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Alice

Il Capodanno e i pochi giorni di vacanza che mi ero presa sono finiti fin troppo in fretta: l'incombenza degli esami ha avuto la meglio sulla mia labile salute mentale e l'angoscia che scaturisce prepotentemente in me durante ogni sessione d'esame è arrivata puntuale come un orologio svizzero. Quindi eccomi qui, di nuovo a Milano, precisamente nella biblioteca dell'università, con Piero e Giulia, china sul libro dell'esame che avremo tra un paio di giorni.

La mia concentrazione in questo momento è ai minimi storici della mia carriera universitaria, il silenzio che di solito è il mio più caro alleato nello studio non fa altro che permettere ai miei pensieri di divagare, non facendomi focalizzare sull'argomento. Scarabocchio inconsciamente sul foglio lettere e parole a caso, cercando di smetterla di perdermi nei miei pensieri occupati ormai da settimane dal volto di un ragazzo dagli occhi verdi. Purtroppo, non ho più avuto modo di vederlo dal primo dell'anno, un po' perché lui è stato risucchiato dal lavoro per l'agenzia pubblicitaria di Parigi, un po' perché io mi sono rintanata in casa a studiare, e i nostri orari non ci hanno mai permesso di trovare un momento da passare insieme. Spero che dopo questo primo maledetto esame, io riesca a ritagliarmi almeno qualche ora per poter stare un po' con lui.

Lascio vagare i miei pensieri mentre osservo la gente seduta tra i banchi vicino al mio: tutti sono concentrati nel lavoro che stanno svolgendo; alcuni stanno sottolineando furiosamente qualche frase sui manuali, altri invece stanno battendo al computer qualche saggio da consegnare. Appoggio una guancia sulla mano e sbuffo, attirando irrimediabilmente l'attenzione dei miei due amici.

Giulia alza un sopracciglio interrogativa e lancia poi uno sguardo eloquente a Piero che mi sta guardando con un sorriso furbo sulle labbra.

Ovviamente anche loro erano stati messi al corrente dalle mie coinquiline sulla sorpresa di Edoardo in piazza Duomo e ovviamente hanno voluto conoscere tutti i dettagli e gli sviluppi che ci sono stati tra me e il bel ragazzo moro. Da quando hanno saputo tutta la faccenda, non fanno altro che ripetermi che «ho perennemente la testa tra le nuvole» e non fanno altro che scambiarsi occhiatine e risate maliziose ogni volta che mi vedono assorta. D'accordo che ogni tanto capita, come adesso per esempio, ma non capita così spesso come invece sostengono loro.

Scuto la testa di fronte alla loro reazione, stringendomi nelle spalle e decidendo che ormai non ha più senso restare in biblioteca se non riesco nemmeno a leggere due righe prima di iniziare a distrarmi nuovamente. Chiudo il libro, riordino le penne nell'astuccio e mi alzo, facendo loro un cenno del capo per invitarli a seguirmi. Giulia lancia uno sguardo all'orologio che ha al polso per poi annuire e alzarsi per seguire me e Piero che, senza troppi indugi, aveva già radunato le sue cose e si era alzato per uscire.

Salutiamo con un cenno del capo il bibliotecario, usciamo dall'aula studio e ci dirigiamo verso gli armadietti per recuperare i nostri zaini. Inserisco il badge e digito il codice per aprire il mio per poi iniziare a mettere dentro allo zaino i libri e l'astuccio.

«Bene, bene, bene», dice Piero appoggiandosi con una spalla all'armadietto vicino al mio. «Vedo che la distrazione e la testa sulle nuvole continuano a mostrare i loro segni». Sorride incrociando le braccia al petto con fare compiaciuto. «Non che mi lamenti, in realtà», continua poi. «Non ne potevo più di leggere la composizione della lega utilizzata per creare i caratteri tipografici! Oppure dello spessore della carta creata per la Bibbia di Magonza».

«A chi lo dici», afferma Giulia convinta. «A sapere che bastava un ragazzo con gli occhi verdi e i capelli scuri a evitare che continuasse a essere una maniaca ossessivo-compulsiva dello studio matto e disperatissimo, avrei provveduto prima».

«Sì, certo! Come no», sbuffa divertito Piero. «Non lo avrebbe mai accettato, a meno che non fosse stato un certo qualcuno, con quelle specifiche caratteristiche e che non nomino perché altrimenti inizierebbe a canticchiare fino a domani qualche sua canzone».

Scuoto la testa mentre sistemo lo zaino in spalla e guardo in attesa i miei amici che, come al solito, mi stanno prendendo in giro. Ogni volta mi fingo offesa o esasperata di fronte alle loro parole, ma sia io che loro sappiamo benissimo che non siamo realmente seri.

«Piero, però sai che ora che mi ci fai pensare Edoardo assomiglia...», inizia a dire Giulia, ma viene prontamente interrotta dal mio amico.

«Non nominarlo, altrimenti non ne usciamo più», dice spalancando gli occhi e alzando prontamente le mani verso la sua bocca.

Alzo gli occhi al cielo e scuoto la testa: stanno ovviamente facendo riferimento a Harry Styles, il cantante per il quale ho una leggera ossessione.

Leggera, dici? Ci ricordiamo vero del cartonato a dimensione reale che abbiamo in salotto?

Lascio da parte i loro battibecchi nel momento in cui sento vibrare il cellulare nella tasca dei pantaloni. Lo tiro fuori e un sorriso spontaneo si apre sul mio volto non appena vedo che il mittente è Edoardo.

«Pronto?», rispondo con il cuore in gola. Ogni santa volta che leggo il suo numero di telefono sullo schermo succede così. Il cuore inizia a battermi alla velocità della luce e le farfalle svolazzano prepotenti per il mio stomaco.

«Ehi, ciao Ali! Come stai? Ti disturbo? Sei per caso in università?», mi chiede speranzoso. La sua voce calda mi arriva alle orecchie e io sorrido nel sentire il suo tono dolce.

«Ciao Edoardo», gli rispondo. «Sì, sono in università, ma sto uscendo per andare a casa».

«Perfetto! Scendi in cortile, ti sto aspettando».

Chiudo la chiamata e guardo per un secondo il telefono, poi alzo lo sguardo e vedo i miei amici con gli occhi puntati su di me e dei sorrisi sornioni sulle labbra.

«Era lui?», domanda retorico Piero alzando un sopracciglio.

Annuisco, «Mi ha detto che è qui sotto».

«E perché sei ancora qui?», mi chiede Giulia allargando le braccia. «Dai, sbrigati!», mi incita, spingendomi leggermente verso l'uscita. Li saluto al volo e inizio a scendere di corsa le scale. «La prossima volta presentacelo, però», mi intima alzando la voce.

Le faccio un segno affermativo, scendo di corsa le scale, evitando di scontrarmi con i ragazzi che le stanno salendo. Mi dirigo verso l'uscita e arrivo finalmente in uno dei due chiostri principali. Nonostante siano solo le cinque di pomeriggio, il sole è ormai calato: il chiostro è poco frequentato quando non ci sono le lezioni e quindi non mi risulta difficile individuare la figura longilinea di Edoardo. È appoggiato su uno dei muretti che delimitano il prato, le sue gambe lunghe sono fasciate da dei jeans scuri, coperti in parte dal cappotto lasciato leggermente aperto a rivelare un maglione scuro. Lascio vagare i miei occhi sulla sua figura, risalendo velocemente fino al suo viso, parzialmente nascosto da una grossa sciarpa. Mi rivolge un sorriso, sistemandosi il ciuffo castano perennemente disordinato; sistema poi la tracolla della macchina fotografica su una spalla e si dà una leggera spinta per staccarsi dal muro e avvicinarsi a me.

«Buonasera, signorina», mi lascia un bacio delicato sulla guancia. «Ha degli impegni per la serata?», mi domanda alzando il palmo della mano destra verso di me.

Fingo di pensarci, battendomi l'indice sulla punta del naso per poi sorridergli e scuotere la testa in segno di diniego.

Un sorriso spontaneo si apre sul suo volto, «Benissimo allora, perché per questa serata lei non sarà disponibile per nessuno, se non per il sottoscritto».

Edoardo

Prendo Alice per mano per condurla velocemente all'uscita dell'università. Ho sperato che fosse ancora in biblioteca come mi aveva scritto stamattina quando ci eravamo scambiati qualche messaggio. Dopo giorni chiuso in agenzia e chino sulla scrivania a editare fotografie per Max, sono fortunatamente riuscito a ritagliarmi un attimo di tempo e vedere Alice. Non la vedevo da Capodanno e sinceramente non ce la facevo più ad aspettare, quindi ho deciso di farle una sorpresa e passare un po' di tempo con lei. So che tra qualche giorno avrà un esame e che quindi non vorrà fare le ore piccole, ma per quello che ho in mente, non rincaserà troppo tardi. Quando l'ho vista poco fa, uscire trafelata da una delle porte delle aule, non ho potuto che pensare ancora una volta a quanto fosse bella, anche senza un filo di trucco e con i capelli raccolti in una crocchia disordinata che ha poi sciolto, lasciando che i lunghi capelli le accarezzassero le guance. Le sue dita sono strette alle mie mentre la conduco verso la stazione della metropolitana più vicina.

«Dove stiamo andando?», mi domanda curiosa, una scintilla luminosa a illuminarle i profondi occhi scuri.

«È una sorpresa!», le dico facendole un occhiolino e lei corruga la fronte e sbuffa una risata. Scendo velocemente i gradini e raggiungiamo la banchina del treno, che arriva giusto nel momento in cui le rivolgo l'ennesima occhiata da quando ci siamo incontrati. Mi sporgo per lasciarle un bacio veloce sulle labbra, indugiando qualche secondo sentendola ridere sulla mia bocca mentre la metro passa scompigliandole i capelli che mi solleticano il viso.

«Forza, andiamo!», la incito conducendola all'interno del treno. Un paio di fermate e dovremmo esserci, Alice guarda la cartina appesa al muro cercando di capire dove siamo diretti o dove ci fermeremo.

«Siamo arrivati», le dico quando raggiungiamo la fermata Garibaldi. Mi rivolge uno sguardo interrogativo alzando un sopracciglio curiosa, mi stringo nelle spalle non volendole dire dove stiamo andando. Usciamo dalla stazione e conduco Alice verso la scalinata di piazza Gae Aulenti che si staglia di fronte a noi.

«Gae Aulenti?», mi chiede cercando di capire se è questa la nostra meta finale. «È uno dei miei posti preferiti di Milano», mi confessa con trasporto. «Trovo che sia magica, adoro le fontane e le luci che la illuminano. Per non parlare del bar della Feltrinelli, dove passerei interi pomeriggi a leggere con una buona tazza di tè».

Un sorriso spontaneo mi si apre sul volto, «Ma davvero?», la canzono, immaginandomela perfettamente, china su un libro, con magari una matita tra i capelli e lo sguardo immerso nelle pagine del romanzo che sta leggendo. «No, comunque. La nostra meta è un'altra». E infatti percorriamo velocemente la piazza per andare verso Corso Como, fino al numero 10. I rampicanti all'ingresso del locale sono debolmente illuminati da qualche lucina solitaria e le luci calde dell'interno invitano i passanti a entrare. 

Mi rivolgo verso Alice, un'espressione sorpresa campeggia sul suo volto, «Vuoi entrare qui?», mi domanda guardandomi. Annuisco e lei spalanca la bocca stupita e alterna il suo sguardo tra me e il locale, «Davvero?».

«Sì, pensavo che avrebbe potuto piacerti», le dico stringendomi nelle spalle.

«Piacermi?», domanda quasi allibita e io penso che forse non le piace, ma il dubbio scompare nell'esatto istante in cui si lancia addosso a me stringendomi le braccia intorno al collo. «Edoardo, è una vita che voglio venire qui a prendere qualcosa da bere, ma non ne ho mai avuto l'occasione! Grazie», mi dice con trasporto e io non posso che stupirmi di fronte alle sue reazioni per le piccole cose, come se tutto fosse un dono prezioso da custodire gelosamente.

Infila le mani tra i miei capelli e mi stampa un bacio a fior di labbra prima di far scorrere le dita lungo i miei avambracci e intrecciarle alle mie.

Entriamo e il caldo del locale ci colpisce le guance, le luci sono soffuse e i tavolini di vetro sono sparsi qua e là tra i rampicanti che pendono dal soffitto. La conduco verso uno un po' più appartato vicino alla vetrata che dà sul cortile interno, inaccessibile adesso per il freddo pungente di gennaio. Ci sediamo e guardo Alice togliersi il cappotto, rivelando il suo corpo minuto fasciato da una maglia attillata color mattone, che fa risaltare la sua carnagione e i suoi occhi; lascio scivolare i miei occhi su di lei mentre lei nasconde le mani tirando la maglia fino alla punta delle dita per poi appoggiarci sopra una guancia guardandomi inclinando la testa. I suoi lunghi capelli le incorniciano il volto e si adagiano sul suo seno accarezzandole la pelle del collo lasciata scoperta dal maglione. Mi pizzicano le punte delle dita in questo momento perché vorrei toccarla e sentire sotto ai polpastrelli la grana setosa della sua pelle mentre lascio che lo facciano i miei occhi al posto delle mie mani fino a incontrare il suo sguardo già fisso su di me. La classica sfumatura rosea, il suo marchio di fabbrica, le imporpora le guance e un sorriso timido le illumina il volto, e quando non distolgo lo sguardo e indugio sull'arco delle sue labbra, arrossisce ancora un po' e abbassa lo sguardo, prende poi un menù e inizia a sfogliarlo. Rimango sempre stupito dalla sua timidezza, nonostante ormai inizi a essere molto più sciolta con me.

«Cosa prendi?», mi chiede facendo scorrere gli occhi sul menù.

Te, vorrei dirle, te e ancora te

Vorrei urlarlo, ce l'ho sulla punta della lingua in questo preciso istante non appena i suoi occhi scuri incrociano ancora una volta i miei. Il sangue mi ribolle nelle vene quando scosta i lunghi capelli castani lasciando scoperta la pelle delicata del collo, dove è impresso il piccolo tatuaggio a forma di girasole. Dio, in questo istante vorrei posarci sopra le labbra e baciare ogni singolo centimetro della sua pelle. Riesce a essere intrigante senza il minimo sforzo e con l'estremo pudore con il quale si pone nei miei confronti. Mi manda fuori di testa.

Edoardo, controllati! Sembri un quindicenne in preda agli ormoni.

Perso nelle mie considerazioni sulla sua pelle, non mi accorgo nemmeno che un cameriere si è avvicinato al nostro tavolo chiedendoci le nostre ordinazioni. Sono troppo concentrato su Alice, sul suo profilo armonioso mentre si volta sorridendo al ragazzo con il taccuino in mano. Le sue belle labbra sono distese in un sorriso mentre ringrazia dopo aver chiesto qualcosa che però non sento, troppo distratto dal movimento della sua bocca. Torno in me solo nel momento in cui lei si volta verso di me guardandomi in attesa e alzando un sopracciglio come a chiedermi se c'è qualcosa che non va.

«Edoardo?», mi richiama dolcemente arrossendo appena quando si accorge del mio sguardo insistente. Scuoto la testa e mi schiarisco la gola, cercando di dare un filo logico ai miei pensieri, «Ehm, sì», dico senza nemmeno dare un'occhiata al menù. «Prendo quello che prende lei», dico al cameriere che annuisce prontamente segnando la stessa ordinazione e allontanandosi velocemente in direzione del bancone.

Non appena restiamo soli, Alice trattiene a fatica un sorriso, «Quindi anche a te piace il tè con il latte e i marshmallow? Sei la prima persona con la quale condivido la passione per questo strano mix di sapori», mi chiede stupita alzando le sopracciglia.

Ma che? La guardo perplesso: è questo quello che ha appena ordinato?

Evidentemente sì, visto che te lo sta chiedendo, genio!

«Bè, sì ovvio! Cioè a chi mai non potrebbe piacere?», dico nascondendo l'evidente disagio portandomi una mano tra i capelli e grattandomi la nuca.

Devo avere in viso un'espressione di puro disgusto perché Alice scoppia improvvisamente a ridere, «Dovresti vedere la tua faccia in questo momento». Si porta una mano alla bocca e poi in fronte prima di appoggiare una mano sulla sua guancia. «Non ho ordinato niente del genere, ma, visto che non stavi palesemente ascoltando, ho voluto prenderti in giro».

I suoi occhi sono accesi da una scintilla divertita mentre li socchiude sorridendo. «Ma ora sono curiosa», afferma sporgendosi ulteriormente sul tavolo, incrociando le braccia di fronte a sé. «A cosa stavi pensando?». Mi trafigge con lo sguardo e un po' del suo profumo mi arriva alle narici mentre aspetta in paziente attesa.

Potrei inventarmi una scusa, potrei dirle che stavo pensando al lavoro che mi aspetta una volta arrivato a casa, potrei dirle che ero sovrappensiero, senza un oggetto ben preciso a riempirmi la mente, ma non vedo il motivo per cui dovrei farlo.

«Se devo essere sincero», le dico allungando una mano verso la sua guancia. «Stavo pensando a te», le confesso facendo scivolare l'indice dal suo zigomo, alla sua mascella, giù fino al retro del suo orecchio dove c'è il girasole. «Ero distratto dalla linea sinuosa del tuo collo e stavo pensando a quanto in questo momento vorrei baciare ogni centimetro della tua pelle», concludo lasciando che il mio pollice le accarezzi la gola. Sento il suo cuore accelerare i battiti mentre non interrompo la lieve carezza che le sto lasciando e vedo le sue guance colorarsi leggermente. Dischiude le labbra e le sue pupille si allargano leggermente, andando a coprire in parte il castano delle sue iridi e io bagno con la lingua il mio labbro inferiore, resistendo all'impulso di sporgermi verso di lei, colmare l'effimera distanza che ci divide e baciarla fino a dimenticarmi chi sono.

Deglutisce spostando i suoi occhi sulle mie labbra per poi pinzarsi il labbro inferiore tra i denti e si avvicina appena: siamo talmente vicini che i nostri nasi si sfiorano e i nostri respiri si mescolano, fino a quando non colmo lo spazio che ci divide e poso le sue labbra sulle mie. È un bacio dolce, lento, fatto solo di labbra che si sfiorano, niente di più, ma anche questo effimero contatto mi fa ribollire il sangue nelle vene e in questo momento vorrei che fossi da una qualsiasi altra parte per poterla baciare sul serio.

Ci separiamo quando il cameriere arriva al tavolo schiarendosi la voce, Alice arrossisce abbassando lo sguardo e ringrazia con un cenno del capo il ragazzo che si defila prontamente, dopo aver sistemato le nostre ordinazioni, che si rivelano essere due cioccolate calde, nulla a che fare con il miscuglio improponibile di cui mi aveva parlato prima scherzando.

La guardo alzando un sopracciglio non potendo fare a meno di sorriderle, «Tè e marshmallow, eh?».

Scoppia a ridere, prende un sorso dalla sua cioccolata, cercando di non bruciarsi la lingua, e mi lancia uno sguardo furbo guardandomi al di sopra della tazza e io, in questo momento, mi auguro che questi momenti insieme possano diventare la mia quotidianità.


Buona domenica a tutti e buona festa della donna!

Nuovo capitolo fresco fresco per voi! Non so voi, ma mi piace sempre di più vederli interagire tra di loro. Si sta creando una bella chimica e tutto sembra andare verso la direzione giusta. Edoardo ormai è sempre più cotto e vederlo felice rende felice anche me.

Cosa combineranno però adesso questi due? Sarà sempre tutto rose e fiori?

Se volete scoprirlo rimanete sintonizzati su questi canali:)

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e, se vi va, fatemi sapere che ne pensate!

A presto,

Alice.

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