Tunnel, ore 23:19

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Cammino nel vuoto. Sfioro il muro con una mano; con l'altra tengo il guinzaglio di Ivy. Vado avanti, in questo infinito corridoio buio, e cerco di oscurare le voci e i suoni dietro di me, finché non mi allontano abbastanza da farli sparire. Se non fosse per il respiro pesante della mia cagnolona, non sarei nemmeno sicura di esistere ancora. È lei la mia costante, l'ancora che mi tiene aggrappata a questo mondo. Per quanto folle, questa è la realtà.

Non sento quasi più la punta delle dita: sono gelate. Le apro e le chiudo, e per farlo mi allontano un poco dal muro. Il pavimento mi si avvicina di colpo; un dolore acuto mi attraversa le ginocchia, con cui mi sorreggo appena.

Ivy mi lecca la faccia, mi risveglia dallo shock. Sono caduta. Come o perché nemmeno l'ho capito, so solo che fino a un secondo fa ero in piedi, mentre adesso sono qui, come in una silenziosa e dolorosa preghiera.

Allungo il braccio alla ricerca del muro.

E se non lo trovassi?

Cosa mi assicura di esistere ancora?

Ma lo trovo. Eccome se lo trovo. Ed è pure viscido. Storco il naso e ritiro la mano, di scatto, come se mi fossi bruciata. L'istinto mi porta a guardarmi le dita, solo per rendermi conto un istante dopo che tanto non ho la possibilità di vederle.

Qualcosa mi solletica. Il tartufo di Ivy, intento a sniffare la sostanza di cui mi sono macchiata. Beata lei, che riesce a comprendere il mondo attraverso gli altri sensi. Noi persone siamo ancorate alla vista, se ce la tolgono ci sentiamo impotenti. Incapaci di fare qualsiasi cosa. Inesistenti.

Forse potrei imitarla. Forse è venuto il momento che sia il mio cane a insegnarmi come si sopravvive.

Deglutisco mentre mi avvicino le dita incriminate alle narici. Mi sfioro il naso e sento la sostanza viscida che si attacca sulla sua punta. L'odore non arriva subito, ma quando lo fa, per poco non vomito l'anima.

È zolfo, mischiato a qualcosa di indefinibile. Nemmeno Tonino è mai stato capace di emettere niente di tanto letale... tranne ovviamente quello strano fetore che lo accompagnava prima di diventare un mostro abominevole.

È proprio quella. È la stessa puzza.

Cosa cazzo ho sulle dita? Le pulisco contro il pietrisco del pavimento, incurante delle pellicine che mi si alzano.

Non so cosa fosse quell'immensa schifezza, ma col cazzo che mi appoggerò di nuovo al muro. Certo, così ho perso la mia unica guida, però non ho altra scelta. Non sono così stupida da cadere in una trappola come questa, non sono la protagonista di un film horror da quattro soldi: potrebbe essere stato il contatto con questa stessa sostanza a rendere Tonino il mostro che è diventato. Con le scarse conoscenze a mia disposizione, direi che non mi posso permettere di rischiare.

Mi avvinghio al collo di Ivy per tirarmi di nuovo su. Ma col cazzo proprio che mi faccio squagliare la faccia come Tonino. Okay che non è un granché nemmeno così, però preferirei che la pelle mi restasse liscia com'è. E, ancora peggio, non intendo puzzare come lui.

Guardo indietro, da dove sono venuta. Neanche io capisco cos'è che mi aspetto. La luce del bunker, forse, o magari una torcia in avvicinamento. Magari Tonino stesso. Invece mi sono allontanata troppo per scorgere qualsiasi barlume di realtà.

«No, okay, aspe'» dico. Il suono della mia voce rimbalza sulle pareti, crea un piccolo giaciglio di calore. «Ivy, dobbiamo cerca' Mirtilla. Deve sta' qua da qualche parte, è uscita prima di noi.» Non può essere andata lontano.

Ripenso a Cristopher, al modo in cui si è gettato su Tonino per infilzarlo. Aveva solo un misero coltello come arma, eppure non ha esitato neanche per un istante.

I peli sul dorso di Ivy si rizzano. Li sento contro la pelle della mano con cui mi tengo a lei. Un ringhio le risale dalla gola.

Mi ritrovo la bocca piena di saliva. Mi manca perfino il coraggio di deglutire.

Sgrano gli occhi. Non si vogliono in alcun modo abituare al buio e continuo a non vederci un'acca, eppure è ancora a loro che mi affido. Afferro un ciuffo di peli di Ivy, lo stringo come se volessi strapparglielo via. Lei è troppo impegnata a prendersela con la minaccia davanti a noi per lamentarsene.

Un bagliore mi acceca. Spunta dal nulla, un faro distrugge il vuoto che mi avvolge.

Proteggermi con le braccia serve a poco, almeno finché quella non si abbassa e smette di puntarmi dritto negli occhi.

«La'?»

Sbatto le palpebre fino a riconoscere la sagoma spettrale che mi si para dinnanzi: Mirtilla. Tiene una torcia e lo zaino le sbatte contro la schiena a ogni passo. La sua scarsa coordinazione la dona di una camminata saltellante e impacciata.

Ivy scatta in avanti. Mostra i denti e le abbaia, ma la riconosce poco dopo di me e lascia morire l'aggressione lì. Meno male che dovevo imparare l'arte della sopravvivenza da lei.

«Che hai fatto?» mi chiede Mirtilla. Non si è minimamente preoccupata del mio cane, come se fosse sicura che non le avrebbe fatto niente, quando io stessa non sono più certa di come si comporterà.

«Ecco, avevi ragione» dico.

Mi fissa da dietro la luce, imperturbabile. La sua altezza spropositata, assieme alla magrezza e alla carnagione spettrale, mi provocano i brividi. Dio, quanto cazzo è inquietante!

«C'era» comincio, poi mi blocco. Il dolore alle ginocchia mi fa contrarre tutti i muscoli per un attimo. «C'era davvero qualcosa. Cioè, Tonino... era lui la cosa

«Tonino? La', sei sicura di sta' bene?»

Ironico che proprio lei mi creda una pazza affetta da allucinazioni. «No, senti, lui... gli si è squagliata la faccia, capi', tipo 'na candela, e poi gli si è girata la testa che manco L'esorcista, e poi le code...»

«Okay, calmati.» Mi afferra per una spalla, e soltanto adesso che mi costringe a fermarmi mi accorgo di aver iniziato a gesticolare come un'ossessa. «Vieni, andiamo via. Al bunker 306 mi spieghi tutto.»

Annuisco. La saliva è aumentata, mi allaga la bocca.

Come cazzo fa a restare così calma? No, aspetta, è normale. Lei non ha visto quello che ho visto io. Non ha assistito al sacrificio di Cristopher, alla trasformazione di Tonino o alla ferita di Mario. Lei non sa.

Non mi resta che accettare e seguirla, farmi condurre dal suo fascio di luce.

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