33 - Call Me but Love

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Finite le lezioni del mattino, si erano piazzati a prendere quel po' di sole che filtrava dalle nuvole nei gradini di fronte al Lower Refectory, sotto alla Wilkins Terrace. Erano seduti alla base della scalinata che univa il piano superiore a quello inferiore dell'ampia terrazza brulicante di studenti, Jem qualche gradino più in basso rispetto a Dan.

«Novità da Sara?» domandò il biondo, gli avambracci sulle ginocchia piegate e una sigaretta tra le dita.

Jem scosse il capo. «Non mi risponde da giorni» lamentò, stravaccato sui gradini.

Dan riprese a fumare con aria pensosa. «Hai chiesto alle sue amiche?»

«Sì, ma è stato inutile» brontolò Jem. «Si sono messe d'accordo a non dirmi niente, a quanto sembra. Non so che fare.»

Dan annuì, solidale. «È evidente che vuol essere lasciata in pace. Dalle un po' di tempo, sono certo che si farà viva quando se la sentirà.»

La smorfia sul volto di Jem rispecchiava la sofferenza dell'attesa e l'irritazione dovuta a quella situazione di stallo. Gettò uno sguardo apatico agli studenti che stavano consumando cibo e bevande ai tavolini esterni del refettorio; poi, lo posò su Dan che aveva tirato fuori il telefono dalla tasca.

«A proposito di farsi vivi...» disse, indicando lo schermo con disappunto.

«Qualcuno che non doveva?» dedusse Jem dal suo tono scocciato.

«Non me l'aspettavo» precisò Dan. «Credevo di essere stato abbastanza chiaro...»

«Magari lo sei stato, ma non tutti si accontentano di una one night stand» gli fece notare Jem. Dan sollevò le sopracciglia, sorpreso da quell'esplicito riferimento alle sue avventure sessuali.

«Non sarò disinvolto come te in fatto di relazioni, ma non vengo dal regno delle fate» proseguì Jem sarcastico. «So come vanno certe cose, e ti ho anche detto come la penso in proposito. Comunque, se qualcuno avesse voglia di rivederti, non puoi fargliene una colpa... vuol dire che gli hai lasciato un bel ricordo. È una cosa positiva, no?»

Dan si strinse nelle spalle e si guardò attorno, imbronciato.

«Dipende.»

«E, allora, se non hai più voglia di vedere qualcuno che fai? Ghosting

«Ah ah ah! No no, non è nel mio stile» ridacchiò il biondo. «Dovrò solo essere più esplicito. Se non mi va di frequentare qualcuno, non mi va. C'è poco da discutere» concluse, digitando quello che doveva essere un messaggio d'addio all'audace spasimante.

Mentre metteva via lo smartphone, visibilmente sollevato, a Jem venne in mente un'altra domanda.

«Ti è mai capitato di trovarti dall'altra parte? Di fissarti su qualcuno che non mostra interesse?»

«Uhm... sì, mi è capitato.»

«E, in quel caso, che fai? Riesci sempre ad attirare la sua attenzione?»

Dan sollevò un angolo della bocca in un ghigno spavaldo, come a dire: "ho i miei trucchi".

«Ok, poniamo che con quel qualcuno si sia stabilito un contatto. Che succede quando si arriva a un punto morto? Quando nessuno fa la mossa successiva?»

Dan scartò il mozzicone e batté i palmi sulle ginocchia.

«Succede che bisogna prendere l'iniziativa.»

Jem lo vide scattare in piedi, salire in cima alla scalinata e piazzarsi dietro alla ringhiera nera che correva sul lato della Wilkins Terrace che si affacciava sullo spiazzo del Lower Refectory.

«Dan?! Ma che...» Jem gli lanciò un'occhiataccia tra il rimprovero e l'allarmato. Prima che potesse reagire, Dan si schiarì la voce e declamò solenne:


O Romeo, Romeo! – wherefore art thou Romeo?

Deny thy father and refuse thy name.

Or, if thou wilt not, be but sworn my love,

And I'll no longer be a Capulet.


Il chiacchiericcio si spense come se fosse stato premuto un interruttore. In un attimo, gli occhi di tutti gli erano addosso.

Jem guardò Dan allibito.

Come gli era saltato in testa di inscenare la celeberrima Balcony Scene lì? Uno dei punti di ritrovo preferiti dagli studenti, e nell'orario di punta per di più!

Lo shock seguito a quella mossa audace aumentò quando il collega gli indirizzò un'espressione incoraggiante che lo invitava a continuare.

Jem avrebbe preferito sprofondare sottoterra, piuttosto. Peccato ci fossero decine di studenti che li fissavano con occhi grandi e lucenti, in trepidante attesa che lo show proseguisse.

Bastardo!, imprecò tra sé, scuotendo appena il capo.

Conosceva quegli sguardi affamati, li aveva incontrati nelle sue tappe da Dreamer in giro per l'Italia. Sapeva cosa chiedevano. Sapeva cosa rispondere.

Questa me la paghi, assicurò con uno sguardo di sfida alla controparte. Fece un profondo sospiro e recitò:


Shall I hear more, or shall I speak at this?


Il volto di Dan s'illuminò. Assicuratosi la complicità di Jem, portò avanti la recita con ulteriore slancio, sotto agli occhi curiosi dei presenti.


Dan:

'Tis but thy name that is my enemy.

Thou art thyself, though not a Montague.

What's Montague? It is nor hand, nor foot

Nor arm, nor face nor any other part

Belonging to a man. O, be some other name!

What's in a name? That which we call a rose

By any other word would smell as sweet.

So Romeo would, were he not Romeo called,

Retain that dear perfection which he owes

Without that title. Romeo, doff thy name;

And for thy name, which is no part of thee,

Take all myself.


Jem:

I take thee at thy word.

Call me but love, and I'll be new baptized.

Henceforth I never will be Romeo.


Un applauso spontaneo si levò dalla piccola folla radunataglisi attorno, suscitando larghi sorrisi in uno, e occhiate sfuggenti nell'altro. E mentre Dan si profondeva in piccoli inchini di ringraziamento a un pubblico estasiato, Jem recuperava lo zaino e si allontanava da quell'improvvisato palcoscenico, pregando che nessuno li avesse ripresi o fotografati.

Ma perché l'ho assecondato? Dovevo ignorarlo, lui e la sua assurda sceneggiata.

«Eeehi, ma dove vai? È così che mi lasci: sedotto e abbandonato?» lo raggiunse Dan in una corsa.

«Hai finito, Giulietta?» inveì Jem a denti stretti, imboccando un corridoio affollato in cui gli sembrò di avere tutti addosso.

«Aaah! Non dirmi che non hai gradito la parentesi letteraria» sogghignò Dan alle sue calcagna, puntandogli un gomito sul fianco.

«Ne avrei fatto volentieri a meno» rigò dritto Jem.

«E dài, dillo che hai sempre sognato di recitare quella parte!» lo istigò Dan con un sorrisetto malizioso che gli fece alzare gli occhi al cielo. Si fermò a un angolo, puntò i piedi a terra e lo squadrò torvo.

«Perché l'hai fatto?»

Dan scrollò le spalle.

«Perché mi annoiavo.»

«Ah!» Jem spalancò gli occhi, incredulo. «Quindi hai deciso di mettermi in ridicolo per scacciare la noia?»

«La noia l'abbiamo scacciata di sicuro! E tu sei stato al gioco, mi pare.»

«Non mi hai lasciato scelta.»

«Non è vero.»

Jem scosse il capo e riprese a camminare, scuro in volto.

«Ok, lo ammetto» Dan allargò le braccia. «L'ho fatto per provocarti.»

«Bene. Ci sei riuscito. Soddisfatto?»

«Non sai quanto» sghignazzò Dan, trionfante.

«Adesso basta» tagliò corto Jem, guardandosi attorno con circospezione. «Ne ho abbastanza di questi giochetti.»

«E, allora, perché non mi hai ignorato?» insisté Dan.

«Non si può ignorare Shakespeare» si difese Jem.

«Appunto» confermò Dan guardandolo in tralice. «Vuol dire che ho capito come far colpo su di te.»

Le gambe di Jem si arrestarono mentre quella frase gli riecheggiava nelle orecchie.

«Era questo che volevi?» domandò incredulo.

«Volevo vedere questa faccia» lo indicò Dan con un sorriso ambiguo.

Jem non capì dove voleva andare a parare, ma la piega che aveva preso la discussione non gli piaceva per niente. Emise uno sbuffo irritato e puntò l'uscita.

«Lasciami in pace.»

«No, sei tu che devi lasciarti in pace! Perché tutte queste paranoie? Abbiamo fatto qualcosa di male? Non credo. Che t'importa di cosa pensano gli altri? Avranno pensato che siamo pazzi? E hanno ragione! Quanti giovani sani di mente scelgono di studiare lettere oggigiorno?» dichiarò con convinzione. «E, allora, a che serve studiare Shakespeare se non sappiamo neanche concederci un po' di drama nella vita

Jem arricciò le labbra in una smorfia amara.

«Ho già abbastanza drammi per la testa senza che ci aggiungi i tuoi.»

«Oooh, che cazzo di Romeo rompicoglioni!» gemette Dan, allargando le braccia con fare teatrale. «Comunque, complimenti per la performance: sei stato alquanto credibile, erano tutti estasiati. E, poi, hai una bella pronuncia.»

«Grazie, e tu hai un bel... ehm...»

Jem non fece in tempo a mordersi la lingua che aveva già gli occhi curiosi di Dan addosso.

«Uhm... un bel... t-timbro vocale.»

«Intendi la mia... voce?!» si stupì Dan. «Ti piace la mia voce?»

«Diciamo che non è male, una volta fatto l'orecchio» se ne uscì Jem impettito.

«Wow, I'm impressed!» esclamò Dan. «Non avevo mai ricevuto un complimento così... originale.»

«Di sicuro ne avrai ricevuti di migliori» lo rimbeccò Jem.

Dan proruppe in una risata colpevole. «In effetti, ora che ci penso» rifletté sornione, passandogli un braccio attorno alle spalle. «Vuoi sentirne qualcuno?»



Varcò i cancelli della UCL con un gran sorriso stampato in volto, fra le braccia libri di semantica e pragmatica presi in prestito in biblioteca, più un terzo avvolto in carta regalo.

Dopo un estatico tour per le librerie di Cecil Court, nel cuore di Covent Garden, aveva scovato una prima edizione del Childe Harold's Pilgrimage di Lord Byron che non poteva lasciarsi sfuggire. Le era costata un occhio della testa, ma ne era valsa la pena: Jem l'avrebbe adorata!

Con questi pensieri allungò il passo, elettrizzata, figurandosi già la sua faccia.

Stava ripassando il suo discorso di riconciliazione quando in cima alla scalinata principale, fra le bianche colonne della facciata, li vide.

Erano l'uno accanto all'altro e si scambiavano sguardi complici, il braccio di Dan sulla sua spalla.

Il sorriso le scivolò via dalle labbra, così come i libri dalle mani; caddero a terra con un tonfo secco, lasciando due braccia vuote e un cuore spezzato.

«Oh, no... Sara!» sussurrò il moro, precipitandosi giù per le scale mentre la ragazza marciava nella direzione opposta.

«Sara! Ehi, Sara, aspetta!» la chiamò, raccattando i libri sparsi sul selciato e raggiungendola a passo svelto.

«Vedo che ti sei consolato in fretta!» scattò gelida lei voltandosi nella sua direzione e rivolgendo un'occhiata esterrefatta oltre le sue spalle. «Scusa se ho interrotto la vostra amabile chiacchierata. Sembrava di tuo gradimento...»

«Sara, ma che dici?» protestò Jem, spostando lo sguardo da lei a Dan.

«Dico che sei uno stronzo senza cuore, Geremia Casiraghi! Ecco cosa sei! La nostra relazione è in crisi e tu che fai? Ti consoli con lui

«Stai travisando, non c'è nien...»

Un secondo dopo, la mano di Sara gli si era impressa sulla guancia.

«Niente?!» strillò Sara paonazza. «Non raccontarmi altre balle, ne ho abbastanza! Perché non me l'hai detto?»

«Che cosa?» sbottò Jem massaggiandosi la guancia.

«Di Dan! Di voi! E non provare a negare,» aggiunse, vedendolo pronto a controbattere «mi credi una stupida? Ho visto come vi guardavate...»

«Senti, io non so cosa tu abbia visto, ma non è come pensi» ribatté Jem. «Dan è solo un amico.»

«Beh, l'amicizia è un sentimento sopravvalutato. Come l'amore, d'altronde» replicò lei irritata, gli occhi fiammeggianti colmi di lacrime.

«Sara, adesso calmati, per favore! Lo sai cosa provo per te, e sai che ho sofferto quando sei andata via» riprese Jem con forza. «Abbiamo passato un brutto momento, e ci siamo presi del tempo per schiarirci le idee...»

«Ah sì?» Sara lanciò un'occhiata incredula in direzione di Dan, il quale li fissava immobile dalla scalinata. «Quindi è così che hai deciso di schiarirti le idee? Dio, come ho potuto essere così cieca?» imprecò battendosi il palmo sulla fronte.

«Guarda che ti sbagli: non hai motivo di pensare male. Quello che provo per te non è cambiato, credimi.»

«Crederti? Bah!» Sara gli urlò in faccia tutta la sua indignazione. «Come posso credere a qualcuno che mente anche a se stesso?» disse riprendendosi i libri che Jem aveva raccolto e le stava porgendo. «Questo era per te, comunque.»

Jem si vide sbattere contro il petto un pacchetto regalo.

«Ero venuta con l'intenzione di fare pace. Volevo che le cose si risolvessero e che tornassimo a vivere insieme. Credevo di mancarti ma, a quanto pare, mi sbagliavo» si sistemò la borsa a tracolla e fece per andarsene.

«Sara, aspetta un attimo!» ritentò Jem nella speranza di farla ragionare.

«No, Jem, lasciami stare» inveì Sara, il volto congestionato da dispiacere e delusione. Percorse il viale alberato e uscì dai cancelli senza voltarsi, lasciando un Jem attonito come gli sguardi che lo circondavano.

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