Chapter 15 - Michonne

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L'accoglienza che ricevemmo non appena giungemmo ad Hiltop fu straordinaria e calorosa. Una volta che fummo entrati dalle porte della cittadina, ci venne incontro Daryl, abbracciandomi e prendendo poi il posto di Michonne ed aiutando Rick a portare Carl; da quello che notai cominciava già a rimanere in piedi, riacquistando pian piano l'equilibrio. Insieme a Daryl ci raggiunse anche una donna, che si presentò con il nome di Maggie: era alta e slanciata, aveva i capelli corti e mori in contrasto con gli occhi verdi, ma non un verde limpido e luminoso, ma sporco, quasi spento; c'è chi dice che gli occhi sono lo specchio dell'anima e la sua -a quanto pare- si stava spegnendo. A quanto pare era colei che comandava lì, aveva preso il posto di un certo Gregory, che poi era stato inserito insieme ad un gruppo di Salvatori in una recinzione, dato che li aveva traditi quando era stata ora di iniziare la guerra. Entrammo dentro l'edificio più grande, che costituiva il centro di tutte le attività che venivano svolte ad Hiltop; Judith corse incontro a Michonne non appena fummo entrate, per poterla abbracciare.
"Gwen," mi chiamò quest'ultima, tenendo in braccio la bimba che ancora la stava stringendo. "potrei parlarti?" Mi chiese subito dopo, facendomi segno con la testa di seguirla.
"Ehm... Certo, va bene." Accettai, seguendola su per le scale; sembrava che già conoscesse quel posto, probabilmente c'era già stata.
Mi portò in una camera al piano di sopra, con dei cassettoni, un letto a baldacchino su un lato ed una toilette su quello opposto; i colori erano sul violetto e il lilla, niente di esagerato, ma solo tonalità molto tenue e leggere.
"Siediti pure sul letto, questa sarà la tua stanza." Mi informò, posando Judith a terra; feci come aveva detto, continuando a guardarmi intorno, fino a quando non si fu seduta anche lei, di fianco a me.
"Allora, volevi parlarmi, giusto?" Le domandai, stringendomi per un attimo tra le spalle.
"Sì," mi rispose annuendo; aveva un sorriso gentile in volto, ma le si leggeva la stanchezza negli occhi. "volevo parlarti a proposito di Carl."
"Oh, okay." Dissi stordita, essendo presa alla sprovvista da quella richiesta.
"Volevo chiederti quali fossero le tue intenzioni: rimarrai con noi o te ne andrai dopo un po'? Quando sarai in piene forze?" Mi chiese, mentre il sorriso crollava sotto il peso delle parole.
In realtà non sapevo ancora cosa fare, il mio piano iniziale era quello di andarmene dopo un mese circa; ma stava accadendo una cosa dentro di me che mi ero sempre ripromessa di non rifare: affezionarmi a qualcuno. E invece quella volta era accaduto, o almeno, stava accadendo, anche se era servito poco tempo.
Mi stavo affezionando a Carl.
In quel momento la risposta che avrei dato avrebbe segnato la mia vita da lì fino alla fine dei miei giorni, dato che ero di fronte ad un bivio: da una parte non avrei avuto più nessuno da amare, sarei passata da un gruppo all'altro, una nomade senza metà e solitaria, ma con il cuore non totalmente distrutto; dall'altra avrei avuto un posto in cui stare, mi sarei fatta trasportare dalle emozioni e mi sarei affezionata, lasciando che la mia natura diventasse sedentaria ma con il pericolo che il mio cuore si frantumasse del tutto.
Alla fine, dopo questa mia lotta interna, risposi: "Credo che rimarrò, tanto non ho nessun altro posto in cui andare." Sapevo che molto probabilmente avrei rimpianto quella decisione, ma ormai il dado era tratto, non potevo più tirarmi indietro. "Perché me lo chiedi?" Le domandai qualche secondo più tardi, non capendo il significato di quella conversazione.
"Vedi -come tutti noi- Carl ha perso delle persone a cui teneva molto; ha dovuto uccidere sua madre perché stava per trasformarsi, gliel'aveva chiesto lei." Aveva gli occhi lucidi, le si leggeva in faccia che amava Carl come se fosse suo figlio. "Per un certo periodo voleva uccidere tutti, chiunque gli bloccasse la strada era solamente un potenziale ostacolo che andava distrutto subito, senza aspettare e senza esitazioni; ma adesso cerca una speranza, spera che ci sia del buono in tutti." Scosse la testa, strofinandomi una mano sul braccio. "Carl mi ha detto che continui a cambiare gruppo; credo che ci tenga a te. Ti chiedo solo di non andartene, non spezzargli il cuore, non lo reggerebbe." Prese in braccio la bambina che le stava tirando i pantaloni piangendo, uscendo dalla stanza; mi lanciò un'ultima occhiata prima di uscire, informandomi che Carl si trovava nella stanza di fronte alla mia.
Non appena ebbe chiuso dietro di sè la porta, mi sdraiai sul letto, prendendomi la testa con le mani e sbuffando, scuotendo la testa per ciò che avevo appena detto e sentito; avevo appena promesso che sarei rimasta, che non avrei fatto come sempre, ma che mi sarei integrata con tutti loro. Mi ero sentita sotto pressione e allora mi ero lasciata trascinare dal mio istinto, che da tempo stava cercando di farmi attaccare ad un gruppo e piantare radici. Cacciai fuori un piccolo urlo per la frustrazione, sedendomi e battendo i pugni sul materasso, sentendo un forte mal di testa cominciare ad attaccarmi il cervello; alla fine mi alzai in piedi, dirigendomi verso la porta per uscire dalla stanza: avevo deciso di andare da Carl per passare un po' di tempo, cercando di distrarmi così dal discorso che avevo appena avuto con Michonne.
All'improvviso però, quando fui esattamente di fronte alla sua porta con un pugno alzato a pochi millimetri di distanza pronta a bussare, si sentì un colpo provenire da fuori, per questo mi precipitai a vedere che cosa stesse accadendo, rinunciando all'idea di andare a parlare con Carl e dirigendomi giù per le scale, fermandomi vicino a Maggie -che si trovava sulla veranda- una volta giunta fuori; aveva lo sguardo serio e confuso e le sopracciglia aggrottate.
"Che sta succedendo?" Le chiesi, notando che stavano aprendo i cancelli della città.
"Ci sono visite, ma non sono i Salvatori." Mi rispose, portandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
Pochi minuti dopo ci raggiunse anche Carl, barcollando ed appoggiandosi quasi di peso sul davanzale; per questo gli misi le mani intorno al busto per cercare di sorreggerlo.
"Tranquilla, sto bene." Mi rassicurò lui, rivolgendomi un sorriso e poggiandomi una mano sulla spalla.
Le porte della cittadina si aprirono.

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