29 - Original Sin

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«Hey, buddy! What's up?»

«Ehi. Disturbo?»

«No no, tranquillo. A cosa debbo l'onore?»

«Io... ehm, chiamavo per chiederti se... sei in giro stasera.»

«Indovina.»

«Con i tuoi amici?»

«Sì, perché?»

«Perché... No, vabbè, lascia stare.»

«Ma che hai? Mi devo preoccupare?»

«No no! È che... Scusa, non dovevo...»

«Cristo, Jem, vuoi dirmi che succede? O devo tirare a indovinare?»

«Succede che ho litigato con Sara.»

«Ah! Ed è una cosa... seria?»

«Se n'è andata di casa.»

«Holy. Shit.»

«Già.»

«Cazzo, amico, mi... mi dispiace! Cosa pensi di fare?»

«A parte ripetermi fino all'esaurimento quanto sono stato coglione?»

«Ma dài, smettila! Non farne un dramma, capita a tutti di litigare. Siete persone ragionevoli, chiarirete.»

«Mmm.»

«Aspetta, aspetta, cosa dicevi? Che volevi unirti a noi? Ottima idea! Qualche bicchierino in buona compagnia è proprio quello che ci vuole.»

«Tu dici? Non so...»

«Lo so io, bro! Non vorrai stare solo a casa a piangerti addosso! Non c'è niente di peggio, dammi retta. Hai bisogno di distrarti.»

«So già che me ne pentirò, ma... ok.»

«Awesome! Stasera saremo al Blitz. Ti mando l'indirizzo.»



Come stabilito, quella sera s'incontrarono all'ingresso del Blitz, un altro locale gettonato dai giovani nel quartiere di Brixton. Il biondo lo salutò con una salda stretta sulla spalla e lo guardò apprensivo.

«E allora? Come stai?»

«Come uno che è finito sotto a un treno?» suggerì sarcastico Jem.

Ripensò ai motivi che l'avevano portato lì. Il pensiero che Sara avesse spiato nel diario di Will e che ci avesse quasi fatto sesso - nello stesso letto della loro prima volta, tra l'altro - a sua insaputa lo mandava fuori di testa, così come la consapevolezza che Will avesse tradito la sua fiducia. Stentava a credere che le due persone a lui più care gli avessero mentito sui loro sentimenti e occultato la verità.

L'avevano fatto davvero per proteggerlo? Con che risultato? Che uno era morto suicida, l'altra poco ci mancava e lui aveva rischiato un esaurimento nervoso.

Erano passati due giorni da quando Sara si era trasferita da Emily.

Da allora, non si era fatta viva, né lui l'aveva cercata, in una sorta di tacito accordo per cui ognuno pretendeva tempo e spazio per curare le ferite che l'altro gli aveva inflitto.

Da allora, Jem aveva saltato tutti gli appuntamenti lavorativi e universitari, e trascorso le ore in totale solitudine, sentendosi un idiota e chiedendosi dove avesse sbagliato.

Sfinito da quella specie di clausura e analisi intrapsichica autoimposta - e inconcludente - decise che avrebbe provato a prendere un po' d'aria e ad annegare dispiaceri, frustrazioni e il raziocinio a lui tanto caro nell'alcol per qualche ora.

E noi eravamo quelli che dovevano diffondere sogni d'amore e speranza tra i giovani...

Scosso da un brivido lungo la schiena, si strinse nel suo giubbotto di pelle e si guardò attorno. L'aria frizzantina delle sere di aprile e la scalpitante schiera di giovani che spingevano avanti e indietro lo rendevano ancora più nervoso e impaziente di togliersi di mezzo la strada.

«Il solito melodrammatico!» esclamò Dan in tono leggero, battendogli incoraggiante il palmo sulla schiena, per poi aggiungere: «Qualcosa mi dice che questa non sarà una serata alcohol-free».

«Cosa te lo fa pensare?» fece Jem laconico. In un battito di ciglia, Dan lo vide staccarsi dalla fila e dirigersi a passo celere verso l'ingresso.

«Hey, what the...» Dan lo andò a recuperare e se lo trascinò dietro prima che i buttafuori gli mettessero le mani addosso. «Are you kidding, man?! You're in England: the queue here is holier than the Crown!»

«Pff! I know, I know» brontolò Jem, incrociando indispettito le braccia come un bambino messo in punizione. Dan non credeva ai propri occhi. Jem che infrangeva le regole? Doveva essere parecchio provato.

«Will you please chill out?»

«Only when I forget why I am here» replicò tagliente Jem, lanciandogli un'occhiata da animale ferito. Dan alzò gli occhi al cielo mentre si figurava la piega che avrebbe preso la serata.

«Ok. Gotya.»



«Ma tu guarda che bell'inglesino!» constatò Dan, squadrando Jem dalla testa ai piedi dopo che questi ebbe lasciato il giubbotto al guardaroba: indossava jeans scuri tagliati all'altezza delle ginocchia e una maglietta nera sotto a una camicia aperta a quadri nera e rossa; i capelli, lisci e neri anch'essi, enfatizzavano il pallore del suo viso dai contorni spigolosi.

«Io?!» sbuffò corrucciato Jem. «Mai quanto l'originale» rilanciò per mascherare l'imbarazzo generato da quelle inattese quanto inopportune lusinghe.

«Macché originale? Dimentichi che sono uno "sporco mezzosangue"?» scherzò Dan consegnando, a sua volta, la giacca di jeans alla signorina tutta ciglia e rossetto della cloakroom. Un paio di jeans sbiaditi e sfilacciati scoprivano in più punti la pelle delle cosce muscolose, mentre il cotone di una t-shirt chiara si tendeva sul petto e le braccia.

«Prendiamo da bere?» propose Jem, staccando gli occhi dal fisico scultoreo del collega e indicando l'angolo bar con costruita disinvoltura. Quello era l'habitat di Dan, non il suo.

«Sure!» acconsentì il biondo, sfregandosi le mani. «Oooh, ecco gli altri» aggiunse, vedendo avvicinarsi la combriccola di amici. Salutarono Liam, Aiden, Noah e Thomas con un rapido giro di pacche e strette di mano.

«Vado a prendere da bere e torno» li informò Dan, mescolandosi ai clienti che stavano affollando il locale.

«Ehi, dude, come va? È un po' che non ci si vede» richiamò la sua attenzione Liam.

«Vero! Dovresti uscire più spesso con noi. Ci siamo divertiti a San Patrizio» confermò Thomas con un gran sorriso, i rasta pazzi che vibravano a ogni movimento del capo.

Jem passò i successivi dieci minuti a scambiare battute con gli amici di Dan che, forse, a quel punto poteva considerare anche amici suoi. Si sorprese a pensare alla spontaneità con cui Dan l'avesse incluso nel suo gruppo e a quanto fosse stato facile socializzare con loro - eccezion fatta per Noah, il quale continuava a trattarlo con distacco, come se volesse rubargli gli amici. Uno, in particolare. Chissà se si sarebbe mai ricreduto su di lui. Lui l'aveva fatto, seppur solo dopo aver sentito la sua triste storia da Dan.

«Weee weee, belli, come butta?» urlò, infine, quel giullare di Tony, sbracciandosi come un ossesso tra la folla. Non appena vide Jem, sgranò gli occhi: se lo tirò in disparte e si profuse in accorate scuse.

«Jeeeem! Mio Dio, che bello rivederti! Non sai quanto mi è dispiaciuto per l'altra volta» cominciò, gesticolando con veemenza. «Ero così contento di conoscerti che non mi sono reso conto di quello che dicevo» proseguì concitato, costringendolo a chinarsi per poterlo udire sopra alla musica assordante. «Posso solo immaginare cos'hai passato. Scusami per averti messo a disagio, sono mortificato...»

«Non fa niente, Tony. È passato, non pensiamoci più» lo rassicurò Jem, abbozzando un sorriso a indicare che accettava le sue scuse. Fece per congedarsi ma Tony lo trattenne, mettendo a dura prova lo stato già precario dei suoi nervi.

«Permettimi almeno di offrirti qualcosa! È il minimo...» aggiunse supplichevole artigliandogli il braccio con la sua mano grassoccia e sudata.

«Al prossimo giro, Tony!»

Dan sopraggiunse appena in tempo con un cocktail per mano. «Cheers!» esclamò festante, rifilando a Jem un'occhiata d'intesa insieme al drink colorato; lui approfittò del brindisi per mettere qualche metro di distanza tra sé e quell'appiccicoso di Tony. Quest'ultimo non parve essersela presa troppo: si era redento agli occhi del suo idolo e aveva trovato qualcun altro da importunare.

«Appena in tempo!» Jem emise un sospiro di sollievo. «Grazie.»

«Per il drink o per averti salvato da Tony?»

«Entrambi.»

«Anytime» sogghignò Dan, invitandolo a tuffarsi con lui nel mare di corpi in movimento.

«Ma è sempre così opprimente?» domandò Jem, scansando un manipolo di ragazze ubriache.

«Chi, Tony?» Dan fece spallucce per poi lanciargli una finta occhiata ingenua.

«Perdona lo sfogo, ma... non lo sopporto! Cazzo, mi mette le mani addosso ogni volta che mi vede!»

«Tranquillo, lo fa con tutti.»

Jem corrugò la fronte, dubbioso.

«Sicuro non sia gay?»

Dan sollevò le sopracciglia, poi scoppiò a ridere. «Che c'è, hai sviluppato il gay radar per caso?» lo stuzzicò.

Jem alzò gli occhi al cielo, sdegnato.

Nel frattempo, l'occhio rapido di Dan aveva individuato un punto a bordo pista dove poter consumare i loro drink. Gli fece cenno di seguirlo.

«Comunque, no, non è gay. È il suo carattere: si attacca come un polpo a qualunque cosa respiri» chiarì una volta per tutte. «Talvolta è sbadato e combina qualche pasticcio, ma è buono come il pane.»

«Sarà, ma a me fa venire l'ansia.»

«Solo perché vai subito in paranoia, convinto come sei che siano tutti ossessionati da te.»

«Ma lui è ossessionato da me» obiettò Jem.

Dan gli lanciò un'occhiata di rimprovero e levò il bicchiere davanti a sé. «Beviamo?»

«Cazzo, ma è fortissimo!» tossicchiò Jem dopo il primo sorso, sotto lo sguardo compiaciuto del biondo. «Meglio, no?» lo punzecchiò questi. «Prima sale, prima dimentichi. È quello che vuoi, no?»

Jem esitò. Si sentì di colpo vulnerabile e pieno di dubbi. Sentì affiorare qualche ripensamento su quell'uscita. Sapeva che Dan avrebbe attaccato la sua comfort zone alla prima occasione, e lui gli aveva praticamente lasciato carta bianca.

Piegò amareggiato un angolo della bocca e analizzò con sospetto l'intruglio rossastro che reggeva in mano.

«Cos'è?»

«Oblivion» Dan gonfiò il petto, fiero. «Un cocktail di mia invenzione: perfetto per l'occasione...»

«Perfetto per stendermi» dedusse Jem pungente.

«Senti, Jem, facciamo un patto,» Dan si fece di colpo serio «io non ti chiederò cosa è successo, e tu mi prometti che non ci penserai finché sei qua dentro.»

Jem emise un sospiro grave.

«Promesso.»

«Bene.»

Suggellarono il loro patto con un cenno d'intesa e bevvero fino a vuotare i bicchieri. Jem dovette prendersi qualche secondo per riaversi dal violento mal di testa che gli stava facendo vedere doppio. Al suo fianco, Dan rideva e gli appioppava energiche pacche d'incitamento. L'avrebbe maledetto volentieri per quell'intruglio velenoso che gli aveva fatto ingurgitare e che gli aveva mandato la gola in fiamme, salvo poi ricordarsi che non poteva che biasimare se stesso.

Recuperata la cognizione spazio-temporale e assicuratosi che le gambe fossero in grado di reggerlo, seguì Dan in una pista gremita animata dalle note di Do I Wanna Know? degli Arctic Monkeys.

(Do I wanna know?) If this feeling flows both ways

(Sad to see you go) Was sorta hoping that you'd stay

(Baby we both know) That the nights were mainly made

For saying things that you can't say tomorrow day

Crawlin' back to you

Jem ringraziò "l'effetto oblio" provocatogli dal cocktail di Dan, che alleviò magicamente le sue ansie sulla pressione dei corpi estranei e accaldati contro il suo, e sull'aria buia e pesante inframmezzata da fasci di luci colorate.

Spegni la mente e lasciati andare.

Non pensare a niente.

Hic et nunc.

Chiuse gli occhi e si sforzò di concentrarsi sul proprio corpo: sentì la testa farsi leggera e il cuore rimbombare forte nel petto a ritmo di musica. Quando li riaprì, scoprì che il sex appeal del suo collega non era passato inosservato. Individui di ogni genere ed età se lo stavano mangiando con gli occhi.

«Non ti scoccia avere tutti quegli sguardi addosso?» gli gridò all'orecchio per farsi sentire.

«Al contrario» rilanciò Dan, muovendosi sensuale su Piece Of Your Heart dei Meduza. L'azzeramento dello spazio personale e l'inevitabile sfregamento tra corpi danzanti non gli provocavano alcun disagio, e lo invidiò per questo.

I suoi occhi blu ebbero un guizzo quando incrociarono quelli di due ragazzi che gli sfilarono accanto.

«E poi... chi dice che guardino solo me?»

Jem si bloccò e lo fissò allibito.

«Pardon?»

Le luci colorate illuminarono a intermittenza il ghigno furbesco sulle labbra di Dan.

Non starà insinuando che...

L'eventualità che gli occhi di qualcuno potessero essersi posati su di lui lo lasciò tramortito per una manciata di secondi.

Non si era mai ritenuto un bel ragazzo, e non si era mai preoccupato di piacere a qualcuno all'infuori di Sara. L'ipotesi che degli sconosciuti, di sesso maschile per giunta, fossero attratti dalla sua esteriorità gli suonò a dir poco ridicola.

«Stai scherzando!» esplose incredulo. Dan scosse il capo, e spiò un punto oltre la sua spalla.

«Per niente. Secondo me hai fatto colpo.»

«Cos... io non voglio fare colpo!»

Il biondo gli indirizzò un sorrisino complice e gli punzecchiò il fianco col gomito.

«Eddaaai, non fare lo scandalizzato! E poi ci sono io con te, di che ti preoccupi? Siamo qui per divertirci, come tutti. Chill out, lad!»

Deciso a mettere in atto il suo nuovo piano diabolico, Dan gli indicò con un cenno il punto del bar in cui i due ragazzi avevano sostato.

«Andiamo a presentarci?» lo istigò malizioso, circondandogli il collo col suo braccio pesante. «Parlo io per primo, se ti vergogni» aggiunse, accostandoglisi all'orecchio e sfiorandogli la guancia con la punta del naso.

«Ma tu sei pazzo!» replicò Jem scombussolato, non sapeva se per la proposta indecente o per quel contatto ravvicinato. Forse per entrambi, ma non era nelle condizioni di darsi una risposta. «Cosa ti fa pensare che voglia mettermi a flirtare con dei maschi?» protestò schifato, sganciandosi dalla sua presa e ripristinando una distanza tale da non dare adito a pensieri equivoci sul loro conto. Dan incrociò le braccia nerborute e sollevò un sopracciglio.

«Non vuoi?»

«Neanche per scherzo! Non sono ancora così ubriaco...»

«I see» concesse Dan con espressione tutt'altro che rassegnata. «Beh, vorrà dire che riproverò più tardi.»



Era passata l'una e, tra balli, bevute e urla con gli amici di Dan, Jem aveva perso di vista quest'ultimo. Si separò dai suoi per raggiungere la porta laterale del locale che dava su un cortiletto interno, delimitato su tre lati da muri di mattoni dove gruppetti di ragazzi si ritrovavano a fumare e chiacchierare.

Lo trovò in fondo, da solo.

«Ehi» richiamò la sua attenzione, avvicinandosi con passo instabile.

«Ehi!»

«Disturbo?»

Dan fece di no col capo. «Avevo bisogno di una boccata d'aria. È più caldo dell'inferno là dentro» disse, cavando un accendino dalla tasca dei jeans e facendolo scattare sull'estremità di uno spinello.

«Una boccata d'aria, eh?»

Il biondo sogghignò e mise via l'accendino. Fece un primo tiro e, senza parlare, allungò la canna nella sua direzione. Jem si trovò spiazzato da quel gesto: l'idea di stare lì appartato con Dan a fumare lo metteva a disagio. Scosse il capo con fermezza.

«Perché no?» Dan increspò la fronte, poi sgranò gli occhi. «Non dirmi che non ti sei mai fatto una canna!»

Jem ficcò le mani nelle tasche e poggiò una spalla contro il muro di mattoni. «No. E allora? Dovrei sentirmi in colpa anche per questo?»

«Sicuro che non vuoi provare?» ritentò Dan.

«Perché dovrei?»

«Perché no? Magari ti piace.»

«Non credo proprio.»

«Come puoi dirlo, se non lo provi?»

Davanti alla persistente ritrosia di Jem, Dan si strinse nelle spalle e riprese a fumare. Jem osservò una nuvoletta di fumo uscire dalle sue labbra e sciogliersi nell'aria.

«Guarda che non devi rendere conto a nessuno» riprese Dan, secco, tornando a guardarlo. «Non stasera. Non a me.»

Jem trasalì quando Dan si mosse verso di lui, riducendo la distanza tra i loro corpi: diede un altro tiro, soffiò di lato il fumo e gli puntò gli occhi addosso con una tale sfrontatezza da provocargli una stretta al cuore. Quegli occhi erano pericolosi e insondabili come pozzi: ci cascavi dentro e non sapevi se ne saresti uscito intero.

Staccò a fatica lo sguardo dal suo, ma peggiorò solo le cose: l'occhio, infatti, gli cadde sui bicipiti scolpiti, la coscia muscolosa piegata in avanti, il jeans sfilacciato teso sulla pelle nuda del ginocchio...

Il corpo reagì prima della mente.

Dan era bello.

No: Dan era sexy. Fottutamente sexy.

Non aveva mai pensato quelle cose di un ragazzo. Non aveva mai provato attrazione per un ragazzo.

Ora che aveva avuto modo di conoscerlo, ora che l'aveva accanto, si rese conto di quanto fosse arduo resistergli.

Gli venne quasi da ridere nel figurarsi la scena dall'esterno: una moderna e irriverente versione del peccato originale. Con Dan che, al posto della mela dell'albero proibito, gli offriva uno spinello.

La sua parte era dunque già scritta?

Dan una volta gli aveva detto che lui, e solo lui, era padrone del proprio destino.

Doveva crederci?

Avrebbe potuto rifiutare e grazie tante, oppure cedere alla tentazione. Stava a lui scegliere.

Con un sospiro rassegnato, prelevò lo spinello dalle dita dell'angelo tentatore e portò le labbra dove un secondo prima c'erano le sue; questi non gli staccò gli occhi di dosso mentre faceva un rapido tiro e glielo restituiva con una smorfia amara.

«Ecco fatto. Contento?»

«Non proprio. Ti vedo triste. Ok: più triste del solito, ma... in un modo diverso. Non so» fece Dan esitante nel tentativo di decifrare il suo malessere. «Se vuoi dirmi che hai, io...»

«Preferisco di no, grazie» grugnì Jem. Sfilò la canna dalle dita del biondo, il quale sollevò un sopracciglio nella sua direzione.

«Scusa. Non sono fatti miei.»

Jem abbandonò le spalle contro il muro, alzò gli occhi e si concesse un altro tiro; la nuvoletta che uscì dalla sua bocca offuscò per un attimo le stelle davanti ai suoi occhi già appannati dal fumo e dall'alcol. Si guardò attorno: giovani ubriachi urlavano e si strattonavano, improvvisavano goffi passi di danza a pochi metri da loro. Sembravano così allegri e spensierati. Sembravano godersela davvero quella che qualcuno avrebbe chiamato "gioventù bruciata". Sentì il sapore acre dell'erba in bocca e le dita fredde della sera lambirgli il collo. Deglutì.

«Ho rovinato tutto» confessò, a denti stretti, facendo drizzare le orecchie a Dan. «Noi stavamo bene insieme... avevamo trovato un equilibrio, ci eravamo rifatti una vita qui, e poi... e poi ho mandato tutto a puttane!»

Dan tacque per alcuni secondi, prima di sussurrare un sentito: «I'm sorry».

«Non so come, finisco sempre col far soffrire quelli a cui tengo» Jem scosse il capo, cercando di ignorare il pizzicore che gli era salito agli occhi. Era come se qualcosa si fosse spezzato. Il rapporto con Sara e Will, la loro intesa perfetta, il loro sogno: tutto ciò che avevano coltivato con tanta dedizione era andato in fumo. Un nuovo interrogativo si affacciò alla sua mente.

«E se non fossi capace di amare?».

«Bullshit!» esclamò Dan. «Tutti sono capaci di amare.»

«E, allora, perché non sono in grado di dimostrarlo?» si sfogò Jem. «Perché non riesco a essere il figlio, l'amico, il fidanzato che vorrei? Perché non riesco a renderli felici?»

Dan sondò il cielo stellato, sovrappensiero. Poi tornò a guardarlo e gli disse: «Con tutto il rispetto, Jem, dovresti provare a cambiare punto di vista. Forse la domanda che dovresti porti non è "posso io rendere felici loro?", ma "possono loro rendere felice me?". Potrà suonarti egoistico, ma il primo atto d'amore lo devi a te stesso. Sempre. Se non ami te stesso, come puoi pretendere di amare gli altri?».

Jem abbassò lo sguardo e lasciò sedimentare dentro le parole di Dan.

«Senti, so che ora vedi tutto nero ma non sarà per sempre così. Continuare a tormentarsi non serve a nulla. Perché non provi a liberare la mente e a goderti la serata?»

Jem gli lanciò un'occhiata scettica.

«Quindi, in conclusione, sarebbe questa la soluzione universale ai mali dell'uomo? Sesso, droga e rock n'roll? Con te ha funzionato?» s'informò Jem serio.

Dan sollevò le spalle. «Non è una soluzione universale, né definitiva, ma... sì: all'inizio, distrarsi aiuta. Aiuta a mettere da parte il dolore e il tuo benessere al primo posto» spiegò mordendosi il labbro, sovrappensiero. «Ma non è qualcosa che dura. Alla lunga, può fare più male che bene.»

Jem annuì, imbronciato, fissando il fumo dissolversi nell'aria fredda e umida della notte.

«Mi sta bene che duri anche solo per stanotte.»

«Ah sì?» Dan spalancò gli occhi. «Mi sorprendi, Jem: non ti facevo uno da una notte e via!» disse malizioso, affondandogli il gomito sul fianco e vedendolo ridere per la prima volta quella sera.

«Hear hear,» mormorò soddisfatto di fronte a quella risata liberatoria «mi toccherà sempre dire qualche cazzata per vederti sorridere?»

A quella battuta, Jem impietrì.

Sta dicendo che gli piace vedermi sorridere?!

«Naaah» minimizzò con un'impacciata scrollata di spalle. «Basterebbe solo qualche uscita in più.»

«O qualche canna in più!»

I due si guardarono e scoppiarono a ridere. Esorcizzata la tensione imbarazzata di qualche istante prima, Jem sentì di potersi finalmente lasciare andare. Avrebbe potuto dire scemenze e ridere come un deficiente per tutta la notte, e nessuno l'avrebbe guardato male.

Proprio in quel momento, Dan si sporse verso di lui, provocandogli un mezzo infarto. Il respiro gli si bloccò in gola mentre il ragazzo, a un palmo dal suo naso, gli toglieva il mozzicone dalle dita, sfiorandole, e lo accostava alle labbra carnose senza staccare gli occhi dai suoi. Allora, Jem si sorprese a desiderare qualcosa che mai pensava avrebbe desiderato.

Desiderò baciarlo.

Desiderò sentire la consistenza e il calore di quelle labbra sulle sue.

Erano così invitanti, così vicine...

Se solo il tempo si fosse fermato, se solo lui avesse potuto muoversi liberamente in quella scena bloccata come un fotogramma in bianco e nero, forse l'avrebbe fatto.

Forse si sarebbe concesso quell'azzardo, prima di venire ridotto a un cumulo di cenere da un qualche dio crudele.

Forse.

«Allora? Rientriamo?» Dan si staccò dal muretto, fece un ultimo tiro e spense il mozzicone sotto la suola delle sue sneakers.

«Direi di sì. Sto congelando» mentì Jem, mentre le sue fantasie svanivano insieme all'ultimo sbuffo di fumo nella notte.

L'attimo era passato. E lui non l'aveva colto.

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