4. Contact

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La notte in cui Katsuki decise di tornare al mare fu diversa dalle altre. Il cielo era limpido, senza una nuvola, e la luna piena brillava con una tale intensità che sembrava quasi giorno. E il mare, sotto quella luce pallida, era più che calmo. Le onde erano inesistenti e neppure le fronde delle palme sul litorale si muovevano.

Erano passati solo pochi giorni dall'ultimo incontro con la creatura, eppure la distanza sembrava immensa. Katsuki non riusciva a scrollarsi di dosso quella sensazione di vuoto, di qualcosa di incompleto che lo chiamava, che lo continuava a trascinare verso l'oceano, come se la creatura lo stesse aspettando, come se il mare stesso stesse reclamando la sua presenza.

Arrivò sulla spiaggia quando il cielo era ormai completamente buio, con solo la luna a rischiarare il cammino. L'acqua fresca sferzava la sua pelle nuda mentre camminava più lontano dalla riva, la tavola trascinata dietro di lui, agganciata alla sicura sul polso per non perderla. Il rumore delle onde che si infrangevano contro la riva era lento, un suono dolce e rilassante che gli faceva bene al cuore, perché dentro di sé avvertiva qualcosa di diverso, un'elettricità nell'aria che portava ad aumentare i battiti. C'era una speranza segreta, un desiderio che lo spingeva verso l'ignoto, il buio, l'acqua più profonda.

Sapeva che avventurarsi in mare di notte era pericoloso, ma la paura non era mai stata un problema per lui. Controllò con attenzione la corda di sicurezza al polso, assicurandosi che fosse ben stretta, poi si fermò un attimo, respirando profondamente l'aria salmastra, il sapore del mare che riempiva i suoi polmoni. Lo sciabordio leggero delle onde e della corrente che lambivano la pelle calda e abbronzata gli ricordavano quanto fosse piccolo nella vastità del mare. Ma questo non lo fermò.

Prese con due mani la tavola e si diede una spinta, lì dove ancora toccava il fondale, e scivolò sull'acqua, che era più fredda di quanto si aspettasse, quasi gelida contro la pelle, e la corrente lo sospingeva piano verso il largo, dolcemente.

Katsuki iniziò a remare, la pancia e il petto poggiati sulla tavola, le dita dei piedi che sfioravano la superficie dell'acqua.

Era come se fosse tornato al suo elemento, il mare lo avvolgeva e lo sosteneva, mentre la luna illuminava il suo lento andare come un faro nella notte.

Per un po' si abbandonò allo sciabordio lieve, lasciando che il suo corpo e la tavola si sintonizzassero con il ritmo delle onde. Ogni movimento era preciso, calibrato non solo per mantenere l'equilibrio, ma per trovare anche un delicato rilassamento.

Tuttavia, non poteva fare a meno di guardarsi attorno, cercando quella figura che aveva ormai catturato tutti i suoi pensieri.

La luna piena illuminava la superficie dell'acqua, rendendola quasi argentata, e per un momento Katsuki si rese conto di essere completamente solo, un piccolo punto in mezzo all'immensità dell'oceano. Ma non si sentiva perso, anzi, c'era qualcosa di confortante in quella solitudine, qualcosa che gli dava una strana pace.

Si spinse un po' più al largo, sempre più lontano dalla sicurezza della riva, fino a quando non sentì che il rumore della risacca si era attenuato, lasciando solo il suono del suo respiro e il battito del suo cuore. Poi si lasciò scivolare nell'acqua, di lato, la tavola galleggiava accanto a lui. La sensazione di quella massa fredda che lo avvolgeva era quasi un sollievo, come se ogni preoccupazione, ogni pensiero pesante fosse stato lavato via.

Chiuse gli occhi e si lasciò cullare dalle onde, permettendo al mare di trasportarlo dove voleva. Non c'era paura, solo una profonda fiducia in quell'elemento che conosceva così bene. Il suono dell'acqua che si muoveva intorno a lui era ipnotico, quasi come una ninna nanna, e per un attimo Katsuki si lasciò andare completamente, abbandonandosi totalmente alla corrente.

Il tempo sembrò rallentare, ogni secondo allungandosi in un'eternità.

Katsuki sentì il proprio corpo farsi leggero, come se fosse parte dell'acqua, parte dell'oceano stesso. E in quel momento, con gli occhi chiusi e il cuore aperto, avvertì una presenza accanto a sé.

Aprì gli occhi lentamente, ma vide solo la luna riflessa sulla superficie dell'acqua, distorta dalle onde.

Per un momento, si chiese se fosse stato solo il frutto della sua immaginazione, un gioco di luci sull'acqua. Ma poi lo vide, quel riflesso cangiante, verdastro, che sembrava quasi pulsare al ritmo delle onde. Non era un'illusione stavolta.

Il cuore gli balzò in gola mentre scrutava più a fondo nella notte. A pochi metri da lui, l'acqua si muoveva in modo strano, come se qualcosa di vivo stesse emergendo. Katsuki si girò di scatto, i muscoli tesi, e vide una figura affiorare dall'oscurità liquida.

Era lui. I capelli verdi ondeggiavano a pelo d'acqua come alghe, fluttuando intorno al suo viso pallido, e i suoi occhi grandi, color giada, lo fissavano con intensità. Quelle iridi sembravano riflettere tutta la luce della luna, scintillando come fossero ricoperte di minuscole scaglie iridescenti. C'era qualcosa di quasi ipnotico in quello sguardo, una forza che lo attirava senza che lui potesse opporsi.

Il tritone non si mosse subito. Rimasero lì, sospesi tra il mare e il cielo, due mondi che si incontravano in quel momento sospeso nel tempo. Katsuki, ancora a metà tra la realtà e il sogno, si sentì improvvisamente invaso da una marea di emozioni contrastanti: aveva passato giorni a pensare a questa creatura, a domandarsi cosa rappresentasse per lui. Giorni in cui l'aveva cercata e, quando meno se lo aspettava, appariva.

E ora che era lì, davanti a lui, tutte le sue domande sembravano scivolare via, lasciandolo con una sola certezza: volersi avvicinare, voler capire meglio il perchè di quei fugaci incontri.

«Eccoti.», mormorò Katsuki, la voce che si perse nell'aria placida della notte.

Si mosse lentamente verso di lui, scivolando sulle increspature lievi delle onde, stendendo una mano con il palmo aperto, ma senza rompere il contatto visivo.

Non voleva spaventarlo, non voleva che scappasse via ancora una volta.

Il tritone osservò la mano tesa di Katsuki con occhi attenti, poi sollevò la sua, pallida e leggermente iridescente, come se la pelle fosse fatta di opale. Le dita palmate si aprirono, titubanti, fino a che uno dei polpastrelli della creatura non sfiorò quelli dell'umano.

Quando le loro dita si toccarono, Katsuki sentì una scarica di energia attraversargli il corpo, come se un ponte invisibile fosse stato costruito tra loro, unendo due mondi in quel gesto così semplice.

Il biondo sentì il cuore battere forte nel petto mentre la mano del tritone, fredda e liscia, sfiorava la sua. C'era una delicatezza in quel tocco, un'attenzione che lo fece rabbrividire. Non era paura, ma qualcosa di più profondo, quasi reverenziale. Era come se stesse esplorando un territorio sconosciuto, eppure stranamente familiare.

La creatura sembrava altrettanto affascinata dal contatto. Le sue dita lunghe e sottili scivolarono lentamente sulla mano di Katsuki, quasi con cautela, come se volesse memorizzare ogni dettaglio di quella pelle così diversa dalla propria. Katsuki osservò, incantato, il modo in cui le sue scaglie iridescenti riflettevano la luce della luna, creando piccoli arcobaleni che danzavano sulla superficie dell'acqua.

Decise di fare un movimento in avanti, un battito di gambe appena, lasciando che le dita dell'altra mano tracciassero il profilo delle scaglie sul dorso della mano della creatura. Erano lisce e fresche al tatto, quasi come la superficie levigata di una conchiglia, ma vive, pulsanti di una vita che non poteva comprendere appieno. Si spinse oltre, sfiorando il polso del tritone, dove le scaglie diventavano più sottili, lasciando intravedere la pelle quasi traslucida sottostante. Era affascinante, quasi magico.

Incoraggiato da quel gesto delicato e innocuo, il tritone si avvicinò ancora un po', i loro corpi così vicini da permettere all'umano di sentire l'odore salmastro dell'oceano che emanava la pelle della creatura, mescolato a qualcosa di dolce e indefinibile, una fragranza che sembrava appartenere solo a lui. Osservò le spalle di quella meraviglia della natura, larghe e forti, decorate da piccole scaglie verdi che si estendevano fino al collo, dove le branchie sottili restavano chiuse, sigillate, in modo che il tritone potesse respirare anche fuori dall'acqua, come se fosse una creatura anfibia.

Il tritone alzò la mano libera e sfiorò con gli artigli il viso di Katsuki, delicatamente, per poi esplorarlo con i polpastrelli, le dita, il palmo; il suo tocco era leggero, quasi timoroso, come se stesse cercando di capire cosa fosse quel mondo che si stava aprendo davanti a lui. Katsuki chiuse gli occhi per un momento, lasciando che la sensazione di quelle dita fredde e scivolose sulla sua pelle lo attraversasse. Era strano, ma al tempo stesso rassicurante, come se quel contatto fosse la conferma che anche quella creatura avvertisse quella connessione.

Quando riaprì gli occhi, si ritrovò a fissare quelli del tritone, profondi e luminosi, pieni di una curiosità che rifletteva la propria. Per un istante, fu come se il tempo si fermasse, come se il mondo intorno a loro svanisse, lasciando solo quel legame, quel silenzioso dialogo tra i loro corpi.

Katsuki, spinto da un impulso improvviso, sollevò la mano tracciò il contorno delle scaglie sulle spalle della creatura, seguendo la linea delle sue clavicole, fino ad appoggiargli il palmo sul petto, proprio dove il suo cuore avrebbe dovuto essere.

Sentì un battito regolare sotto le sue dita, più lento e profondo del proprio, ma ugualmente forte. Quel suono, quel ritmo, sembrava raccontare una storia antica, una storia di abissi e di segreti che Katsuki voleva scoprire. La creatura non si ritrasse, anzi: chiuse gli occhi, come per assaporare quel contatto, le labbra tirate in un sorriso debole mentre inspirava a fondo.

Poi, quasi senza pensare, Katsuki fece scivolare la mano lungo il torso di Izuku, seguendo la linea delle sue scaglie che si facevano più grandi e spesse man mano che si avvicinavano ai fianchi. Era come esplorare un territorio sconosciuto, ogni dettaglio della sua pelle raccontava una storia diversa, un mondo nuovo e inesplorato. Eppure, c'era qualcosa di incredibilmente intimo in quel gesto, come se stessero imparando a conoscersi in un modo che le parole non avrebbero mai potuto esprimere.

Il tritone rispose sfiorando a sua volta il torso di Katsuki con una mano, poggiandola sul petto, restando ad occhi chiusi a ripetere quello stesso tocco che lo aveva emozionato, esplorando la pelle di quel ragazzo, così diversa dalla propria. Era come se volesse capire cosa significasse essere umano, cosa significasse essere così simile eppure così diverso. Katsuki sentì un brivido attraversargli la schiena mentre quelle dita fredde scivolavano sui suoi muscoli, tracciando linee invisibili che sembravano invece bruciare come fuoco sotto il pelo dell'acqua.

Restarono così per un tempo indefinito, immersi l'uno nell'altro, il mare che li cullava dolcemente mentre la luna li osservava dall'alto. Non c'era bisogno di parole, non in quel momento. Ogni tocco, ogni carezza parlava per loro, raccontava una storia che solo loro potevano capire. E in quella notte, sotto la luce della luna e tra le onde del mare, Katsuki sentì che qualcosa di profondo e inarrestabile era nato tra loro.

Quando poi alzò lo sguardo, incontrando di nuovo gli occhi verdi e profondi di colui che aveva di fronte, si chiese come potesse continuare a riferirsi a lui solo come "il tritone", una creatura senza nome. Voleva qualcosa di più personale, qualcosa che potesse chiamare suo, come se dare un nome significasse rendere reale quel legame, cementarlo in qualcosa di tangibile.

Inclinò leggermente la testa, cercando le parole giuste. «Vorrei poterti chiamare in qualche modo.», disse lentamente, come se stesse soppesando ogni parola. La sua voce era bassa, quasi un sussurro, ma la creatura lo ascoltava con attenzione, gli occhi che brillavano di curiosità. «Qual'è il tuo nome?».

Per un attimo, ci fu solo il respiro dell'oceano ad avvolgerli. Poi, come se quelle parole avessero acceso qualcosa dentro di lui, la creatura sorrise. Un sorriso che illuminò il suo volto, rendendolo ancora più etereo, quasi magico.

Puntò il dito contro il petto del biondo e mosse le labbra.

Katsuki.

Aveva riconosciuto il proprio nome, silenzioso, su quelle labbra morbide e aveva annuito. «Sì. Katsuki.».

Poi la mano palmata, aperta, si posò sul petto pallido della creatura, mentre le sue labbra si muovevano piano, scandendo sillabe per farsi capire.

«Izuku? È così che ti chiami? I-zu-ku?», e, mentre pronunciava il suo nome ancora una volta vide il tritone fare un mezzo salto nell'acqua, il suo corpo che si sollevava con grazia e velocità. Era come osservare un delfino, agile e gioioso, che si divertiva in quel suo elemento naturale; eseguì una serie di piroette, immergendosi e riemergendo in un gioco di luci e ombre, lasciando dietro di sé una scia di bolle argentee che brillavano sotto la luce della luna. Era chiaro che la sua felicità era incontenibile, come se l'idea di sentire il suo nome pronunciato, di essere riconosciuto, lo riempisse di gioia.

Katsuki non poté fare a meno di sorridere a sua volta, il cuore leggero come non lo era da tempo. C'era qualcosa di contagioso nella gioia di Izuku, qualcosa che lo faceva sentire più vicino a lui, come se stessero condividendo un momento unico, solo loro due. Ma poi, all'improvviso, Izuku si fermò. La sua espressione cambiò, diventando più seria, quasi pensierosa.

Katsuki notò il cambiamento e il suo sorriso si affievolì leggermente. «Che c'è?», chiese, cercando di capire cosa lo avesse turbato.

Izuku si guardò intorno, come se stesse cercando di trovare un modo per spiegarsi. Non poteva parlare, e Katsuki lo sapeva bene, ma il desiderio di comunicare era evidente nei suoi occhi.

Dopo qualche istante di esitazione, Izuku indicò prima se stesso e poi il cielo, facendo un gesto come per indicare il sole che sorge.

Katsuki osservò quei movimenti con attenzione, cercando di cogliere il significato nascosto dietro quei gesti. «All'alba?», chiese, cercando conferma. Izuku annuì con vigore, il suo viso che si illuminava di un nuovo sorriso mentre il suo corpo si muoveva con una grazia fluida nell'acqua, girando attorno al biondino e alla sua tavola da surf.

Poi, Izuku sollevò le dita, come a indicare il numero due, e li ripeté. Katsuki aggrottò la fronte, cercando di interpretare quel segnale. «Due... Due giorni?», chiese, e il tritone annuì ancora una volta, sorridendo con quel suo sorriso contagioso.

Katsuki si ritrovò a increspare le labbra di nuovo, più rilassato ora che aveva capito. «Vuoi che ci incontriamo di nuovo tra due giorni, all'alba?», disse, più per conferma a se stesso che per chiedere davvero all'altro. Izuku gli fece un cenno affermativo, i suoi occhi che brillavano di una luce che Katsuki non aveva mai visto prima.

C'era qualcosa di speciale in quella sorta di promessa, in quell'accordo silenzioso tra di loro. Katsuki sentiva che quel legame stava diventando sempre più forte, più reale. Si avvicinò leggermente, sentendo l'acqua fredda intorno al corpo e sussurrò un semplice: «Ci sarò.».

Izuku sembrava contento, la sua espressione lo confermava. Fece un ultimo salto nell'acqua, immergendosi completamente per poi riemergere, come se quello fosse il suo modo per salutarlo un'ultima volta.

Katsuki lo guardò inabissarsi, osservando come si muoveva con grazia e potenza verso l'orizzonte, il suo corpo ormai completamente nascosto dalle onde, con solo una scia di bolle argentee a ricordargli la sua presenza.

Restò immobile per un lungo momento, il cuore che batteva forte. Aveva fatto una promessa, e sapeva che l'avrebbe mantenuta: due giorni, all'alba.

Altri due giorni e avrebbe incontrato di nuovo quel meraviglioso mistero che il mare gli aveva rivelato.

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