficoltà come si sarebbe comportata? E se stava tralasciando dei particolari, proprio a causa di questa nuova indolenza?

Nel suo cuore però continuava a ripetersi quella domanda: era davvero un male? Per quanto gli aspetti negativi fossero davvero tanti, ne sentiva altrettanti positivi, che la sua razionalità non voleva ammettere. In un esiguo angolo del suo animo, credeva di aver riscoperto un'emozione che a lungo era rimasta latente, una sensazione bellissima, piacevole...

Due occhi neri e profondi come i suoi apparvero nella sua mente e la guardarono intransigenti: quella riflessione doveva terminare, subito. Bellatrix annuì, obbediente: era vero, quella era la scelta giusta, come era giusto che da quel momento non si sarebbe più lasciata sopraffare da quella irrazionale allegria.

A un tratto scorse un'ombra passare sulla propria testa e subito tornò alla realtà, quasi impanicandosi. La sua ancora troppo evidente inesperienza sulle liane si fece sentire proprio in quel momento e, per lo spavento, le scivolò una mano: perse l'equilibrio e cadde su un ramo sottostante, emettendo un sonoro rumore.

«Oh, Bellatrix. Buongiorno!» La giovane sollevò la testa e vide un sorridente Genew, che si stava calando da una liana probabilmente per raggiungere l'Oikìa. «Vedo che sei ancora alle prese con le liane. Tutto bene?»

Bellatrix si rialzò in fretta; le doleva un po' il fondoschiena per la botta, ma era più sopportabile che continuare a rimanere in quell'imbarazzante posizione. Era diventata completamente rossa e il suo animo era stato assalito dall'ansia. Dopo i racconti dei ragazzi, che avevano continuato a susseguirsi numerosi in quelle tre settimane, la sua visione di lui era del tutto cambiata: prima pensava che fosse un buon capo e un buon padre, ma adesso nutriva una profonda ammirazione per lui, per come gestisse i suoi innumerevoli impegni, portasse avanti una condotta politica davvero saggia e non chiedesse nulla in cambio, sempre mantenendo il sorriso e un atteggiamento solare.

Ma adesso che sapeva tutto, come doveva comportarsi con lui? Dal momento che si era assentato a lungo dal clan non ci aveva pensato. Invece avrebbe dovuto farlo! Ma non era quello il momento per redarguirsi: ormai poteva solo cercare di risolvere la questione nel modo migliore. Quindi? Doveva trattarlo con rispetto mettendo in atto tutte le formalità che le avevano riferito i ragazzi o fare come se ancora non sapesse nulla per non metterlo in difficoltà? Ma lei non sapeva tutto: avevano anche parlato di una cerimonia speciale, riservata solo al capo... Ma lei non la conosceva! Come poteva fare?

Un po' per nascondere il pigmento cremisi sulla sua faccia, un po' perché doveva inventarsi un saluto sul momento, piegò la testa in avanti e disse: «Buongiorno a te, Genew. Grazie per esserti preoccupato per me ma sto bene, grazie ancora, grazie».
Parlava velocemente, senza un tono di voce particolare e ripetendo "grazie" troppe volte. Il panico le aveva provocato un insolito aumento del battito cardiaco ed era ben visibile anche solo dalla sua espressione.

«Ho come l'impressione che i miei figli ti abbiano parlato di me» disse lui con voce pacata e una nota appena divertita. «Non ascoltarli troppo su questo argomento: ingigantiscono tutto. E non preoccuparti per quanto riguarda il comportamento che devi tenere con me: continua a fare come hai sempre fatto; alza pure la testa adesso».

Bellatrix obbedì e, sollevando lo sguardo, vide il sorriso comprensivo di Genew: si sentì subito più tranquilla.
«Vedi, i miei figli hanno una stima di me fin troppo elevata: di ciò che hanno detto riguardo le mie mansioni, sono sicuro abbiano riferito tutto correttamente, ma non ho la stessa certezza anche per l'immagine che hanno esposto. Non sono né un eroe né un capo migliore di altri: faccio solo il mio dovere al meglio delle mie possibilità. Non ho mai visto un motivo per tutta questa deferenza nei miei confronti e chiedo che mi sia portata solo durante le cerimonie pubbliche e per un semplice motivo: gli Anziani, che hanno una mentalità rigida e difficile da smuovere,» ridacchiò, «si adirano con chi non mi porta rispetto e, quindi, per non mettere queste povere persone nei guai, richiedo questo dannatissimo rito del saluto. Anche per voi neoteroi vale lo stesso principio».

Come avevano affermato i ragazzi, Genew voleva essere trattato come una persona semplice proprio perché si riteneva tale, pur essendo una figura così importante all'interno di quella piccola società. Ormai il rispetto che Bellatrix nutriva per lui non era più dato solo dalle sue capacità, ma soprattutto dal suo carattere umile e semplice e dalla sua volontà di essere capo senza desiderare alcun privilegio per lui stesso: non erano tante le persone che puntavano unicamente al bene comune. La prima, positiva impressione che Genew le aveva dato il giorno che erano giunti a Tou Gheneiou si riconfermava, ancora più solida.

Avrebbe voluto dirgli tutto questo e anche di più, ma sapeva che lo avrebbe soltanto messo in una posizione per lui scomoda. Notò invece i quattro vasi che stava trasportando e suppose che il capo avrebbe preferito un aiuto concreto piuttosto che dei complimenti sterili, sebbene lei li pensasse davvero.
«Vedo solo adesso che stai trasportando un peso non indifferente. Lascia che ti aiuti».

«Oh, be', grazie». Genew si tolse uno dei contenitori dalla schiena e lo porse a Bellatrix. «Una mano mi fa sempre comodo, soprattutto adesso che sto iniziando ad avere una certa età».

La giovane si legò intorno alle spalle la liana che scorreva lungo i manici del vaso, così da avere le mani libere per muoversi e, insieme a Genew, iniziò a scendere.
«Qua dentro ci sono tutti i frutti che offriremo stasera a Zarkros» spiegò l'uomo. «È molto suggestivo vedere tutti questi colori sulla piattaforma della cerimonia: penso sia una delle più belle».

«È sicuramente meno suggestivo trasportarli...» commentò Bellatrix, che iniziava a sentire il peso del vaso. Si chiedeva come facesse Genew a trasportarne addirittura tre, senza nemmeno essere nel fiore degli anni. «Dove dobbiamo portarli esattamente?» si informò, sperando che la meta fosse abbastanza vicina.

«Intanto al mio oikarion. Poi sarà qualcun altro a portarli fino all'Oikìa, siccome dovrò avere un po' di tempo per prepararmi per la cerimonia. Potrei chiedere a Kairos, se ha terminato di sistemare le bestie per stasera...» iniziò a riflettere, perso tra i suoi pensieri, per poi tornare in sé, come ricordandosi di non essere da solo: «Allora, dopo i primi giorni non abbiamo più avuto modo di scambiare due parole. Purtroppo sono dovuto andare in un clan a sud, a dieci giorni di cammino da qui... Per quanto sia lontano confina pur sempre con i nostri territori ed era bene che riconfermassimo la pace. Che mi dici invece di voi? Oggi Hermit e Sofia mi hanno raccontato un po' queste prime settimane, ma forse è meglio sentire anche un'altra versione: a me sicuramente non vengono a dire che vi fanno dannare dalla mattina alla sera».

«A dir la verità, i tuoi figli sono adorabili» disse Bellatrix, che si era ormai affezionata a quelle piccole pesti. «Un tantino agitati, talvolta, ma sanno farsi voler bene; se non ci fossero loro, poi, rimarremmo tutto il giorno con le mani in mano».

Genew rimase in silenzio; Bellatrix non ne vedeva l'espressione, non essendo allo stesso livello, ma suppose che stesse sorridendo, come solo lui sapeva fare. Poi sentì: «Ti vedo davvero migliorata, Bellatrix: non appena arrivasti qui, ho visto nei tuoi occhi una tensione costante, che non veniva mai meno. Adesso invece sei rilassata e serena; oserei dire che sei felice».

«È merito tuo e della tua famiglia se sto meglio» rispose soltanto, cercando di non risultare troppo distaccata nel timbro: il dissidio tra razionalità ed emotività nel suo animo, che si era appena concluso, con l'inevitabile vittoria della prima, era stato appena riaperto. Il cuore, messo a tacere dalla sua ferma volontà, era tornato sul piede di guerra, sentendo la sua tesi confermata anche dal capo del clan.
Bellatrix cercava di zittirlo, ma quello non aveva intenzione di tornare al suo posto. "Ma quando potrò tornare a essere quella che conosco?"

«...raccontato diverse cose su di voi e in particolare su di te». Genew aveva ripreso a parlare, e Bellatrix iniziò ad ascoltarlo attentamente per scacciare l'assillante pensiero che aleggiava in lei. «Sofia ti adora: mi ha parlato così tanto che mi è quasi sembrato di essere stato al vostro fianco per tutto il tempo. Te lo dico perché uno degli aneddoti che mi aveva colpito di più era stato quello dell'appellativo che ti danno: quindi ne approfitto per ricordarti che, se hai altre domande, me le puoi porre. Sarò felice di risponderti, Curiosa».

Bellatrix ridacchiò, per poi iniziare subito a pensare a qualcosa da chiedergli: non poteva certo lasciarsi sfuggire una tale occasione. Ma, se per tutto il tempo che era rimasto lontano dal clan aveva sentito l'impulso di chiedergli delle spiegazioni, adesso la sua mente era come vuota; sapeva di aver avuto importanti questioni che avrebbe voluto porgli, ma ora non ne ricordava più il contenuto.

Di nuovo presa dal panico, iniziò a rovistare tra la sua mente, alla ricerca di una curiosità che servisse più per non smentire il resoconto che Sofia aveva dato di lei, che per altro: «Potrà sembrare banale o sciocca come domanda, ma come facevi già da subito a sapere i nostri nomi?»

Genew si fermò un attimo, fino ad allinearsi con la giovane, per poterla guardare in faccia; la sua espressione pacata e sorridente caratterizzava il suo volto, ma accompagnata da una sfumatura amara. Bellatrix non credeva che quella domanda così casuale potesse cambiare tanto l'imperturbabile stato d'animo di quell'uomo.

«Prima o poi avrei dovuto affrontare questo argomento: è giunto il momento che non rimanga un segreto. Ho scoperto i vostri nomi poco prima che arrivaste sull'isola, se è vero che siete qui quasi da una luna. Me li hanno rivelati le maghe, da cui mi ero recato per andare ad apprendere le profezie vaticinate sul nostro clan, come faccio ogni due cicli lunari. Questo nostro ultimo incontro però... non fu come di consueto: di solito, se ce l'hanno, si limitano a dire una profezia. E infatti me la rivelarono. Recitava così: "Diversa e abbattuta, ma nel profondo legata, una mano stregata nel bosco verrà; una mano bizzarra con un dito speciale, che è il figlio del Sole, l'ultimo fardello di colui che è vissuto, vive e vivrà"».

Genew si bloccò un attimo, quasi a voler lasciare il tempo di imprimere l'oracolo nella sua mente a Bellatrix, confusa da quelle parole: ma cosa potevano significare? E cosa c'entrava con loro? Proseguì: «Pensai fosse solo l'ennesimo astruso indizio per il tesoro, ma non appena quelle due ebbero finito mi proiettarono nella mente una visione: vi vidi chiaramente mentre Arla e Silva, osservandovi a loro volta, vi attribuivano i vostri nomi. Fu così che conobbi ogni elemento per venire in vostro aiuto. Come infatti avrai capito, esiste un altro motivo per cui vi ho soccorso, oltre a quello che vi ho rivelato il primo giorno che siete stati qui, che è purtroppo valido solo per me e per la mia famiglia: se avessi portato solo questo, l'intero clan si sarebbe opposto e voi sareste rimasti vittime di Mortino. È invece chiaro che siete indispensabili: o meglio, il figlio del Sole è indispensabile. La profezia è piuttosto chiara, stranamente: siete un gruppo di sei individui - come le dita di una mano un po' insolita - e uno di voi è il figlio del Sole, destinato a un'impresa grandiosa, imponente, che parrebbe impossibile: uccidere Mortino, che da centinaia di anni, da quando ha stretto non so che patto con Zarkros, vive in un'eterna giovinezza, seminando il terrore in tutto il nord dell'isola. In un modo o nell'altro tutti hanno sofferto a causa sua, o soffriranno. Il figlio del Sole è il salvatore che stavamo aspettando da tanto tempo e dovrebbe trattarsi di Germanico: in molte profezie che hanno ascoltato i miei antenati e che conservo nella memoria sono comparsi altri figli del Sole, tutti caratterizzati da pochi elementi: i capelli e la pelle dorati come i raggi del sole. Sembra incredibile che sia proprio lui tra tutti voi, ma ragionevolmente è così: per questo ho voluto che imparasse a combattere per primo e l'ho affidato a mio figlio. Dovrebbe essere una scelta che viene direttamente da lui, ma capirai anche tu che non possiamo non approfittarne: come ogni profezia delle maghe non è certo che si compia. È solo molto probabile, ma, se non è già stata impressa nelle sorti volute dal destino, una parte resta comunque al libero arbitrio dei mortali. Dobbiamo dunque assicurarci che Germanico prenda questa decisione e si convinca di uccidere Mortino. Quando sarà pronto glielo comunicheremo».

«Mi sembra... impossibile» riuscì soltanto a dire la giovane, dopo un tempo indefinito: la sua mente scoppiava dalla quantità di informazioni che aveva appena ricevuto. Non che fossero tantissime, ma quella botta di irrazionalità, tutta in una volta, era stata davvero pesante anche solo da assimilare. Una profezia apparentemente insensata diceva tutto questo... Non pensava che sarebbe mai riuscita a dedurlo. Ma soprattutto non riusciva a figurarsi quel bambinone di Germanico che con una spada o un'altra arma stroncava la vita di Mortino: a malapena aveva accettato di mangiare la carne, il maggiore dei mezzi di sostentamento delle mangrovie. La motivazione del colore dei capelli e della pelle le pareva poi piuttosto forzata, ma su quello era meglio che non intervenisse: la sua mente pragmatica non era fatta per quel genere di cose.
«Lo so. Ma le maghe non sbagliano mai».

E così loro sei erano così importanti sulla scena dell'isola. O meglio, lo era Germanico, una delle persone più innocenti che avesse mai incontrato. Ma gli altri Melitos? Qual era la loro funzione, quale il loro destino? L'unico dito speciale della loro mano era Germanico, gli altri erano perfettamente trascurabili. Ma se non servivano, i Gheneiou non erano costretti a tenerli con loro... Ciò che Mijime aveva pronunciato tre settimane prima squillò nella sua testa come una sirena d'allarme.

«A proposito, i tuoi compagni come l'hanno presa? Non ho avuto modo di parlare con nessuno di loro...» disse, fingendo di non sapere nulla della questione che era stata importante oggetto di discussione la prima sera a Tou Gheneiou: le supposizioni che Mijime aveva fatto non sembravano così lontane dalla realtà e ora che solo Germanico si era rivelato utile Bellatrix temeva per il futuro suo e degli altri neoteroi.

«Sarò sincero: si sentono costretti a tenervi qui» rivelò il capo, con una smorfia di rammarico, dal momento che di certo non condivideva il pensiero del suo popolo. «Non vi vorrebbero, perché vi temono per le storie che girano tra i clan sui neoteroi. Per questo ho fatto sì che vi incrociaste il meno possibile, dando le corrette disposizioni a mia moglie e ai miei figli».
«Tuttavia non potremo restare nascosti per sempre».
«Certo».
«C'è un modo per essere accettati?» continuò a porgli domande mirate per confermare le affermazioni di Mijime.

«Oh, certo. Recarsi dalle maghe per eseguire la transizione: un'operazione da poco, davvero banale, che va praticamente sempre a buon fine. Dopo, quando sarete dei Gheneiou anche voi, nessuno avrà più niente da ridire. Purtroppo però devo aspettare ancora un ciclo lunare: le maghe non mi accetterebbero prima».

«E se ci andasse qualcun altro?» Chi assicurava che i Gheneiou sarebbero rimasti zitti molto a lungo? L'angoscia di vivere in un luogo dove non era la benvenuta doveva sparire, al più presto. Se non potevano risolvere questo inconveniente gli altri, lo avrebbe fatto lei.
«Non dovrebbero esserci problemi».
«Dove si trovano le maghe?»

«Bellatrix,» mormorò Genew, la voce appena preoccupata, avendo compreso l'intenzione della giovane, «per una luna puoi anche aspettare: non voglio mettere a repentaglio la tua vita mandandoti in questo viaggio».
«Non è solo per la transizione che partirei: le fate, quando ci hanno rinominato, avevano accennato a una profezia sul nostro clan, che non ci avevano però voluto rivelare. Devo andare a sentirla».

Non aveva affermato totalmente il falso: dopo aver ascoltato la profezia di Genew mille cose erano riaffiorate nella sua mente. Le parole di Mijime, il pericolo che correvano non essendo Gheneiou, e persino le frasi che le fate avevano blaterato prima di andarsene.

«Inoltre, le maghe ci hanno profetizzato altro su di voi. Ma con le urla che avete fatto prima ci avete spaventate e non vi meritate la nostra magnanimità: l'oracolo sicuramente non lo verrete a sapere da noi.» Piccole bastarde... Magari era qualcosa di essenziale, che avrebbero dovuto conoscere da subito. E se fosse stata una profezia sul tesoro?

La smania di partire ormai la invadeva tutta e non riusciva più a stare ferma. Ormai era decisa, e ora che aveva preso quella via nessuno l'avrebbe smossa: avrebbe inventato qualsiasi strategia pur di recarsi il prima possibile dalle maghe.

«Ti vedo determinata. Sai che correresti un grande rischio».
«Quella profezia potrebbe essere importante».
Genew sbuffò, in segno di resa, e, avvicinandosi a Bellatrix, le slegò il nodo che aveva creato per trasportare il vaso, ricaricandoselo con un movimento veloce sulla schiena: ora era libera di andare.
«La casa delle maghe più vicina a noi si trova poco più a sud della foresta, circondata da un crepaccio che corre tutt'intorno alla loro prateria. Una volta giunta lì, dovresti trovare il ponte di legno per accedervi proseguendo verso ovest».
«Quanto tempo impiegherò?»
«Partendo all'alba, dovresti arrivare là al tramonto. Ma ne sei proprio sicura?»

Gli occhi scuri di Bellatrix brillarono di una luce elettrizzata: quella era la stessa sensazione che aveva provato ogni volta che le avevano affidato una missione. Sentiva di essere tornata quella di sempre e, come era suo solito, non avrebbe fallito nemmeno quella volta.
«Mai stata così tanto».

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Spazio autrici
HELO! Ed eccoci arrivate all'ultimo capitolo un po' più "statico", in cui si imparano tante tante cose, ma non succede niente 😂. In questo cap ci siamo concentrate un po' di più, parlando dei protagonisti, su Morag e Bellatrix, che stanno affrontando in modo diverso il clima che si respira a Tou Gheneiou. Come vi sembrano questi due personaggi? La vostra opinione su di loro, conoscendo meglio la loro interiorità, è cambiata o ha iniziato a cambiare? Cambiamo argomento e arriviamo alla parte più succosa 🧃 del capitolo: le profezie. Pensate che quella di Genew sia stata interpretata correttamente? E quella di Bellatrix cosa rivelerà mai? Cosa pensate infine dell'integrazione dei neoteroi in Tou Gheneiou? Sarà semplice come la fa Genew o arriveranno i problemi che Anita aveva accennato a Mijime? Resta a voi scoprirlo e non mancate al prossimo capitolo! 😉
~🐼🐢

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