Capitolo 8. Istantanea del cielo d'Irlanda (2)

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«Non dovevi venire, Davie,» disse Carmen, lanciandogli un'occhiata obliqua con le iridi chiarissime, quasi color ghiaccio. Sorrise lieve, inarcando gli angoli della bocca. «Sono contenta di vederti.»

«Mamma,» sussurrò, sorridendo con gli occhi. «Sei via da giorni e te ne sei andata senza dire nulla a nessuno. Papà è preoccupato.»

Lei fece un verso di sdegno che risuonò nel liturgico silenzio della chiesa.

«Tuo padre non riuscirebbe a preoccuparsi di qualcuno neanche se lo vedesse finire in un fosso pieno di alligatori,» sbottò la donna, inarcando la schiena e appoggiandola contro il duro schienale della panca.

«Papà non è un mostro,» la rimproverò David, accigliandosi. «Lui è solo... solo un po' freddo.»

«È qui che ti sbagli, Davie,» spiegò Carmen, voltandosi a guardarlo per la prima volta. Aveva lo sguardo tristi e delle rughe premature le incrinavano la fronte. «Ogni essere vivente nasce che è un mostro. Avresti dovuto vederti da bambino, c'erano notti che avrei voluto strapparti la pelle di dosso! Che Dio mi perdoni!»

Si fece rapida il segno della croce e David si aprì in un sorriso.

«Sarà anche vero, ma crescendo si cambia,» ribatté lui, slacciandosi un paio di bottoni del cappotto nero e rivelando così un elegante golf grigio scuro. «Non sono lo stesso mostro urlante che ero ventuno anni fa, almeno spero.»

Rise e la madre gli fece eco. Un uomo dalla seconda fila si voltò e scoccò un'occhiata di fuoco.

«No, non si cambia,» lo corresse lei, alzando la mano a mo' di scusa; l'uomo tornò a fissare l'altare. «Crescendo, le persone si costruiscono una maschera. Il mostro rimane sempre dentro di loro, ben nascosto dietro a muri che l'educazione e la società gli costruiscono intorno.»

«Beh, sono sicuro che il muro che hai costruito intorno ai tuoi figli funzionerà a dovere!» esclamò David.

Lei scrollò le spalle.

«Non ho fatto un buon lavoro con entrambi i miei figli.»

Aveva smesso di sorridere, guardava le finestre in fondo alla chiesa con occhi distanti.

"Lascia perdere la vecchia, che ti frega se non torna più?"; la voce di Alexia gli echeggiò con prepotenza in testa, come se fosse stata urlata dal pulpito poco distante da loro.

«Alexia ha un carattere più simile a quello di papà,» disse David, ma quelle parole suonavano molto come una scusa debole, davvero debole.

Lei annuì ed entrambi non dissero nulla per quello che parve un minuto.

«Sei stato a casa?» chiese Carmen, rompendo il silenzio gelido della chiesa.

David annuì, il volto pallido e scavato del nonno gli si materializzò davanti.

«Il nonno non sta bene, mamma; non puoi prendertene cura da sola,» le disse.

«Mi aiuta Meredith,» mormorò lei, ma non sembrava tanto convinta.

«Meredith? Mamma, quanti anni ha quella donna? Era vecchia quando io ero bambino, Santo Dio!»

«Non tirare in ballo il Signore, lui non ti ha fatto nulla!» sibilò Carmen, folgorandolo con le pupille. «Meredith ha settantadue anni, ma è ancora in forza. Non ho mai conosciuto un'altra donna ancora così arzilla alla sua età!»

«Torna a casa, e porta anche il nonno,» disse David, corrugando la fronte. «Possiamo aiutarlo, se lo tieni in quella casa da solo sarà come... come ucciderlo lentamente.»

«Sono a casa,» replicò lei, con granitica fermezza. «Questa non è una delle tante volte, Davie. Non ho intenzione di tornare da Alexander, non più. Sono stanca e... spaventata, terrorizzata da quello che tuo padre cela sotto la maschera.»

«Oh, avanti, mamma, non fare la melodrammatica! Pensa a me: i tuoi nipoti sono appena nati, non vuoi vederli crescere?»

Di solito, con le donne, funzionava fare le leva sui sentimenti materni, ma sua mamma non sembrava voler cedere a nulla.

«Ne sono mortificata, ma no, non tornerò. Non ti chiederò di non rimettere mai più piede in quella dannata villa, perché conosco la risposta. Tu sei un Maverick; proprio come lui, in fondo.»

Una lacrima si distaccò dall'occhio destro di Carmen e corse fino al mento, dove rimase a indugiare a lungo.

«Promettimi una cosa, però, Davie,» continuò, senza dargli la possibilità di ribattere. «Giurami che non diventerai mai come lui. Giurami che Alexander Maverick non ti plasmerà a sua immagine. Giurami che non lascerai sopita la parte di sangue Doherty che c'è in te.»

David ripercorse la sua vita in un istante, come quando si è in punto di morte. L'infanzia nella gigantesca villa di famiglia, i duri addestramenti alle discipline arcane, le intense serate di studio con gli insegnanti privati, le lezioni di magia durante le quali i maestri lo costringevano a combattere con Alexia, perché "nel conflitto, il potere si assesta meglio", come diceva sempre suo papà.

Il grande e freddo Alexander Maverick, il cui nome faceva tremare di paura i maghi sia in patria che all'estero, discendente della rinomata stirpe nobiliare che risaliva a secoli nel passato. David era il primogenito, l'unico maschio, e il padre lo aveva forgiato per vent'anni allo scopo di farlo diventare una sua propaggine, lo strumento perfetto per ereditare le redini della loro potente famiglia. Rischiava davvero di diventare come lui? Diventare come lui in che modo, poi? Sarebbe stato un genitore assente per i suoi figli? Li avrebbe cresciuti in un ambiente austero e rigido, forti ma gelidi nel cuore e nell'anima? No, lui non era così.

Non era come Alexia.

«Te lo giuro, mamma,» sussurrò, chiudendo le palpebre per un istante per ricacciare la commozione.

Lei alzò la mano e gli carezzò la guancia, sorridendo. Si asciugò la lacrima che ancora le bagnava il mento e si schiarì la voce.

«Rimani a mangiare, questa sera?» gli chiese.

Lui annuì e si spalancò in un sorriso candido.

«Pollo da Dick?» chiese.

«Pollo da Dick!» confermò lei, tirandogli un buffetto sulla guancia e ritraendo la mano. «Dammi ancora qualche minuto.»

Lui annuì e si alzò; non era mai stato un grande frequentatore di chiese da quando era diventato abbastanza grande da poter decidere con la sua testa.

«Ti aspetto fuori, faccio un giro alla torre,» avvisò, e la donna annuì.

Ripercorse a ritroso il percorso nella navata e varcò la porta.

Quando uscì di nuovo all'aria aperta, aveva smesso di piovere, ma il cielo era plumbeo e velato da nuvole grigie che minacciavano nuove precipitazioni.

Svoltò a destra per seguire la parete esterna della chiesa e raggiunse la parte frontale, davanti a essa il prato inframezzato da tombe e lapidi si perdeva per metri tutto intorno alla struttura principale della cattedrale.

A pochi passi di distanza c'era la torre, rotonda e antica. Pareva un miracolo che si potesse reggere ancora in piedi. L'accesso era libero e una scala di legno partiva dal terreno e si innalzava per qualche metro, raggiungendo l'ingresso scavato nella pietra.

L'interno era buio, angusto e soffocante; il diametro superava di poco i cinque metri e gran parte dello spazio era occupato dalla scala a pioli di legno che saliva quasi perpendicolare al terreno. David ricordava che da bambino faceva a gara con Alexia su chi arrivasse per primo fino in cima; rivedere quella scala malconcia con gli occhi di un adulto gli metteva addosso un senso d'ansia infinita. Cazzo, aveva poco più di otto anni e sua sorella quattro, che cosa pensavano i nonni lasciandoli scorrazzare liberamente lì dentro? Sarebbero potuti cadere e fracassarsi la testa!

Mentre piazzava i piedi sul primo gradino e iniziava l'ascesa, giurò che non avrebbe mai portato Sandy e Eugene in quel posto prima dei loro quattordici anni! Rischiava di essere un padre iperprotettivo, forse, ma era meglio essere criticati per troppa prudenza che essere additato come genitore degenere.

Ci impiegò più di quanto ricordasse per salire i tortuosi gradini e, quando iniziò a vedere l'apertura che conduceva alla sommità esterna della torre, aveva il fiatone e si sentiva le gambe come fatte di mattoncini Lego.

Sbuffò e, infine, emerse a respirare l'aria pulita. Serrò le palpebre, con le mani e i piedi ancora appoggiate sugli ultimi scalini, e respirò a pieni polmoni per liberarsi dell'aria stantia dell'interno; era come stare in una bara di pietra, tanto era umido, freddo e buio lì dentro.

Quando le riaprì, David rimase folgorato, quasi perdendo la presa sull'esile corrimano a cui si era aggrappato.

Al contrario di quanto avesse pensato, non era l'unica persona sull'ultimo piano della torre.

Lei stava in piedi, appoggiata alla merlatura consunta e rovinata, una mano poggiata sulla liscia superficie della pietra, l'altra aggrappata all'inferriata metallica che era stata montata come cupola protettiva sopra la sommità, come misura di prevenzione per eventuali incidenti. Guardava fuori e, dalla sua posizione, David poteva osservarne solo il profilo: la pelle d'avorio ne disegnava i lineamenti morbidi, il naso era piccolo e sinuoso, le labbra pallide e sottili. Una nube di capelli color miele le vorticava attorno, e la chioma sparsa al vento seguiva il muoversi dell'aria, disegnando intricati ghirigori dorati intorno alla sua snella figura, coperta da un semplice vestito bianco lungo fino alle ginocchia.

La visione era, nel complesso, serafica, ma David non riusciva a staccare lo sguardo da quegli occhi. Azzurri, ma pallidi, come se le nuvole lattee del cielo si riflettessero in quelle iridi, frammenti di cielo rubati senza permesso. Era la donna più bella che avesse mai visto e, in quel momento, si dimenticò di essere sposato, persino di quei due gemellini vecchi di pochi mesi che lo aspettavano a casa nel North Yorkshire. Avrebbe voluto salire su quella torre due anni in anticipo, prima di conoscere Clarissa, prima che suo padre decidesse che quella era la donna giusta per portare avanti la loro stirpe.

Sbatté le palpebre e parve riscuotersi, si inumidì le labbra e concluse l'ascesa, abbandonando la scala polverosa e piantando i piedi sul pavimento antico di chissà quanti secoli.

Si appoggiò alla balaustra non troppo distante dalla donna e finse di guardare all'esterno, ma in realtà cercò ancora il volto della ragazza misteriosa. Forse non fu abbastanza discreto perché, appena voltò la faccia verso di lei, quella si girò e gli piantò le pupille addosso. David si sentì raggelare e un brivido gli percorse il collo, fino a raggiungere l'osso sacro. Ma che occhi erano quelli? Perché prima erano azzurri e ora gli sembravano grigi? E arrossati? Che stesse piangendo?

«Buongiorno,» gli disse la sconosciuta. Era pallida e, all'apparenza, inespressiva, ma le pupille balenavano di curiosità.

David rimase ammutolito, cosa piuttosto strana per lui, sempre spigliato e disinibito con il gentil sesso. Nessuna delle ragazze con cui era stato lo aveva mai fatto sentire così... così vulnerabile? Era questa la parola che cercava? Esposto, messo a nudo? Sì, si sentiva messo a nudo, sotto quello sguardo sapeva di non poter nascondere nulla, di poter essere solo sé stesso e niente di più. Erano occhi che potevano vedere oltre la maschera. Che potevano vedere il mostro, avrebbe detto Carmen.

«Salve,» rispose, passandosi, in un movimento fugace, la lingua sul labbro e ingoiando un grumo di saliva che gli si era incastrato in gola.

Osservò ipnotizzato i capelli dorati che le si muovevano intorno, fluenti. Pareva ambra fusa dispersa nel vento. Sarebbe stato quasi poetico, e non inquietante, se non fosse che in quel momento non tirava neanche un filo d'aria, e David se ne accorse cogliendo, con la vista periferica, la sommità immobile di un cipresso, nel prato qualche metro sotto di loro.

«Come fai a farli muovere così?» le chiese, corrugando la fronte.

Lei alzò le sopracciglia e si portò la punta del dito al labbro. David si mordicchiò un punto speculare a quello che lei si stava toccando.

«Beh, credo che sia il vento, no?» rispose lei.

Si voltò verso le fronde immobili dell'albero, fece spallucce e tornò a fissare David con quelle iridi cangianti.

«Cosa può essere, se non il vento?» mormorò.

David non riusciva a capire se fosse più impellente la tentazione di voltarsi e scappare oppure quella di lanciarsi su di lei, stringerle i capelli tra le dita e baciarla con foga fino a farle sanguinare le labbra.

Alla fine optò per un'educata via di mezzo. Si schiarì ancora la voce e chiese:

«Che ci fai quassù?»

Lei alzò il braccio e indicò verso l'alto.

«Guardo il cielo. Siamo in alto qui, è più facile da vedere.»

Beh, in teoria non faceva una piega, ma David dubitava che trenta metri di elevazione potessero incidere davvero. Quella donna era pazza, ma di una pazzia strana, quasi contagiosa; se gli avesse suggerito di provare a buttarsi giù dalla torre, David avrebbe probabilmente colto l'invito e sradicato la balaustra con le sue sole ridicole forze. Non era un adone: non era alto o muscoloso e neanche bello da impazzire come si diceva di Colin Firth (anche se un po' credeva di assomigliargli), ma sarebbe stato capace di qualsiasi azione se a chiederglielo fosse stata lei. Lei, la misteriosa sconosciuta di cui non sapeva neanche il nome.

«Non ti annoi a stare qui a guardare il cielo?» le chiese, avvicinandosi di un passo.

La bionda scosse la testa.

«Se pensi che sia noioso, tu cosa ci sei venuto a fare?» replicò, con una strana nota colorita nella voce.

Ah, bella da impazzire e pure svelta con la lingua, quindi! David si sciolse in un sorriso e appoggiò il fianco alla pietra del robusto parapetto.

«In realtà lo conosco bene questo posto, ci venivo spesso da bambino. Mi chiamo David.»

Tese la mano e lei gliela strinse dolcemente. La sua pelle era gelida e una scarica di brividi gli attraversò il braccio, come se avesse toccato un cavo esposto della corrente.

«Sono Sheila,» si presentò, un flebile sorriso a incresparle le labbra. «Non credevo fossi di qui, parli come—»

«Sono cresciuto vicino York, nel Regno Unito,» le spiegò subito, mentre lei ritraeva la mano. «Mia mamma è di qui, sono venuto un paio di giorni a farle visita.»

«Ah. Te ne andrai, quindi.»

Sembrava piuttosto delusa e David avvampò.

Si era fatta più vicina, in modo quasi distratto, tanto che il suo profumo di lavanda gli si infilò prepotente nelle narici, inebriandogli i pensieri, irretendo la parte razionale di cui andava fiero. Quanto bastava per dimenticare una vita intera? Pochi intensi minuti su una torre sperduta in mezzo al verde dell'Irlanda. Ci si poteva fare un film, su quella storia, tanto era irreale!

«Tornerò a trovarla,» rispose, con la voce roca. Simulò un colpo di tosse. «Potrei venire a trovare anche te, se ti fa piacere.»

Lei piegò il capo da un lato, come a nascondere il sorriso che si era allargato.

«Mi farebbe molto piacere, David,» mormorò. «Sarò qui. Mi piace stare qui.»

Lui annuì e le si avvicinò di un altro passo, i loro corpi potevano ormai sfiorarsi. Sheila si girò e i loro volti si incontrarono in un lungo e profondo sguardo. Avevano ancora cambiato colore, diventando arancioni, come la luce del tramonto che si riflette sulle nubi.

«I tuoi occhi...» bisbigliò lui, incapace di muoversi, «sono dello stesso colore del cielo.»

Lei rise, e il suono si confuse con il cinguettio di un passero non troppo distante.

«Mio papà me lo dice sempre,» confessò Sheila. «Sono gli stessi di mia madre: un'istantanea del cielo d'Irlanda, diceva.»

Non avrebbe saputo descriverli meglio. Suo padre doveva essere un poeta, o un uomo molto innamorato.

«Il nonno mi raccontava che alcuni bambini nascono dal cielo, giungono sulla terra con pezzi di firmamento incastonati nel volto e, quando crescono, non riescono proprio a smettere di guardare in alto, desiderando di tornare lassù.» Sheila alzò lo sguardo, le nuvole bianche si rifletterono nelle sue incredibili iridi. «Forse anch'io voglio solo tornarci, per questo continuo a venire qui a guardare il cielo.»

Qualunque cosa fosse, era sicuro che Sheila non fosse una donna come tutte le altre.

Lo sapeva, ne ebbe la certezza fin da quel primo momento sulla torre di Kildare e, negli anni a venire, ne avrebbe avuto la conferma.

In quell'aprile del 1993, per la prima volta nella sua breve vita, David Maverick scoprì cosa volesse dire essere innamorato.

Tornò molte volte, negli anni successivi, a fare visita a Sheila e, tutte le volte, la ritrovò sulla sommità della torre, come se anche lei lo stesse aspettando nel luogo del loro primo incontro.

David desiderò con tutto sé stesso che la vita potesse andare avanti in quel modo.

Ma lui era un Maverick, e i Maverick sono tenuti a prendere decisioni che prescindono dalla felicità.

Anche quando Sheila morì, David non si dimenticò mai quegli anni passati a guardare il cielo d'Irlanda riflesso nei suoi occhi.

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