Capitolo 2. Una bella riunione di famiglia (1)

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Poche cose al mondo appassionavano davvero Alexander Maverick, e una di quelle era sicuramente una bella riunione di famiglia al completo.

Nella loro ristretta cerchia c'erano dei protocolli da rispettare: nessuno poteva arrogarsi il diritto di radunare tutto il parentado in una sola stanza, nemmeno David. Era una prerogativa del patriarca decidere dove e quando parlare con la sua stirpe, e tutti erano tenuti ad accorrere, senza se e senza ma. Era stato così da sempre, con ogni persona che avesse conosciuto, persino all'infuori del nucleo famigliare: Alexander Maverick ordinava e tutti eseguivano.

Era consapevole di mettere paura alle persone e se ne compiaceva, perché la paura è meglio di qualsiasi altro sentimento. Se una persona ti rispetta sai che prenderà in considerazione le tue parole, ma se ti teme sai per certo che non uscirà mai dalla strada che gli indichi. Non c'era modo di fare quello che voleva senza instillare il terrore nei cuori delle persone, lo sapeva da sempre e, pertanto, aveva fatto in modo che il suo nome fosse associato a quella sensazione; tutti i maghi del paese sapevano che con il vecchio Maverick non si poteva scherzare e non esisteva più una persona che osasse tenergli testa. Certo, c'era un ristretto drappello di giovani fruitori dell'arcano che non volevano accettare il giogo che Alexander stava silenziosamente ponendo intorno al loro capo, ma quel piccolo incidente globale di qualche mese prima aveva avuto come sfortunato effetto collaterale la morte dei suoi oppositori.

Da quel giorno di gennaio c'erano meno maghi nel Regno Unito, ma Alexander era convinto che la qualità fosse preferibile alla quantità. Non come suo padre: quello stupido idealista era troppo tenero di cuore ed era tutta colpa sua se il paese si era riempito di maghi dalle insignificanti capacità e dal sangue annacquato. "Dobbiamo crescere o finiremo estinti", diceva il vecchio Norton Maverick, "la magia dovrebbe essere alla portata di tutti, è solo così che verremo accettati dal mondo." Un sacco di stronzate, ecco cos'erano quelle. Se i loro vecchi antenati avessero potuto parlare, avrebbero vomitato addosso a Norton un mare d'ingiurie! Rendere la magia popolare? Era insulso, era insensato... era una bestemmia. La magia non doveva essere alla portata di tutti, era appannaggio di pochi eletti, quel numero ristretto di meritevoli capaci di usare il potere per comandare sulle masse. Comandarle, non educarle; non esisteva modo di insegnare alle pecore dove andare, potevi soltanto dirigerle indicando la strada tu stesso. Per fortuna quel sentimentale del vecchio Norton era morto prima che potesse fare troppi danni. La fortuna c'entrava poco, in effetti: diciamo che Alexander aveva un po' forzato la mano della dea bendata perché la Morte si portasse via il suo sconsiderato padre prima che riuscisse a organizzare un incontro con il governo. Non andava fiero di quel gesto, ma era stato necessario.

Ripensando a quello che aveva fatto nel corso della vita, Alexander si scontrò con la cruda evidenza dei fatti: se era vero che Justin aveva ucciso Martha, questo lo rendeva molto più Maverick di tutti gli altri suoi nipoti. Ironico che fosse stato proprio il nipote degenere per eccellenza a seguire le orme del nonno; proprio il sangue sporco, il ricordo quotidiano dell'errore di suo figlio, di quando David aveva disonorato la famiglia e tentato di buttare alle ortiche anni e anni di pianificazioni di un matrimonio degno per la sua progenie.

Un'ondata di calore pervase il volto rugoso di Alexander e l'uomo si alzò dalla poltrona piazzata davanti al piccolo caminetto spento nell'angolo della stanza da letto. A ripensare a quel disdicevole episodio gli veniva voglia di incenerire mezza foresta pluviale. Ah, quante speranze aveva riposto su David! Sperava proprio che suo figlio potesse venire su come lui, ma aveva preso troppo dalla madre. Era cambiato dopo l'incidente con Sheila e sembrava aver messo la testa a posto, ma Alexander sapeva che non sarebbe stato saggio abbassare la guardia con lui: c'era troppo di Carmen in quegli occhi freddi ma vigili, troppo della donna che era diventata la sua peggior nemica. Con Alexia, invece, era tutto un altro discorso. Quando una coppia ha più di un figlio, spesso succede che uno di loro assomigli di più al padre e l'altro alla madre; ecco, Alexia aveva ereditato più elementi da lui, quasi quanti David ne avesse presi da Carmen. Ad Alexander non importava proprio che lei fosse femmina, non era rimasto così ancorato ai tempi passati da voler per forza un erede maschio; certo, il nome era importante per una famiglia come la loro, ma aveva messo al sicuro il protrarsi della loro stirpe quando aveva convinto (forse costretto era il temine migliore) Alexia a dare il suo cognome al figlio al posto dell'orribile cognome del marito italiano che si era scelta.

Qualcuno bussò alla porta e Alexander socchiuse gli occhi. Fuori dalle finestre l'ultimo pallido chiarore del sole stava scomparendo oltre una fila di alberi in lontananza. Era già così tardi? Non si era proprio accorto del passare del tempo.

«Avanti,» ordinò, solenne.

La porta si aprì e il volto di Ingrid fece capolino all'interno. Aveva ancora gli occhi rossi e le tremava il mento, e parlò con un filo di voce esitante.

«Sono arrivati tutti,» sussurrò. «Il... il signorino Jacob...»

Ed esplose in un pianto disperato, sorreggendosi al battente.

Alexander scosse la testa e le si avvicinò, aprendo la porta e invitandola ad entrare. Le appoggiò una mano sulla spalla e la trasse a sé in un abbraccio molto freddo e poco spontaneo.

«Su, Ingrid, su,» le disse, accarezzandole meccanicamente i capelli castani, seguendone le venature argentate. «Ormai sei di famiglia, devi essere forte.»

Lei singhiozzò, affondando il volto paffuto nel petto di Alexander. L'anziano rimase fermo qualche secondo, poi, sentendo l'urgenza di svincolarsi da quell'afoso contatto umano, le prese le braccia e l'allontanò con un movimento delicato.

«Grazie, Signor Maverick,» mugolò Ingrid, abbassando gli occhi. «È... è stato orribile, io... lei stava lì così...»

«Tranquilla, Ingrid, respira,» disse Alexander, poggiandola una mano sull'avanbraccio e spingendola piano verso l'esterno. «Dovrai raccontare tutto alla famiglia, tra poco.»

Lei emise un sospiro tremulo e annuì, precedendo l'anziano Maverick fuori dalla camera; era giunto il momento di scendere nel salone, dove la famiglia al completo lo attendeva. Adorava comparire per ultimo, lasciandosi attendere da tutti gli altri. Era anche un modo per sancire la sua superiorità e per ricordare che era lui che aveva il controllo; sei persone erano accorse sotto il tetto della sua splendida dimora e gli era bastata una sola frase perché tutti scattassero sull'attenti, in attesa. Amava le riunioni di famiglia, lo facevano sentire vivo come non mai!

Quando varcarono il pesante doppio portone, i membri più importanti della casata erano già lì in attesa. Tutti quanti lo guardarono mentre, in silenzio, prendeva posto sulla poltrona vicino al tavolo da biliardo; tutti quanti, eccetto David, seduto al fianco di Jacob, che guardava gli arabeschi disegnati sul sontuoso tappeto con occhi arrossati e gonfi.

«Papà, che cos'è successo?»

Alexia si era alzata dal comodo sofà e aveva fatto un passo per raggiungere il centro della stanza e aveva iniziato a scrutarlo con quegli occhi acquosi, un eterno ricordo di sua madre.

«Martha è morta,» annunciò senza indugio Alexander, ricambiando lo sguardo della figlia. David si mosse sul divano, come a farsi più vicino a suo figlio.

«Sì, lo sappiamo,» ribatté lei, protendendo il mento smunto e assumendo quella posa da cavallo saccente che le riusciva sempre molto bene. «Ma com'è successo?»

«È stata assassinata,» spiegò Alexander, voltandosi appena per incontrare lo sguardo di Eugene, seduto su una sedia accanto alla gemella.

«Chi è stato?» chiese Sandy, torcendosi l'asticella sottile degli occhiali.

«L'unico parente che non è presente qui, direi,» rispose Eugene, appoggiandole una mano sulla spalla.

Jacob serrò le lunghe dita intorno al bracciolo del divano e le pupille gli si accesero di un'inquietante bagliore. Alexander dovette sforzarsi per non sorridere: ecco un'ottima reazione alla perdita di un genitore! La rabbia produceva risultati, la sofferenza portava solo all'inutile rimpianto.

«Non ci posso credere!» sbottò Alexia, voltandosi e facendo così turbinare i lunghi capelli platinati. Puntò il dito contro David che, stoico, continuava a guardare un punto indistinto della parete. «Ti avevo avvisato che quello stronzetto era pericoloso!»

Lui si voltò a guardare la sorella minore per la prima volta, il volto impassibile e gli occhi scuri asciutti e vuoti. Si aggiustò un singolo capello che era sfuggito dalla corta pettinatura e le rispose:

«Attenta a come parli, Alexia: tuo figlio potrebbe impressionarsi.»

Sandy sghignazzò e sia lei che il gemello si voltarono verso un angolo della sala, dove Arthur stava appollaiato su una poltrona singola. Il volto grassoccio gli si arrossò in un istante sotto quegli sguardi e il ragazzino si guardò intorno, evidentemente nel panico, come alla ricerca di una via di fuga. Alexander alzò gli occhi al soffitto; quel ragazzo non era altro che spreco di aria pulita, spazio vitale su un pianeta sovraffollato tolto a chi era più meritevole di vivere. Doveva essere tutta colpa dei geni arretrati del padre, Alexia si doveva essere bevuta il cervello quando aveva deciso di sposare quell'insulso italiano di media famiglia! Non c'era stato verso di farle cambiare idea e Alexander sapeva riconoscere una stupida ragazzina arroventata dall'amore adolescenziale quando la vedeva. Aveva provato a insistere, ma, alla fine, le aveva permesso di fare ciò che preferiva, dopotutto non doveva essere lei a portare avanti il buon nome della famiglia. O almeno era ciò che credeva quasi venticinque anni prima.

«Mio figlio non va in giro a uccidere la propria famiglia, almeno,» sbottò lei.

«Basta così!» proruppe Alexander, alzando imperioso una mano. «Non vi ho fatti venire qui per litigare, ma per par ragionare con voi su questa bruttissima vicenda.»

Alexia scoccò un'ultima occhiata a David e si allontanò, raggiungendo una sedia a pochi passi dalla poltrona dove sedeva il suo paffuto pulcino.

«Ingrid, tu hai assistito alla scena,» continuò l'anziano Maverick, facendo cenno alla domestica tremante di avvicinarsi a lui. «Ci vuoi raccontare che cos'hai visto?»

Lei si fermò a pochi passi dalla poltrona del capofamiglia e aprì le labbra tremanti, tenendo lo sguardo fisso sulle scarpe.

«La... la Signora Martha mi aveva chiesto di ricevere il tè in camera, quindi mi sono affrettata a prepararlo e portarglielo,» iniziò. La voce le si incrinò in un singhiozzo. «Quando sono arrivata, la porta era aperta e la Signora era stesa a terra in una pozza di sangue e... e il Signorino Justin era vicino a lei con un coltello in mano.»

Esplose in un pianto disperato e Alexander roteò gli occhi. Tutti quanti attesero che la domestica si calmasse e continuasse con il racconto.

«Quando si è accorto di me, ha alzato l'arma e mi ha minacciato. Ha urlato che mi avrebbe uccisa subito dopo... aveva gli occhi erano iniettati di sangue, sembrava un demonio uscito dall'inferno!»

Alexander alzò il sopracciglio e lanciò un'occhiata a David: fissava la domestica con la fronte corrugata. Già, se n'era accorto anche lui, allora; peccato, sperava che fosse abbastanza turbato da non far caso a quello che l'anziano aveva identificato in un istante. L'importante era che nessuno degli altri presenti paresse averci fatto caso: nei loro occhi si poteva leggere solo rabbia e dispiacere.

«Ho urlato e sono scappata via ad avvisare il Signor Maverick,» continuò Ingrid, tra un singhiozzo e l'altro. «Credevo veramente che sarei morta. È stato orribile, oddio, che cosa orrenda!»

Jacob si alzò in piedi di scatto e sbatté il pugno contro il bracciolo del divano.

«Io lo ammazzo con le mie mani,» mormorò.

«Cazzo, non gliene abbiamo date abbastanza quando era piccolo,» fece Eugene, grattandosi i corti capelli bruni, dello stesso colore di quelli di Sandy.

Una faccenda brutta, davvero brutta. Alexander si prese una manciata di secondi per riflettere, mentre gli altri occupanti della sala iniziavano a parlottare concitati tra di loro su quale fosse il modo migliore per punire Justin. Neanche a lui era mai andato a genio il figlio bastardo di David, ma era innegabile che, tra tutti, fosse quello che aveva ereditato più potere magico dal padre; era davvero una spreco di potenziale sapere che Justin doveva morire, ma non avrebbe certo potuto risparmiarlo anche dopo quello che aveva fatto; no, non sapendo quello che rappresentava. Il sangue era tutto per un Maverick e Alexander aveva deciso di tenere in vita il nipote illegittimo mosso da un curioso senso di pietà nei confronti di quel povero bambino: gli avevano già ucciso la madre, sarebbe stato troppo crudele troncare anche la sua giovane vita; o forse era stato crudele decidere di risparmiarlo e condannarlo, così, alla vita di maltrattamenti e odio che aveva conosciuto in tutti quegli anni con loro.

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