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Edoardo

I giorni successivi alla giornata trascorsa con Alice sono passati fin troppo in fretta: la domenica e il lunedì sono praticamente volati e il tanto temuto martedì è arrivato prepotente.

Ovviamente questo terribile giorno ha portato l'ingresso di Virginia in ufficio, tutta sorrisi falsi e con un vestito decisamente troppo corto e troppo scollato per essere ritenuta professionale, ma Max non c'è e quindi credo che la sua sia stata una scelta più che voluta per mettermi in difficoltà. Non perché tutta quella pelle esposta possa scatenare qualcosa in me – tutt'altro dal momento che ho in testa da venerdì la grana della pelle di Alice – ma perché questo le permette di sbattermi in faccia il suo seno o giocare con l'orlo del suo vestito, mettendomi decisamente a disagio, soprattutto dal momento che stiamo lavorando fianco a fianco mentre le sto mostrando le fotografie di prova che ho fatto ieri alla Scala per decidere dove posizionare alcuni elementi dell'allestimento.

Virginia è praticamente appoggiata al bracciolo della mia sedia e io sto cercando di starle il più lontano possibile, ma lei non sembra curarsene, mentre le illustro le idee di Max a denti stretti.

«Mmmmm, mi piace questa proposta», pigola facendo schioccare le labbra rosse sistemandosi i lunghi capelli ramati su una spalla per mostrarmi la linea del collo in cerca di una mia reazione.

In tutta risposta alzo gli occhi al cielo e stringo maggiormente i denti sibilando un «Bene» che suona così tanto falso che lei gira il volto nella mia direzione alzando un sopracciglio.

«Edoardo», pronuncia il mio nome arricciando le labbra e facendomi venire il voltastomaco. Il mio nome detto adesso da lei mi sembra così sbagliato e così diverso rispetto al tono dolce che usa Alice ogni volta che mi chiama e io mi chiedo come possa essere stato per tanti anni con la ragazza che ho di fronte in questo momento. «Sembri teso, c'è qualcosa che non va?», mi domanda squadrandomi il viso e appoggiando una mano sul mio interno coscia, decisamente troppo vicino al cavallo dei miei pantaloni il che mi fa alzare di scatto dalla sedia.

«Virginia, Cristo santo!», mi allontano e mi avvicino alla finestra. «La vuoi piantare per favore? Smettila di continuare a toccarmi come se ne avessi il diritto e soprattutto sii professionale, per l'amor del cielo!», la rimprovero senza fiato e lei non fa altro che guardarmi come se non capisse il senso delle mie parole. Ha decisamente sorpassato il limite della decenza e lo sa benissimo, ma Virginia è sempre stata così: ha sempre sfruttato la sua bellezza per piegare chiunque al suo volere e io anni fa ci sono cascato in pieno, credendole e bevendomi tutte le sue moine e i suoi gesti.

«Non so di cosa tu stia parlando», dice facendo spallucce e sistemandosi distrattamente la spallina del vestito che le è scivolata lungo il braccio.

Rilascio una risata sarcastica e alzo gli occhi al cielo, «Oh, invece credo che tu sappia benissimo quello che stai facendo!», ringhio. «Ma notizia flash, non mi interessa, quindi cortesemente copriti perché stai risultando solamente ridicola».

«Ah sì?», domanda alzandosi e facendo qualche passo nella mia direzione con aria da predatrice, il vestito le è risalito pericolosamente lungo le gambe e lei non si cura di sistemarselo. «Un tempo ti piaceva vedere la mia pelle scoperta», sussurra a qualche centimetro dal mio orecchio che mi fa irrigidire e scatena un conato di nausea dovuto al suo profumo troppo dolce.

La afferro saldamente per le spalle e la allontano velocemente da me cercando di mettere le cose in chiaro una volta per tutte, «Hai detto bene: un tempo. Prima che tu decidessi di andare a letto con Francesco. Da quel momento lì, non abbiamo più avuto niente da spartire».

Mi libero dalla posizione aggirandola e avvicinandomi nuovamente alla scrivania, vorrei dirle quanto mi abbia fatto soffrire e quanto mi abbia disgustato, ma non merita nemmeno che io sprechi fiato per lei. Virginia si volta nella mia direzione incrociando le braccia al petto e arricciando le labbra con disappunto, fa poi per dire qualcosa, ma fortunatamente viene interrotta dalla suoneria del mio cellulare. Mi affretto a rispondere senza nemmeno vedere chi è il mittente, grato di questa via di fuga, mentre Virginia non lascia nemmeno per un secondo la mia figura e io mi sento terribilmente infastidito dalla sua insistenza.

«Sì?», domando in maniera più brusca di quanto non vorrei, ma me ne pento in tempo zero quando dall'altra parte sento la voce timida di Alice.

«Non è un buon momento? Posso richiamarti», dice sottile e io me la immagino in questo momento con gli occhi scuri spalancati e il labbro inferiore pinzato tra i denti.

«No», mi affretto a dire rilasciando un sospiro stanco. «Sai che non disturbi mai. Dimmi tutto», dico addolcendo il tono di voce. Sentire la sua voce in questo momento è come una boccata d'aria fresca che mi distrae dalla presenza fastidiosa della mia ex in questo ufficio che, nonostante sia abbastanza grande, adesso mi sembra piccolo come una scatola di scarpe.

«Ecco, mi chiedevo», temporeggia come a cercare le parole giuste. «Visto che è praticamente l'ora di pranzo, ti andrebbe di mangiare insieme? Sono dalle tue parti perché dovevo consultare un libro in una biblioteca qua vicino», dice d'un fiato rimanendo in attesa di una mia risposta mentre lancio uno sguardo all'orologio appeso al muro dietro alla mia scrivania rendendomi conto che ormai è praticamente l'una.

Sorrido di fronte alla sua proposta, «Certo che mi va, facciamo tra venti minuti in Corso Garibaldi, all'altezza di Moscova?». Sono sicuro che pranzare con lei mi calmerà e darà una svolta positiva a questa giornata.

«Sì certo!», afferma con un tono spensierato e felice che mi fa sorridere.

«A più tardi», le dico prima di chiudere la chiamata e voltarmi nuovamente verso la mia ex che mi sta guardando con uno sguardo inquisitorio. La sua postura tesa rivela un evidente fastidio per essere stata interrotta il che non può che farmi piacere.

«Chi era?», domanda appoggiando una mano al viso e piegando leggermente il capo.

«Nessuno che ti riguardi», le dico brusco prima di prendere la tracolla e la mia giacca appesa all'appendiabiti vicino alla porta.

«A me non sembra... è una ragazza?», chiede inquisitoria con uno sguardo acceso, ma io mi guardo bene dal risponderle. Virginia non deve assolutamente venire a conoscenza della presenza di Alice perché troverebbe un modo per farla soffrire, riesce a trovarlo sempre quando qualcuno le dà fastidio.

«Esco per pranzo. Hai un'ora di pausa come tutti e quando rientri fatti trovare nell'ufficio di Max, magari sistemandoti il vestito», le dico senza nemmeno ascoltare la sua risposta prima di uscire e lanciare uno sguardo esasperato a Carla, la segretaria di Max, che ricambia alzando gli occhi al cielo. A quanto pare Virginia non piace nemmeno a lei e la cosa non può che farmi piacere, «Controlla che non faccia casini con il mio computer».

«Certo Edoardo, buon pranzo», mi augura e io ricambio prima di dirigermi verso l'ascensore e uscire finalmente dall'edificio.

L'aria fredda mi punge le guance, ma il sole batte luminoso per le vie di Milano mentre le percorro per arrivare in Corso Garibaldi e man mano che mi allontano dall'ufficio sento la tensione scivolare via dalle mie spalle. Non mi capacito ancora del comportamento di Virginia nei miei confronti: non solo è inopportuna, ma si sta anche mostrando ridicola. E poi non sta più con Francesco? Da quello che sapevo si erano messi insieme ufficialmente poco dopo che io l'avevo lasciata con il cuore in mille pezzi. Dio, se ci ripenso mi do mentalmente dell'idiota per aver sofferto così tanto, ma non posso più di tanto biasimarmi alla fine: ero innamorato di lei, credevo nella nostra storia e mi fidavo di lei. Che sciocco: per mesi mi sono arrovellato su cosa avessi sbagliato, su cosa avrei potuto fare meglio o cambiare nel mio comportamento, ma poi ho realizzato che il problema non ero io, ma lei. E per tutto questo devo ringraziare anche e soprattutto Matteo che mi ha spinto a cambiare aria e trasferirmi a Milano per seguire la mia passione per la fotografia.

Da quando ho avuto questa realizzazione, ho pensato che non valesse la pena perdere tempo dietro a lei e ora mi chiedo cosa possa averci mai visto in lei, soprattutto adesso che sto frequentando Alice, che non potrebbe essere più diversa di Virginia. Alice è una boccata di freschezza e semplicità, di bellezza e timidezza, e ha un'anima straordinaria, dolce, gentile e sensibile e sono veramente felice che sia entrata nella mia vita e che mi abbia permesso a sua volta di entrare nella sua, in punta di piedi.

Con questi pensieri nella testa accelero il passo per raggiungere prima che posso Alice. Arrivo in Moscova e la aspetto sedendomi su una delle panchine che ci sono in Largo la Foppa, godendomi il calore del sole.


Alice

Ho passato la mattina a studiare in Fondazione Feltrinelli per una ricerca che devo fare per il prossimo esame. Non ero mai stata nella sala di consultazione e devo dire che è straordinaria: è all'ultimo piano dell'edificio ed è interamente fatta di vetro, i posti sono pochi tanto da risultare intima, raccolta e straordinaria per la concentrazione. Quando sono uscita e mi sono resa conto che era praticamente l'ora di pranzo, ho chiamato Edoardo dal momento che ero dalle sue parti e ho pensato che avremmo potuto pranzare insieme visto che non ci vediamo da sabato e ci eravamo ripromessi di vederci presto. Dovremmo incontrarci tra circa venti minuti quindi ho tempo per passare a comprare un libro che vorrei regalargli: è una raccolta di poesie sulla fotografia che ho visto un paio di giorni fa tra i consigli di lettura nella newsletter che mi arriva ogni settimana. Ho subito pensato a lui e spero che possa piacergli. Non mi sono mai piaciuti i regali fatti per forza, sono sempre stata quel tipo di persona che se vede una cosa che mi fa pensare a qualcuno, la prende senza rifletterci troppo, come a dire «l'ho vista e ti ho pensato».

Forte di questa mia decisione, raggiungo Gae Aulenti, entro alla Feltrinelli e vengo subito pervasa dal piacevole aroma di caffè misto all'odore dei libri e ovviamente il mio istinto da topo da biblioteca mi porta a vagare e a perdere la concezione del tempo, come ogni volta che entro in una libreria. Questa volta però, conscia di aver poco tempo e odiando i ritardi, vado subito al reparto che mi interessa e fortunatamente trovo il libro che cercavo. Contenta di averlo tra le mani, vado alla cassa per farmelo impacchettare, non prima di aver scritto a penna una piccola dedica, come è d'obbligo ogni volta che si regala un libro. So già cosa scriverci sopra: da un paio di giorni, infatti, ho in mente un verso di Montale, uno dei miei più cari, che calza perfettamente con l'immagine che ho di Edoardo.

«Cuore d'altri non è simile al tuo».

All'anima più bella che abbia mai incontrato, un libro che unisce le nostre passioni.

Tua, Alice.

Lo do alla ragazza della cassa che, dopo aver impacchettato il libro, me lo restituisce con un sorriso e un arrivederci. Esco nell'aria fredda di gennaio e dopo aver controllato l'ora, noto di aver passato più tempo di quanto immaginassi in libreria e dunque mi affretto a raggiungere Edoardo. Percorro velocemente tutto Corso Como arrivando poco dopo in Moscova, dove ci siamo dati appuntamento. Lo cerco con lo sguardo e lo scorgo seduto su una delle panchine, con la schiena appoggiata alla seduta e il viso rivolto verso il cielo. Ha gli occhi chiusi, i suoi capelli castani sembrano più chiari sotto ai raggi del sole – in particolare il ciuffo ribelle che gli cade sempre sulla fronte – e la sciarpa che gli cinge il collo è allentata sul cappotto, lasciato aperto, come al solito. Mi avvicino cauta, per non farmi sentire fino a sedermi vicino a lui e posargli un delicato bacio sulla guancia. Edoardo si irrigidisce appena, spalanca gli occhi e si volta nella mia direzione. Il suo sguardo passa da confuso a luminoso e consapevole non appena mi riconosce e poi mi rivolge un sorriso ampio, che mette ben in mostra le sue labbra rosse.

«Scusami per il ritardo, ma sono passata in libreria e ho perso la concezione del tempo», gli dico ed Edoardo mi sorride ancora di più alzando giocosamente gli occhi al cielo.

«Chissà come mai la cosa non mi sorprende», mi prende il giro dandomi un buffetto sulla guancia al quale rispondo facendogli la linguaccia.

«Spero che questo possa farmi perdonare», gli dico porgendogli il libro che recupero dallo zaino. «Per te». E lui in risposta alza le sopracciglia stupito rivolgendomi un sorriso sghembo.

«Forza, aprilo», lo incito guardandolo in attesa, curiosa di vedere la sua reazione; lui non se lo fa ripetere due volte iniziando a scartare il pacchetto e una volta che ha visto cos'è mi lancia un sorriso sghembo prima di aprire il libro e andare a leggere il frontespizio. I suoi occhi verdi scorrono veloci sulle poche parole che gli ho scritto e si posano giusto per un istante sul mio viso sul mio viso perché poi con un gesto secco chiude il libro, afferra il mio viso con entrambe le mani e posa prepotentemente le sue labbra sulle mie, schioccandomi una serie di baci intervallati da sorrisi, sia miei che suoi.

«Ma dove sei stata fino adesso?», mi chiede lasciando l'ennesimo bacio sulle mie labbra e accarezzandomi il viso con il dorso della mano.

«Probabilmente con il naso infilato in qualche libro», gli dico arrossendo e lui scoppia a ridere scuotendo la testa.

«Può darsi», afferma alzandosi e porgendomi una mano per tirarmi su dalla panchina e intrecciare poi le nostre dita iniziando a dirigersi verso uno dei bar che si affacciano sulla piazzetta.

Entriamo e una cameriera ci fa accomodare al piano superiore, a un tavolino vicino alla vetrata, e ci porge i menù.

Optiamo per due panini, qualcosa di veloce, dal momento che Edoardo deve tornare in ufficio e non abbiamo tantissimo tempo.

«Allora, come è andata la tua mattinata?», gli chiedo versandogli l'acqua nel bicchiere e di tutta risposta ricevo una smorfia seguita da uno sbuffo che mi fa incuriosire e aggrottare la fronte. «Tutto bene? È successo qualcosa?».

«Diciamo che ho avuto mattinate in ufficio migliori», risponde evasivo stringendosi nelle spalle. «Ma niente di cui preoccuparsi», mi dice con un sorriso tirato e la stessa espressione che aveva un paio di giorni fa sotto casa mia.

Tocca a me ora corrugare la fronte, cercando di capire il motivo di questa sua espressione, ma lui scuote la testa, come a minimizzare la cosa e intreccia le sue dita alla mia mano posata sul tavolo per poi lasciare un delicato bacio sul mio palmo, che mi fa schizzare il cuore in gola.

«Piuttosto come è stata la tua, di mattinata?», mi domanda rivolgendomi un sorriso dolce. Lo guardo negli occhi prima di rispondergli per cercare ancora una traccia di quello che ho visto poco prima nel suo sguardo, ma non trovando niente lascio perdere e gli rispondo, raccontandogli della ricerca che devo fare per il prossimo esame che avrò tra dieci giorni.

Il pranzo passa così, tra domande e risate, senza un particolare argomento e quando usciamo, dopo che Edoardo mi ha pagato il pranzo con non poche proteste da parte mia, mi offro di accompagnarlo fin sotto al suo ufficio dal momento che non ho particolari impegni per il pomeriggio, se non tornare a casa e sistemare gli appunti che ho preso stamattina per la ricerca.

Ci dirigiamo così, mano nella mano, fin sotto al suo ufficio che si rivela essere all'ultimo piano di un imponente edificio moderno, in netto contrasto con le strutture del quartiere. Conoscevo la zona in cui lavorava, ma non avevo mai visto la struttura.

«Lavori qui? Wow», affermo ammirata guardando verso l'alto e notando l'imponente nome del capo di Edoardo. «Discreto il tuo capo, eh?», dico ammiccando verso la scritta e Edoardo scoppia a ridere, «Già», mi dà ragione con un'espressione divertita in volto. «Possiamo salire?», gli chiedo ed Edoardo assume un'espressione un po' strana, ma poi annuisce, «C-certo».

Muoio dalla voglia di vederlo, muoio dalla voglia di vedere il suo ufficio e stare ancora un po' con lui, ma non vorrei creargli dei problemi, «Sei sicuro? Il tuo capo non ti fa storie?».

«No, Max non sarà qui prima della quattro, quindi non ci sono problemi», mi sorride, ma senza che la classica luce che ha quando lo fa raggiunga i suoi occhi. «Ma poi anche nel caso fosse qui probabilmente sarebbe più che contento di conoscerti, dal momento che non fa altro che chiedermi di te e assillarmi», scuote la testa e alza gli occhi al cielo. La preoccupazione che poco fa gli velava il volto sembra essere sparita e io arrossisco immediatamente, «Davvero? E perché?», domando curiosa, nonostante sia in imbarazzo per il fatto che il suo capo voglia conoscermi.

«Mi rompe le scatole da Parigi, da quando ci siamo incontrati sul set di Dior al Louvre», scuote la testa. «Poi potrebbe sapere qualcosa della nostra uscita a Sacré-Cœr e della mia scorsa a Gare de Lyon, un po' perché Jacques, il suo autista di Parigi, ha fatto la spia, un po' perché mi ha tartassato di domande e battutine per tutto il tempo, finché non ho ceduto e gli ho detto quello che era successo».

Scoppio a ridere di fronte all'imbarazzo di Edoardo che si porta una mano alla nuca e mi guarda con un'espressione buffissima.

«Chi l'avrebbe mai detto che un fotografo del calibro di Max Cardelli fosse un pettegolo di prima categoria?», affermo lasciando che la mia risata scemi nell'aria.

«Peggio di una comare di paese», mi conferma iniziando a entrare nell'edificio e dirigendosi verso gli ascensori per poi salire fino all'ultimo piano.

Quando si aprono le porte dell'ascensore un ampio openspace si svela ai miei occhi, una donna sulla quarantina con un caschetto castano e una grossa montatura rossa ci saluta da dietro a una scrivania.

«Edoardo sei in anticipo, la signorina Rebecchi non è ancora rientrata fortunatamente», dice con evidente sollievo sul suo volto e io mi domando chi mai possa essere per creare una reazione del genere. Deve essere qualcuno non particolarmente piacevole dal momento che anche Edoardo sembra rilassarsi a queste parole. «Max invece sarà qui prima perché ha già portato a termine gli impegni della giornata», lo informa con un sorriso dolce in viso per poi spostare i suoi occhi su di me. «Oh, che maleducata, non mi sono nemmeno presentata: piacere sono Carla Rossetti. Tu devi essere Alice, giusto?», mi rivolge lo stesso di sorriso che ha rivolto a Edoardo prima di posare lo sguardo sulla mia mano intrecciata a quella del ragazzo al mio fianco.

Arrossisco e rivolgo uno sguardo in tralice al ragazzo vicino a me per poi sciogliere le nostre mani e stringere quella della donna, «Sì, sono Alice. Piacere mio».

«Oh, ma sei così carina! Max aveva ragione», batte le mani contenta. «Edoardo, è proprio un bel bocconcino, ci credo che non riuscissi a distoglierle gli occhi di dosso», tuba poi facendomi ancora più arrossire di quanto non abbia già fatto tanto che in questo momento vorrei scavarmi una buca e nascondermici.

Fortunatamente Edoardo interviene, «Okay, Carla, va bene così, ci vediamo dopo!», le dice prendendomi di nuovo per mano e condurmi verso una delle porte che si affacciano sull'ingresso.

«A dopo», ci scocca un sorriso enorme. «Ti avviso nel caso dovesse arrivare qualcuno», ci lancia anche un occhiolino che mi fa nuovamente avvampare.

«Va bene, Carla! A dopo», dice poi fulminandola con lo sguardo al quale lei risponde con un sorriso a trentadue denti e due pollici in su. Sorrido imbarazzata dalla situazione ed Edoardo scuote la testa sconsolato.
«Questo ufficio è un covo di pettegoli», borbotta tra sé e sé aprendo la porta del suo ufficio e io non posso che ridere.
Entriamo finalmente nella stanza e io resto a bocca aperta, dimenticandomi di tutto l'imbarazzo di poco prima: di fronte a me, infatti, c'è una vetrata enorme dalla quale si ha una vista bellissima su Milano, su tutti i tetti e su una parte del grattacielo dell'Unicredit, quello di Gae Aulenti.
Dopo qualche istante lascio scorrere il mio sguardo per il resto della stanza, tutto è molto minimal con colori freddi che sfumano dal bianco al grigio, con qualche tocco di nero: l'insieme risulta molto elegante e sofisticato, ma non mi sarei aspettata di meno dal capo di Edoardo.
Mi avvicino alla scrivania di vetro, sulla quale c'è un imponente computer accesso, curiosa di vedere a cosa sta lavorando Edoardo, ma quando lo faccio, mi pento immediatamente della mia scelta. Non appena guardo lo schermo, infatti, il mio cuore salta un battito e un brivido freddo mi percorre la spina dorsale: una fotografia ritrae Edoardo e una ragazza dai capelli ramati stretti in un abbraccio e che si stanno scambiando un bacio appassionato.

...
Buona domenica a tutti?
Forse no, contando che probabilmente starete pensando di uccidermi dal momento che vi sto lasciando un po' tanto sul filo del rasoio. Scusatemi, troppe gioie di seguito non possono esserci purtroppo:(
Come reagirà Alice? Cosa farà Edoardo?
Fatemi sapere le vostre teorie!

Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Io vi mando un bacio enorme:)

A presto,

Alice.

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