Il violinista

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Le note meravigliose del violino volteggiavano leggere nell'aria, rompendo il silenzio di quella sera nebbiosa di fine ottobre.

Parevano soffermarsi intorno, sentiva l'eco della musica dentro di sé e fuori.

Le sensazioni che provava erano amplificate alla massima potenza, le note create dalle sue mani esperte passavano attraverso di lui, giungevano alle sue orecchie, fino a toccare il cuore, la sua anima tormentata di giovane e insaziabile uomo.

La passione travolgente che non trovava sfogo, qua era libera di rompere gli argini di un fiume in piena.

Suonava con gli occhi chiusi, assorto, concentrato, era un tutt'uno con quella composizione da lui creata appositamente.

Il violino nero, splendido nella lucentezza della vernice, nel pregio della fattura era un raro esemplare di valore inestimabile, ereditato da suo nonno e costruito da Antonio Stradivari, uno dei liutai più famosi dell'epoca e che aveva fatto della fabbricazione dei violini una mirabile arte.

Immaginava il maestro che si aggirava per i boschi dell'Alto Adige, per scegliere personalmente i legni che avrebbe usato per la fabbricazione dei suoi violini.

Il castello dove abitava si trovava in cima a una scogliera a picco sull'oceano Atlantico.

Era immenso e in stile gotico. Le tetre stanze parevano rispecchiare la personalità del suo padrone, che con gli anni era diventato, a causa di delusioni sentimentali e invidie, sempre più burbero e scontroso.

Di sua spontanea volontà aveva ricercato quella solitudine che lo ritemprava, prima di buttarsi di nuovo a capofitto nella vita mondana, fatta di concerti in ogni parte del mondo.

Era un violinista famoso e non poteva sottrarsi alla fama, anche se, visto il suo temperamento, avrebbe di gran lunga preferito isolarsi da tutto e da tutti.

Non amava la compagnia, anzi rifuggiva dai contatti umani.

Il violinista all'improvviso smise di suonare. Aveva avvertito uno strano rumore, un bussare e martellare insistente al grande portone in legno.

Le candele sparse in qua e là si spensero improvvisamente, facendo piombare tutto nell'oscurità più totale.

Di nuovo un colpo, lo sbattere delle finestre, un calpestio di piedi pesanti sul pavimento, un movimento appena impercettibile nell'aria.

In quel buio totale si avvertiva adesso un silenzio soprannaturale.

Il violinista si voltò, aveva l'impressione che ci fosse una presenza dietro di lui, che gli alitava sul collo.

Sentì sussurrare all'orecchio: "Sono lo spirito del violino nero e sono venuto a riprendermi ciò che mi spetta di diritto".

Sussultò in preda a un grande spavento, ricordandosi d'un tratto di quella storia sul violino nero di cui tanto aveva sentito parlare quando era piccolo. Era appartenuto a un violinista eccelso, che era caduto però in disgrazia ed era stato costretto a vendere il suo violino, la cosa che più amava al mondo. In seguito il musicista era morto in circostanze misteriose e da lì a poco strane congiunture e avvenimenti erano successi intorno alle persone che si erano trovati nella disgrazia di possedere quello strumento, il cui suono era straordinario. Qualcuno era morto, altri caduti in grave malattia, altri impazziti completamente.

L'alone di leggenda sinistra che ruotava intorno a quell'oggetto magnifico lo aveva accompagnato sempre, ma lui non ci aveva mai creduto. Allora era tutto vero!

Questo pensiero lo formulò in un attimo, consapevole che ci fosse davvero una presenza alle sue spalle.

L'uomo dietro di lui aveva un mantello nero come la notte, portava dei guanti anch'essi neri, un completo gessato e mocassini neri. Teneva nella mano destra un pugnale affilato, la cui impugnatura era impreziosita da gemme. Tutto avvenne in un attimo. L'uomo sollevò il braccio e la mano e praticò l'affondo nel suo costato.

Il violinista sentì un dolore atroce che gli trafisse il torace. Con la mano si tenne il petto tremando dal dolore. Il pugnale rimase conficcato tra il collo e l'addome, lì dove il suo cuore rullava al ritmo di un tamburo impazzito. Sentiva come un incendio dentro di sé, una sofferenza bruciante che lo dilaniava, una sensazione di perdita, di essere sull'orlo del baratro con le fiamme infernali sotto che gli lambivano le carni. In un ultimo disperato tentativo di salvarsi toccò l'oggetto portatore di morte, cercando di toglierlo, e si macchiò le mani di quel liquido vischioso rosso e scuro che mai gli aveva arrecato tanta impressione come adesso. Cadde per terra. L'improvviso lume della luna rischiarò la stanza, illuminando il volto del suo assassino.

"Tu?", disse con una voce fievole il violinista.

"Come hai potuto?", non riuscì a terminare la frase perché un fiotto di sangue venne fuori dalla sua bocca.

L'assassino non ebbe pietà, estrasse il pugnale, provocandogli un dolore insopportabile e lo colpì di nuovo, fermo, glaciale, senza nessuna compassione.

«Fermati Anselmo», supplicava lui muto, non riuscendo a formulare queste parole a voce alta.

«Perché mi fai questo?».

Suo cugino, l'adorato cugino lo stava pugnalando a morte; il violinista in ombra, quello a cui lui aveva cercato d'insegnare i trucchi del mestiere, preso da un'invidia incontenibile per il suo talento e per quel fantastico generatore di note celestiali che possedeva, lo stava uccidendo lì nel suo castello, senza alcuna remora.

Pianse, non meritava quella fine. Il suo violino sarebbe caduto in mani disonorevoli, non voleva che succedesse questo.

L'assassino prese lo strumento con la custodia e si accingeva a scappare, quando ecco un'ombra apparire laggiù nell'angolo accanto alla porta. L'ombra lo stava seguendo e lui non riusciva a muovere un solo singolo passo. Una forza invisibile lo tratteneva lì contro la sua volontà, una forza potente che agiva contro la forza di gravità e che gli portò via il prezioso oggetto che teneva stretto a sé.

Un suono di violino iniziò ad aleggiare nell'aria, le note erano permeate da una bellezza senza tempo e raccontavano storie di passioni e di amori, di malinconia e di dolcezza, di gioia, scene agresti, selvagge dove i pensieri correvano liberi insieme a quella musica.

Il violinista, sebbene fosse consapevole di essere a un passo dalla morte, sorrise. Aveva compreso tutto e ringraziò mentalmente colui che stava proteggendo il suo violino.

Anselmo ebbe paura. Il fantasma esisteva davvero? Era sempre stato scettico al riguardo.

Ebbe appena il tempo di formulare questo pensiero che si ritrovò per aria, agguantato da una mano invisibile che lo sospingeva forte verso la finestra del castello. Un soffio di vento la aprì in modo impetuoso e lui precipitò verso l'abisso, sfracellandosi sugli scogli a picco sul mare.

Il violinista con uno sforzo sovrumano riuscì ad avvicinarsi al violino. Pizzicò le corde che vibrarono sotto al suo tocco, come il corpo di una donna che vibra sotto alle carezze del suo uomo. Lo abbracciò come se si trattasse di una sua focosa amante. Lo imbrattò con il suo sigillo, con il sangue che stava continuando a sgorgare dalla ferita. Il sangue si mescolò alla vernice pregevole, ne fu assorbito per una strana potenza alchemica e magica, diventando parte integrante del colore che divenne ancora più scuro ma di una lucentezza raffinata.

Il violino catturò il suo ultimo respiro.

Ormai erano diventati una cosa sola.

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