Bunker 306, ore 14:09

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La goccia di saliva mi brucia nell'occhio; le lacrime colano subito, mentre i denti si digrignano e sfregano gli uni contro gli altri fino a farmi male. La lingua del gatto-mostro si srotola sopra la mia testa, pronta ad afferrarmi come se non fossi altro che un misero insetto. Di sicuro è proprio così che mi sento.

Apro la bocca e lascio uscire un rantolo: speravo in un grido d'aiuto, ma i muscoli del corpo mi hanno abbandonata.

Ti prego, ti prego, fa' che Davide se ne accorga.

Ti prego.

E Davide si gira assieme alla canna del fucile, che però sosta troppo su di me mentre cerca la vera minaccia. Quando si solleva sulla creatura appresa al soffitto, quella spicca un balzo su di lui. L'aria mi fischia nelle orecchie e la lingua mi schiocca a un millimetro dalla testa. Altra saliva mi schizza sui vestiti e la puzza di zolfo mi aggredisce i sensi.

È il grido di Davide a sollevarsi però, non il mio, quando la creatura lo sbatte contro il pavimento. Le zampe anteriori gli premono sul petto e le code gli avvinghiano le braccia per impedirgli di muoversi. Il fucile da caccia vola via, sbatte contro un tavolo rovesciato e crolla a terra, inutile.

«Cazzo! La', aiutm!» Le urla e le imprecazioni di Davide hanno un suono ancor meno comprensibile del solito. Non capisco nulla delle parole che seguono, anche se ho un vago sospetto sul significato.

La muffa nera si espande sempre di più e, dal tavolo dietro cui ci stavamo riparando, scivola verso i due litiganti. Verso Davide.

Questo è il motivo per cui dovevano esserci due persone armate nella stanza e non una, ma Mirtilla chissà dove cazzo se ne va quando serve. Perciò tocca a me, che non ho mai tenuto in mano nemmeno una pistola misera e non ho idea di come si imbracci un fucile. Però mi butto in picchiata sull'arma lasciata incustodita. Letteralmente.

Il sapore del sangue mi invade il palato quando urto il pavimento con il mento. Le mani afferrano subito il fucile e, tremanti, lo alzano; pesa un peccato mortale, mi si tendono tutti i muscoli delle braccia per tenerlo fermo e mirare bene il gatto-mostro.

Perfino il respiro è tanto frenetico che la canna continua a danzare in cerchio.

Davide si agita e scalcia. L'unica delle tre code libere della creatura aspetta, premuta appena contro il suo petto. Con la lingua gli lecca una guancia, e Davide impreca più forte. «Spara, cazzo!» urla poi, rivolto a me.

Vorrei tanto farlo. Vorrei tanto salvarlo. Ma 'sto fucile di merda non fa altro che muoversi e pesa un botto e non riesco proprio a tenerlo fermo e se sparo potrei uccidere lui. Perché cazzo quel gatto non se l'è presa con me?

«La'!»

La punta della coda schizza in avanti. Gli squarcia la maglietta e un rivolo rosso luccica sotto la luce giallognola delle lampadine. Davide si immobilizza di colpo. Il pomo d'Adamo esegue un balletto disperato quando lui inghiotte freneticamente.

Ma il gatto-mostro non si muove.

Sembra quasi che stia aspettando qualcosa.

Approfitto del momento per spostarmi dietro il tavolo; ci appoggio sopra la canna del fucile e prendo un respiro profondo. Funziona. Con l'unico occhio che ancora mi si apre del tutto, metto bene a fuoco il corpo della creatura. Respiro ancora. E ancora. E ancora. Poi trattengo il fiato. Premo il grilletto.

L'arma si solleva subito dopo lo sparo e la mia faccia ci si spiaccica contro. Sento un dente incrinarsi e la guancia pulsarmi.

La creatura rantola a terra; le code ancora tengono ferme le braccia di Davide, tuttavia a lui basta uno strattone per liberare il sinistro. Il destro, invece, rimane immobile ancora un po'. A un'occhiata più attenta, mi rendo conto che la muffa nera gli ha ricoperto l'intera mano e sembra averla inchiodata al pavimento.

«Porca troia! Che è 'sta merda?» Dopo un paio di tirate, Davide si schioda e si rimette in piedi. Barcolla fino a me, o almeno ci prova: le code tornano ad afferrarlo, questa volta alle caviglie. Riesce ad attutire la caduta con le mani, ma emette un gemito strozzato.

«Da'!» urlo.

Per tutta risposta, lui striscia con i gomiti in avanti, incurante del fatto che le code continuino a tirarlo indietro. «Ammazzalo!»

Se fossi capace di farlo secco, l'avrei già fatto a questo punto, vorrei rispondergli. Le parole però non mi escono, e forse è meglio così.

Sistemo ancora il fucile contro il bordo del tavolo. Questa volta impiego meno tempo a sparare, data la distanza fra il mostro e Davide non temo di poter colpire il ragazzo per sbaglio; gestisco meglio anche il rinculo e l'arma mi sbalza solo un poco. Le orecchie riprendono a fischiarmi e i suoni mi giungono ovattati e distanti. Il miagolio profondo del gatto-mostro mi giunge come in un sogno, tant'è che, per un attimo, sono sicura di essermelo immaginato.

Invece lui è proprio lì, di nuovo sulle quattro zampe, la lingua pronta a scattare.

«Cazzo, ma è immortale?» sbotto.

«L'hai mancato» mi dice Davide. In qualche modo però lui è avanzato e ormai pochi metri lo distanziano da me.

Perfetto.

Corro da lui e gli metto il fucile fra le mani. Mi risponde annuendo. Poi si gira su un fianco e prende la mira, con calma, eppure veloce almeno il triplo di me.

Click.

Non parte nessun proiettile. Nessun rinculo. Il gatto-mostro fa schioccare la lingua, quasi a prendersi gioco di noi.

«Merda, è scarico!» Davide lo utilizza per colpire il terreno.

Per un attimo, rimango immobile con la bocca spalancata come una perfetta allocca. Non avevo preso affatto in considerazione la possibilità che i nostri proiettili fossero contati. Mi ero abituata ai film, forse, o a quei libri d'azione dove i caricatori non si esauriscono mai. Nella realtà i colpi finiscono proprio nel momento del bisogno, sprecarne anche solo uno equivale a firmare la propria condanna a morte.

Tutto si cancella di fronte alla vista del gatto-mostro che avanza. La muffa nera lo segue, striscia a terra come un serpente liquido.

Non esiste nient'altro. La mia morte alla fine è arrivata. Sono sfuggita a Tonino solo per poter morire qui. Adesso. Così.

Chiudo gli occhi. Se proprio devo dire addio alla mia vita, non voglio che siano queste le ultime immagini che vedo. Richiamo alla mente le facce dei miei genitori, di mia sorella. Il tartufo di Ivy, la sensazione della sua pelliccia sotto le dita, così morbida eppure così ispida.

Posso davvero morire così?

Davide ancora rantola e cerca di fuggire, nonostante le code lo tengano fermo accanto a me.

Quando riapro gli occhi, attraverso il velo di lacrime che ancora mi assale, scopro che la muffa nera è ai nostri piedi. Il gatto-mostro, invece, si muove più lentamente. È convinto di averci in trappola. Sa di aver vinto.

Affondo la mano nella sostanza puzzolente e disgustosa. Viscida proprio come la ricordavo, ne intrappolo una piccola quantità fra le dita. La creatura soffia nella mia direzione. Sembra che l'abbia fatta arrabbiare.

Salta, con l'intento di aggredire proprio me questa volta.

Estraggo la mano dalla sostanza viscida. In un gesto del tutto disperato, la lancio davanti a me, quasi alla cieca. La vedo spargersi come un liquido al rallentatore; entra proprio negli occhi del gatto-mostro, che mi supera e rotola alle mie spalle. Investe il tavolo rovesciato.

Davide è finalmente libero e si rialza tenendosi a me. «Co' le stelle ninja saresti 'na furia» mi dice. Si azzarda perfino a sorridere, nonostante il pericolo sia tutt'altro che finito.

«Ti prendevo per il culo» rispondo. «C'ho 'na mira di merda.»

Il gatto-mostro è di nuovo pronto ad ammazzarci. Ci fissa da lontano mentre cerchiamo di riprendere fiato.

Un altro corpo gli si lancia addosso dall'alto. Più grande, più feroce, più forte. Le sue code lo infilzano al petto e lo sollevano senza fatica; la sostanza nera gocciola a terra.

Per quanto assurdo possa essere, nonostante il sangue mi scorra con furia ovunque ma non sembra intenzionato ad andarmi al cervello, riconosco quello stomaco gonfio e quella faccia deforme che ci osserva priva di emozioni.

Tonino.

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