7. Il primo bicchiere

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Nolan guardò Melfo Stiletto in cerca di conforto: anche negli occhi di quel balordo leggeva lo stesso sospetto che albergava nel suo cuore.

«Non ci avevo mica creduto, sai?»

«Cosa, che avrebbe riaperto?» chiese il giovane arciere.

«Già» intervenne Atino Duegrazie, come se la domanda fosse stata rivolta a lui. «Ho sentito dire che Weelbo aveva pestato i piedi al Banchiere, e con quello mica si scherza.»

Melfo accarezzò la parete, sulla quale era abituato vedere le radici di una selvaggia edera rampicante: adesso era liscia come il culo di un neonato, e odorava di vernice fresca. «Però non è da lui, spendere soldi per... questo!»

«Sono venuti da Firmiona, una squadra di tre carpentieri. Li ho visti la settimana passata» aggiunse Atino, come a confermare i loro sospetti.

Nolan fece due passi indietro, per avere un quadro generale. La struttura dell'edificio era tutto ciò che rimaneva del vecchio locale: le finestre, la porta, il tetto e la stalla stavano ancora al solito posto, ma tutto il resto... I muri erano stati totalmente ripuliti, intonacati e verniciati di un grigio sobrio ed elegante. Alcune pietre, quelle che facevano da cornice alle aperture, erano state lasciate a vista e tirate a lucido. Sui davanzali spiccavano fiori dai colori vivaci e sulla strada sporgeva un'insegna finemente lavorata che riportava il disegno di un libro aperto e la scritta "L'ossimoro".

Quando, tre settimane prima, aveva trovato un capannello di disorientati avventori sorpresi davanti alla porta chiusa dell'osteria, aveva in effetti pensato al peggio. Poi aveva letto sul cartello appeso alla porta, scritto in una calligrafia ampia e allenata, il messaggio che i suoi compagni non sapevano interpretare: "Chiuso per cambio gestione. Si riaprirà tra pochi giorni." Possibile che il Monco avesse ceduto l'attività? Quel cartello pareva dar seguito al sospetto e adesso, la vista di una locanda totalmente rinnovata non faceva che confermarlo.

«Che facciamo?» chiese Melfo.

«Beh, il cartello che c'è adesso dice "Entrata libera", quindi immagino che possiamo entrare» rispose Nolan, rimettendo l'arco nella faretra e avanzando verso l'ingresso.

I tre fuorilegge entrarono all'unisono nel locale, e insieme spalancarono la bocca meravigliati. Tutto era come prima, i tavoli, le sedie, il bancone, il camino e la cucina, ma al contempo tutto era diverso. I tavoli e le sedie erano stati levigati e impiallacciati, così come il bancone, che era stato inoltre decorato da pannelli intarsiati raffiguranti scene di natura incontaminata. Il pavimento mostrava per la prima volta la trama di incastri delle mattonelle, fino a poche settimane prima confuse in un sudicio nero. Il muro poi era talmente bianco da essere quasi accecante. Ma era soprattutto l'odore a togliere il respiro: un delizioso aroma di soffritto che sovrastava dolcemente la piacevolezza della carne abbrustolita.

Quasi stregati, sedettero al tavolo più vicino e subito vennero avvicinati da un segaligno uomo di mezz'età, con un innocuo sorriso stampato sotto i baffetti stropicciati. «Cosa posso portarvi come primo bicchiere?» chiese accennando un lieve inchino.

Fu Melfo a riconoscerlo per primo: «Ma tu sei quello spaventapasseri di città!»

«Terno!» esclamò a ruota Nolan.

«Proprio io» annuì con condiscendenza il vecchio bibliotecario.

«E non dirmi che in cucina c'è la tua signora» aggiunse l'arciere.

«Naturale che sì.»

«E Weelbo?» proseguì l'indagine Atino Duegrazie.

«Probabilmente in un posto caldo a godersi i frutti della cessata attività» mentì Terno senza scomporsi. Gli altri lo interrogarono con gli occhi «Quel giorno poi ho recuperato buona parte dei nostri averi, e siccome il signor Weelbo più volte aveva detto a mia moglie che desiderava cambiar vita, abbiamo fatto un'offerta che ha accettato senza indugi.»

«Ve l'ho detto che era nei guai» bisbigliò Atino agli altri due.

Melfo annuì e sviò il discorso: «E anche noi senza indugi vogliamo assaggiare il meglio della tua cucina.»

«Arriva subito, e a un prezzo speciale per i nostri primi clienti.»

I tre si ritrovarono così davanti un pasto che neppure nei loro sogni più ingordi s'erano mai immaginati: quaglie alla graticola in salsa di zucca, con contorno di cipolle caramellate e accompagnate da un vino sansyano d'annata.

Il gusto rapì i loro sensi al punto che si accorsero di non essere più gli unici avventori della locanda con eccessivo ritardo: al bancone erano già schierati quattro armigeri.

Sapevano come finivano quelle retate: quando andava bene qualcuno veniva trascinato in malo modo alla più vicina gattabuia. Quando andava male ce lo portavano dentro una cassa.

Senza bisogno di parlarsi si accordarono sulla strategia e continuarono a mangiare fingendo indifferenza, ma senza perdersi una sola parola delle guardie.

«Ehi, oste!» chiamò in malo modo quello che pareva il più elevato in grado. «Sai dove possiamo trovare una locanda, In punta di coltello mi pare si chiama, un postaccio lercio pieno di delinquenti» disse a Terno quando lo vide affacciarsi dalla cucina.

Il novello oste non si scomposte: «Ha chiuso. Adesso in zona ci siamo solo noi, e come vede puntiamo sulla raffinatezza e su una clientela selezionata.»

Il militare e i suoi compagni si guardarono intorno, studiarono i tre uomini intenti a mangiare al tavolo vicino all'ingresso e poi si scambiarono occhiate di consenso.

«Già, un gran bel posto! Ci voleva proprio, questa zona stava cadendo nel degrado. Magari una di queste sere ci veniamo a mangiare, senza la divisa però!» rise insieme ai suoi commilitoni.

«Mi farebbe solo piacere» commentò Terno.

I gendarmi si congedarono con un saluto militare, e lo stesso fecero rivolti ai commensali seduti al tavolo, quindi uscirono per proseguire la loro caccia all'uomo.

Nolan, Melfo e Atino rimisero finalmente i loro pugnali nei foderi.

«Mi sa che cercavano me» commentò in un soffio Atino Duegrazie.

«Non ci hanno neppure riconosciuto» aggiunse Melfo.

«Ci fosse stato Weelbo, prima ancora di parlare c'avrebbero fatto stendere faccia a terra, col naso appiccicato a quel suo sudicio pavimento» concluse Nolan.

I tre si scambiarono un sorriso complice e compiaciuto, poi chiamarono Terno: «Ci porti ancora un po' di questo vino? E un dolcetto, se ce l'hai.»   

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