Nemica neve

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Una fitta coltre di neve bianca era attecchita sul parco di Hogwarts, rinforzata dal leggero manto che la tempesta stava contribuendo ad aumentare.
Erano giorni che nevicava insistentemente e le lezioni di Erbologia e Cura della creature magiche erano sospese, mentre gli allenamenti di Quidditch erano stati severamente vietati. Il ritmo era rallentato e le giornate sembravano vuote. L'aria era talmente gelida che i turni di vigilanza dei prefetti erano inutili, dato che nessuno decideva di imboscarsi negli anfratti del castello più freddo della storia.

«Merlino, dovrebbero fare qualcosa per questa temperatura» sbottò Rose durante uno dei suddetti noiosissimi turni di vigilanza.
Scorpius, avvolto in un pesante mantello scuro, ridacchiò.

«Ti proibisco di ridere di me!» sbottò di nuovo la ragazza, irritata dalla sua reazione. Nonostante la recente collaborazione, a volte Rose mal sopportava il suo socio. Continuava ad essere altezzoso e caparbio anche se erano costretti a comunicare.

«Perdonami Rossa» la apostrofò senza smettere di ridere.

Si era creato un legame tra i due, era innegabile. Si conoscevano da sei anni grazie ad Al, e nell'ultimo periodo si era ritrovati spesso insieme sia per le loro indagini sia per i loro doveri. Si erano sempre punzecchiati e continuavano a farlo, ma iniziavano a parlare di più.
Rose pensava fosse una cosa bella, aveva scoperto delle cose su Malfoy e gli era sembrato interessante, poteva essere un buon conoscente. In più, in quel modo, favorivano anche il lavoro delle loro madri.

Rose sbuffò, rivolgendogli un'occhiataccia, ed accelerò il passo per precederlo. Il corridoio buio era naturalmente vuoto, i quadri appisolati e non si sentiva alcun rumore, se non il ticchettio dei lori passi. Era interessante come, di giorno, in mezzo a tutte le persone, l'unica cosa udibile era un assembramento di voci e risate mentre, alla sera, il silenzio innaturale dava quasi i brividi. Sembrava che il castello fosse rimasto vuoto per secoli, con l'umidità che filtrava dalle spesse pareti e le torce spente, ed era difficile immaginare che di lì a poche ore si sarebbe ripopolato.

Scorpius la riscosse dai suoi pensieri raggiungendola e un brivido le percorse la schiena. Un'ampia finestra era rimasta aperta e una leggera coltre di neve si era posata sul pavimento. Scorpius la circondò con un braccio, avvolgendola nel suo mantello, poi chiuse la finestra con un colpo di bacchetta. L'umidità le era entrata fin dentro le ossa e il calore del mantello pesante la riscosse leggermente. Si appuntò mentalmente di scrivere a sua madre per farsi spedire un secondo mantello da usare nelle ronde.

Stava per staccarsi e proseguire, ma il biondo parò un braccio davanti a lei, tirandosela addosso e facendole perdere l'equilibrio. Stava per franare a terra ma si mantenne alla finestra aperta davanti a lei e rivolse un'occhiataccia a Scorpius.

Aspetta, l'aveva appena chiusa...

Scorpius fissava insistentemente qualcosa a terra, senza curarsi della finestra che gli si era riaperta sotto al naso, e quando Rose fece per farglielo notare, la zittì. Quello che stava fissando non era il vecchio pavimento umido del castello bensì il piccolo strato neve, su cui vi erano impresse delle impronte di scarpe.

In quel momento avrebbe tanto voluto indossare una di quelle tute bianche che i poliziotti babbani sfoggiavano in quel telefilm che piaceva tanto a nonna Granger. Infatti quei signori erano in grado, con delle semplici misurazioni, di risalire a peso e altezza della persona di cui possedevano l'impronta. Naturalmente, fuori dal mucchietto di neve, vi erano solo svariati cristalli di ghiaccio nella direzione da cui erano venuti e poi più nulla.
Era stato un errore grossolano incantare una finestra perché non si chiudesse così da far entrare qualcuno se poi questo qualcuno lasciava delle impronte nella neve.

«Credi che sia l'uomo che parlava alla partita?» domandò incerto Scorpius. Non sapeva se, quel giorno, avesse potuto ascoltare la voce forte dell'uomo risuonare nel campo da Quidditch o se il bolide l'avesse stordito prima, ma sicuramente sapeva le parole che aveva pronunciato dato che il giorno seguente erano riportate sulla Gazzetta della Profeta.

«Beh, questo spiegherebbe come fa ad entrare, dato che non è un alunno né un professore» spiegò Rose con tono basso.

Aveva un'idea che le frullava nella mente ma non voleva condividerla con lui. D'altra parte non credeva che sapesse l'esistenza dei doni della morte e che uno in particolare fosse riposto nel baule di suo cugino.

«A cosa stai pensando?» domandò il ragazzo, scrutandola con aria curiosa.

Rose Weasley era sempre stata un mistero per lui. Di tanto in tanto si sorprendeva ad osservarla, ma non riusciva a capirla. Era sempre frenetica e nevrotica, ma poi si fermava e pensava -Scorpius ne era certo- pensava talmente tanto che il mondo esterno scompariva e non si rendeva conto, per esempio, di avere un calamaio in mano e che si stava versando tutto l'inchiostro addosso. Almeno al secondo anno le era capitato, poi doveva essere migliorata.

«A nulla» mentì, riscossa dall'eco delle parole del ragazzo che risuonavano nel corridoio vuoto. Al buio non era perfettamente in grado di riconoscere ogni anfratto del castello, ma era quasi certa che lì non ci avesse mai messo piede.

Scorpius naturalmente non si lasciò abbindolare dalle menzogne del prefetto, ma la stanchezza iniziava a farsi sentire e una serie di sbadigli gli avevano annunciato che era ora di riposare, nonostante la scarica di adrenalina di poco prima.

Decise così di andare a dormire, riaccompagnando prima Rose alla torre di Grifondoro.

Fu un ambiente caloroso che la riscosse non appena oltrepassò il varco lasciato dalla Signora Grassa. Nonostante l'orario, il caminetto era ancora acceso e qualche studente giaceva addormentato sui tavoli. Riconobbe, tra gli altri, Emma, la sua compagna di stanza, e decise di svegliarla. D'altra parte lei sapeva che aveva la ronda e che sarebbe tornata tardi, dunque sapeva anche che l'avrebbe trovata lì, e avrebbe potuto arrabbiarsi se non l'avesse svegliata.

Emma era una ragazza strana. Passava la maggior parte del suo tempo libero tra riviste di moda e  pozioni snellenti, e poi, tra una lezione e l'altra, fuggiva nelle cucine a rimpinzarsi di cibo, quando gli elfi glielo concedevano.

La ragazza si guardò intorno stranita, sbattendo ripetutamente gli occhi per abituarli alla luce flebile del caminetto e di un paio di torce. Sorrise dolcemente a Rose, spostando il braccio in maniera innaturale davanti a sé. Teneva il gomito destro davanti e il braccio nella stessa direzione, a reggersi il viso.

Si strofinò un po' gli occhi con le dita, poi disse: «Grazie per avermi svegliato, arrivo subito».

Rose si incamminò lentamente per le scale che portavano ai dormitori femminili, cercando di fare meno rumore possibile. Conosceva se stessa e sapeva bene che sarebbe potuta ruzzolare giù oppure urtare tutti i mobili del dormitorio anche solo aprendo la porta della stanza. Per fortuna non accadde.

Le altre ragazze dormivano tranquillamente, gli unici letti vuoti erano il suo e quello di Emma. Si affrettò a prepararsi per dormire mentre svariati sbadigli la scuotevano. La sua mente, prima di staccarsi del tutto, continuava a rielaborare tutte le sue scoperte e le teorie che ne erano conseguite, e quando finalmente si addormentò Emma non era ancora risalita.

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