23 - The Ballad of the Lonely Heart

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Avevano fatto un rapido giro per i mercatini di Natale allestiti in centro e poi erano rientrati a Oderzano, dove avevano fatto sosta al cimitero per ricordare chi non c'era più in quel giorno di festa.

Fiori freschi e colorati abbellivano la tomba di Will, dono di studenti e professori che tre giorni prima, finita la premiazione, avevano voluto ricordarlo e omaggiarlo insieme a Sara e Jem. Quella visita si era rivelata più traumatica del solito per quest'ultimo: vedeva solo fiori macchiati di sangue.

Aggiunsero un nuovo mazzo di gigli accanto a un'enorme corona natalizia con bacche lucide e foglie dorate con su scritto: "Al nostro più grande amore. Mamma e papà."

Dopo aver recitato sommessamente una preghiera per l'anima del giovane defunto, i Casiraghi e Sara fecero il segno della croce e ruppero le fila. Jem, però, non si mosse. Rimase ancorato al suo posto di fronte alla lapide dell'amico.

«Jem» lo chiamò a bassa voce Sara, a un metro da lui. «Andiamo?»

«Voi incamminatevi pure. Tra poco vi raggiungo.»

«Sicuro?» Sara gli strinse il braccio apprensiva. Jem annuì senza staccare gli occhi dall'immagine incastonata nel marmo bianco.

«Ok» Sara si staccò da lui e raggiunse il resto del gruppo, lasciandogli il momento di intimità che aveva chiesto.

«Guarda come mi sono ridotto» disse Jem in tono lugubre come se parlasse direttamente a Will, come se fosse lì ad ascoltarlo. «Avresti mai detto che sarei diventato un tale disastro? E pensare che già a quindici anni mi sentivo spacciato» aggiunse con un sorriso amaro che svanì subito. «Come se a quindici o diciott'anni uno sapesse come funziona il mondo o cosa è meglio per sé.»

Strinse i denti e chinò il capo, un rinnovato sentimento di collera a scuotergli l'animo.

«Beh, non è così: a quell'età non sai proprio un cazzo. Non sai cosa è meglio per te, ci sono ancora troppe cose che non puoi capire. Credi di sapere tutto di te e degli altri, ti senti invincibile, pensi di poter conquistare il mondo perché hai un grande sogno e tanta buona volontà. Ma non è così. Solo il tempo può darci le risposte che cerchiamo.

Ma tu quel tempo tu non te lo sei concesso. Perché? Credevi di avere già la risposta ai tuoi problemi? Sei stato davvero così egoista? No. Neanche tu avevi tutte le risposte. E, allora, perché non hai condiviso le domande che ti assillavano? Avremmo potuto cercare una soluzione insieme...»

Due grosse lacrime gli rigarono il viso, i battiti del cuore si fecero più rapidi.

«Tu non sai quello che hai fatto, quello che mi hai fatto» gemette, dando sfogo alla frustrazione che aveva accumulato. «Te ne sei andato senza dare spiegazioni, cancellando in una notte tutto quello che avevamo costruito! Credevo di essere il tuo migliore amico, credevo di contare qualcosa per te... Ma, se così fosse stato, non mi avresti lasciato. Tu... mi hai rovinato la vita!»

Jem strofinò la manica sugli occhi arrossati.

«Tu non hai idea di quanto io soffra per te. Di quanto mi tormenti per cercare una risposta, di quanto mi senta una merda quando mi sveglio e realizzo che tu, a differenza mia, non aprirai più gli occhi al mattino perché sei sotto questa cazzo di terra fredda e schifosa! Lo sai quanto fa male tutto questo? No, non lo sai. E non lo saprai mai, cazzo! Mai!»

Jem inspirò ed espirò a fondo nel tentativo di calmarsi. Deglutì e prelevò un foglietto dalla tasca del cappotto nero.

«Faresti bene ad ascoltare quello che ho scritto, ovunque tu sia» intimò al Will sorridente in fotografia. «Non è niente in confronto a prima, ma ho provato a cercarla l'ispirazione. Avevo promesso che la nostra voglia di scrivere poesie non sarebbe morta con te.»


La ballata del cuore solitario


Eterno bambino che conobbi,

rubavi fiori in un prato verdeggiante.

Cuore solitario, ebbro di vita,

toccavi il sole con la punta delle dita.


Sostavi su fili d'erba e intrecciavi corone di versi,

dolore muto dietro a un candido sorriso.

"Quanto pesa l'aria a chi non sa volare?"

domandasti un giorno oscurandoti in viso.


Ballavi su pozze di lacrime, cuore solitario,

ruotavi nei sogni e ti girava la testa

finché cadesti sull'arido suolo

che la tua linfa vitale ora alimenta.


I fiori che per noi cogliesti, cuore solitario,

torneranno in primavera.

Sbocceranno come tesoro

dalle gemme dei tuoi occhi.


Jem piegò il biglietto, si chinò e lo incastrò tra i fiori. Sarebbe volato via alla prima folata di vento o si sarebbe sciolto sotto la pioggia, ma non gl'importava. L'aveva scritto, letto e lasciato lì per lui. Tornò ad ammirare la foto che lo immortalava in una posa felice e che lo rendeva tale agli occhi di tutti i passanti.

"Muore giovane colui che al cielo è caro", lesse in una targhetta legata a un mazzo di crisantemi variopinti.

«Mi auguro che esista un aldilà, perché voglio credere che il tuo sorriso continui a risplendere da qualche parte lassù» disse con voce rotta.

Pensò a quando quel sorriso non era statico. Pensò alla sua voce, alla sua mano che prendeva rapida appunti in classe, o che tracciava lente linee di matita sulla carta da disegno, o che sfogliava rilassata le pagine di un libro. Pensò a quando sognava a occhi aperti. Pensò ai suoi abbracci, al suo profumo. Non voleva dimenticare tutti quei dettagli di lui. Non voleva che il tempo gli portasse via anche quello.

Dei passi alle sue spalle lo riportarono al qui e ora.

Con passo claudicante e sorretto dal bastone, l'anziano capofamiglia si trascinò al suo fianco.

«Povero ragazzo! Così promettente, così benvoluto» disse, voltandosi appena in tempo per vedere la mascella del nipote contrarsi. «Eppure, eccoci qui» concluse amareggiato. Il suo sguardo solitamente ferreo e immune ai sentimentalismi si addolcì di fronte alla maschera contrita sul volto del suo omonimo. Batté un paio di volte il bastone a terra e annuì lentamente, gli occhi rivolti alla foto di Will.

«Ne avrei di storie da raccontare su voi due... Eravate inseparabili! Ricordo come fosse ieri quando da piccoli venivate a villeggiare in montagna. Stavate tutto il giorno a giocare a nascondino e a rincorrervi dentro e fuori casa, finché le gambe non cedevano. Io vi rimproveravo ogni volta e, ogni volta, tua nonna rimproverava me. Mi diceva di lasciarvi giocare e che un giorno avrei rimpianto quelle urla e quelle aiuole distrutte. Aveva ragione, tua nonna. Oh, se aveva ragione...»

Gli occhi di Casiraghi senior si spostarono sul profilo affilato e malinconico del giovane uomo al suo fianco, così diverso da quello del bambino che gli metteva la casa sottosopra.

«Ti ricordi di quei giorni, figliolo?»

Un sorriso nostalgico apparve sul volto di Jem.

«Come fosse ieri.»

Il nonno emise un grugnito d'approvazione e tornò a fissare il volto incastonato nel marmo.

«Dimmi, secondo te perché è successo? Chi meglio di te può sapere cosa può averlo turbato a tal punto. Ci pensi mai?»

«Ci penso sempre. Giorno e notte» disse Jem con un filo di voce.

«E sei riuscito a darti una spiegazione?»

Jem sospirò.

«Temo fosse arrivato a un punto tale da vederla come l'unica soluzione.»

«L'extrema ratio, dici? Mmm. E cosa mai lo avrebbe spinto a tanto? Una famiglia che gli ha dato tutto, amici così sinceri e affezionati come voi...»

Jem strinse i pugni dentro alle tasche del cappotto. Ripensò alle memorie impresse con l'inchiostro sulle pagine di quel diario e si sentì, ancora una volta, impotente. La lapide che aveva davanti non faceva che rammentargli il suo fallimento come migliore amico.

Non era così che doveva andare.

Avrebbero dovuto finire il liceo, festeggiare la maturità con i compagni, iscriversi all'università, costruire quel futuro che avevano sempre sognato. In realtà, all'epoca non sapevano ancora in quale università sarebbero andati, né cosa avrebbero voluto fare da grandi. Ma di una cosa erano certi: qualunque prova la vita gli avesse messo davanti, l'avrebbero affrontata insieme.

Così come facevano da piccoli quando, per eludere i demoni che si nascondevano dentro all'armadio di notte, si nascondevano sotto le coperte e si facevano forza l'uno l'altro tenendosi per mano.

Insieme generavano un'energia travolgente, capace di spazzar via qualunque mostro.

Insieme erano straordinari.

Un'ondata di commozione mista a colpevolezza serrò la gola e riempì gli occhi di quel bambino dagli occhi color carbone ormai cresciuto.

Perché mi hai lasciato la mano?, gli domandò con la mente.

E se, invece, fosse stato lui ad avergli lasciato la mano?

Ma quando?

Possibile che non se ne fosse accorto?

Possibile che, a un certo punto, l'avesse lasciato da solo ad affrontare i suoi demoni?

Forse gli incubi in cui Will lo accusava di essere la causa dei suoi mali avevano un fondo di verità. Semmai avesse avuto prova di essere stato in qualche modo lui la causa della sua morte, sarebbe uscito di senno. Forse ci era più vicino di quanto pensasse.

Tirò su col naso e rivolse gli occhi gonfi al nonno.

«Probabilmente aveva dentro un dolore così grande da volersene sbarazzare a ogni costo.»

«Così grande da nasconderlo perfino ai suoi migliori amici?» Geremia senior lo squadrò con cipiglio indagatore. Jem si strinse nelle spalle.

«A quanto pare. E dire che stavamo quasi ogni giorno insieme, sapevamo tutto l'uno dell'altro... o, almeno, così credevo. Lui ha continuato a ridere e scherzare con noi fino alla fine. Qualunque cosa lo affliggesse, ce l'ha tenuto nascosto. Non ha voluto coinvolgerci, forse per proteggerci, conoscendolo. Mi chiedo cosa avrei potuto fare per impedire che...»

Jem lasciò la frase in sospeso, sopraffatto dall'emozione.

Nell'incubo delle rose, Will gli aveva confessato di soffrire per un amore non corrisposto.

Possibile fosse stato quello il motivo della sua morte?

Era strano, però. Non gli aveva mai detto di provare un sentimento così travolgente per qualcuno.

E se quel qualcuno fosse...

«Geremia, adesso stammi a sentire» disse perentorio il nonno afferrandogli un braccio e costringendolo a guardarlo negli occhi acquosi. «Tu porti il mio nome. Sei un Casiraghi! Non puoi lasciarti abbattere dagli eventi. Per quanto grave sia la tua perdita, devi reagire al dolore e affrontare il mondo a testa alta.»

«E come dovrei fare? Dimmelo tu, nonno: come faccio ad andare avanti?» scattò Jem con una nota di stizza nella voce. «Chiudendo le emozioni in un cassetto e gettando via la chiave? È così che hai fatto tu dopo che la nonna è...» la voce gli si spense in gola.

«Sì, Geremia: è così che ho fatto. Non c'è altro modo.»

Jem si morse il labbro, scosse il capo e si guardò attorno irrequieto, come se dovesse veder comparire da un momento all'altro una tomba con su inciso il suo nome.

«E se non ne fossi in grado?» ribatté affranto. «E se non riuscissi più a sostenere tutto questo? Se dovessi perdermi?»

L'anziano emise un sospiro grave e tornò a fissarlo da sotto le lenti spesse.

«Non ti perderai» sentenziò serio, la mano pesante e rugosa sulla sua spalla. «Non puoi permettertelo.»



FINE PRIMA PARTE

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