12 - Prigionia forzata

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Hilary

Stare in punizione fa davvero schifo.

Un sacco.

Sopratutto se hai perso il cellulare e ancora non sai che fine ha fatto.

Dopo averlo smarrito chissà dove, mio padre ha tentato di chiamare più volte nella speranza che qualcuno all'altro capo rispondesse. Nulla, il silenzio più totale.

Magari è in mano ad un pazzo psicopatico che sta progettando la mia morte guardando i miei selfie.

O magari ha scoperto dove vivo e sta arrivando per saccheggiare la casa..
O più semplicemente è incastrato in un vagoncino del tunnel della paura e non lo troverò mai più.

Addio mio amato smartphone del paleolitico.
Sei stato un gran compagno.
Ora dovrò risparmiare per sostituirti.

Dopo quel brutto episodio della fiera, mi sono sentita a lungo come uno zombie. Questo stato d'animo non mi molla nemmeno un momento della giornata. È straziante, come un tormento continuo.

Mi alzo
Vado a scuola
Vado al lavoro
Torno a casa
Dormo

A volte, mangio.

Ogni giorno è la stessa storia.
Non posso vedere Maggie, non posso uscire con gli amici. Non posso chiamare nessuno, parlare con qualche coetaneo. Scambiare anche solo le risposte dei compiti per casa.
Se mi trattengo anche solo un po' troppo davanti al televisore, mio padre mi rimprovera.

Mi sembra di essere in prigione.

Dopo quella sfuriata, la sera che sono tornata a casa in ritardo, io e mio padre non ci siamo più rivolti la parola.

Lui mi evita
Io lo evito.
Ci viene più semplice fare finta che non abitiamo sotto lo stesso tetto, almeno per un po', finché le acque non si saranno calmate.

Mangio, mi faccio la doccia e vado a dormire.
Ogni tanto lo sorprendo che mi guarda mentre vago per la casa senza uno scopo preciso, ma nonostante ciò continua a far finta che non esista.
Mi saluta solo se deve, se sta uscendo per andare al lavoro. Si preoccupa solo che io rispetti solennemente la mia punizione.

Le giornate continuano monotone.
Ho tentato un approccio con mio padre, qualsiasi tentativo si è rivelato del tutto inutile.
È veramente incazzato nero, questa volta.

E credo che questa storia andrà avanti ancora per molto.

_______________________

È una sera esattamente come tutte le altre.
Sono nella mia stanza, con il pigiama pesante fino ai piedi e la trapunta sulla testa.
Sto guardando un po' di televisione, quel poco che mio padre mi concede prima di obbligarmi a spegnere. Mi accorgo come destata di colpo, di un particolare. C'è qualcosa di strano sulla mia finestra. Qualcosa che poco prima non c'era.

Di solito non guardo mai così attentamente il davanzale, ma questa volta è come se mi fossi sentita stranamente attirata.
È come quella sensazione che ho continuamente quando credo che qualcuno mi stia fissando.

Mi avvicino alla finestra e noto uno strano oggetto, mai visto prima.

È come un pacchetto o un sacchettino.
Mi avvicino incuriosita, ma una parte di me ha paura.

Se fosse una bomba?
O uno scherzo di un cretino?
Sono la solita esagerata.

La curiosità mi assale. Devo sapere cosa contiene, con tutte le mie forze.

Sono sempre stata una tipa molto curiosa, fin da bambina.

A natale mia madre nascondeva i regali nell'armadio sotto pile e pile di vestiti, ma appena usciva per andare al lavoro io mi spingevo fino alla loro stanza e cercavo i pacchetti fino a che non li trovavo.
Non li scartavo, mi bastava sapere che babbo natale era il frutto di un invenzione e che anche quell'anno avrei ricevuto qualcosa in dono da parte dei miei genitori. Era diventata una routine consolidata negli anni.

Mi avvicino piano alla finestra stando attenta.

Non si sa mai che pazzi ci sono in giro.

Apro la vetrata per osservare meglio il pacchettino.

In realtà è un normalissimo sacchetto dello Starbucks, quindi molto probabilmente dentro non c'è nulla di pericoloso.

O almeno spero.

Appoggio il piumone sul letto e mi guardo in giro.
In strada non c'è nessuno, non c'è davvero anima viva.
L'inverno sta devastando il paesaggio, solo ghiaccio e nasi rossi sui marciapiedi.

Prendo il sacchettino e chiudo la finestra per non far entrare troppo freddo nella stanza.

Mi siedo sul letto e mi ributto sulle spalle la trapunta, coprendomi fino oltre il collo.

Sono peggio di un animale a sangue freddo.

Il sacchetto è ben chiuso, sigillato.
Tolgo l'etichetta di Starbucks e lo apro.
Con mia grande sorpresa dentro c'è una ciambella, quello che sembra il mio cellulare e un biglietto.

Per prima cosa, controllo il telefono.
È spento, probabilmente è scarico.
Lo metto immediatamente attaccato al caricatore intanto che do un morso alla ciambella.

È la mia preferita, quella con la glassa rosa.
Chiunque me l'ha lasciata, mi deve conoscere bene!

Morso dopo morso, finisco compiaciuta la mia ciambellina.
Già mi sento molto, molto meglio.
Ora sono pronta a concentrarmi sul biglietto.

<devi stare più attenta... Chissà chi lo poteva trovare il tuo cellulare.
Magari un maniaco.
O magari sono io, il maniaco.
No... Scherzo.
Sono solo una persona molto gentile che ti conosce e non se ne fa niente di un cellulare che va a carbone.
Spero la ciambella ti sia piaciuta...>

Rimango seduta a gambe conserte ad osservare quel foglietto sgualcito ma scritto con una calligrafia quasi impeccabile.
La mano che lo ha composto è fine, di una persona che sembra abbia studiato arte.
Più che una scritta sembra un disegno.

Non può averlo scritto Maggie.
Lei scrive come un carcerato sotto tortura.
Se poi avesse trovato il mio cellulare, me lo avrebbe riportato subito senza inventarsi una cosa simile.

Sa quanto sono gelosa e fissata con le mie cose.
Non me lo avrebbe lasciato sul davanzale vittima delle intemperie.

Mio padre bussa alla porta poco dopo l'ultimo morso.
Vorrà dirmi che è ora di dormire, oppure ha finalmente deposto l'ascia di guerra. Non sono allettata da nessuna delle due cose, non ho voglia di discutere di nuovo.

<<Che fai ancora sveglia?">>mi chiede lui trovandomi sotto il piumone ad osservare il vuoto.

O così crede lui.

Per sicurezza ho nascosto appena in tempo il cellulare sotto le gambe.
Non voglio che lo veda, altrimenti si prenderebbe anche quello, ne sono sicura.
In più farei la figura della bugiarda.

<<Sto andando a dormire, non preoccuparti.>> gli rispondo io, cercando di camuffare la vibrazione del mio telefono che avevo acceso poco prima che entrasse.

<<Cos'è questo suono? Sembra... Un gatto che gratta sui muri.>>  il vecchio Joy ci vede lontano, non gliela si può fare sotto il naso.

<<Probabilmente è proprio un gatto!>> replico, cercando di camuffare il suono con un colpo di tosse.

Mio padre mi augura la buonanotte e lascia finalmente la stanza. Forse gliel'ho fatta.

Non si sarà mai bevuto la scusa del gatto che gratta contro il muro del palazzo, ma è troppo puritano per controllarmi sotto il sedere. Sarà sempre un posto sicuro!

Rileggo il bigliettino, prima di stendermi definitivamente a letto.

Non ho idea di chi possa aver trovato il mio telefono, ma soprattutto è raccapricciante pensare che questa persona sa dove vivo.
Potrebbe seriamente essere un pazzo maniaco e la cosa mi spaventa un po'.
Chiudo con la mandata la finestra e decido di lasciare la luce della lampada sul comodino accesa, così per sicurezza.
La luce mi è sempre piaciuta.

Mi stendo a letto, un po' frastornata.
Avrei bisogno di risposte, ma non ho nessun indizio, se non questo bigliettino.

Nel bel mezzo della mia confusione, mi viene un idea.

Lo scrivo io un biglietto.
È assurdo, ma è l'unica idea che mi viene.

Mi alzo di corsa e prendo carta e penna.
È una pessima idea dare attenzioni a tutta questa strana faccenda, ma è più forte di me.

Devo sapere di più.

Scrivo velocemente poche righe, ma molto chiare.
Ripiego il biglietto e lo metto in una busta rosa che tengo da anni nel cassetto, infine lo lascio sul davanzale al riparo dal freddo e dalle intemperie dell'inverno.

Mi rimetto a letto, in attesa.
Ma mentre mi riprometto di aspettare sveglia come un bambino resta sveglio ad aspettare babbo natale con le dita incrociate per il regalo più bello e desiderato di sempre, mi addormento.

E meno male che sono io che dico di non credere a babbo natale!

Mi risveglio qualche ora dopo, intontita.
Non so esattamente quanto tempo sia passato, ma è ancora notte.
D'istinto mi ricordo della lettera e del fatto che avrei dovuto rimanere sveglia.
Mi alzo in fretta dal letto, rischiando di cadere a terra per colpa del piumone che sembra essersi fatto tutt'uno con il mio corpo.

Do un rapido sguardo al davanzale.

La lettera non c'è più.
Ora dovrei iniziare ad avere paura, davvero, invece mi ritrovo ad essere ancora più curiosa di prima.

Devo sapere.

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