Capitolo 21: Mostro

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Non sono sicura su come mi sto sentendo in questo momento. Penso sia per il fatto che io sia sempre meno convinta di voler tornare a casa di Ingrid. Più precisamente, anche se non me lo aspettavo, credo, ma non ne sono sicura, di starmi divertendo.

O qualcosa del genere, ecco.

Non ricordo l'ultima volta in cui ho avuto una conversazione normale con qualcuno. E sia Ingrid che Michelle sono incredibilmente tranquille. È forse da un'ora che parliamo, e io sto iniziando a non capire.

È tutto così diverso dal solito. Non è come quando parlo con Jeff. Con lui devo misurare le parole, stare attenta a non sbagliarle, altrimenti rischia di arrabbiarsi o altro.

Non mi sembra di sbagliare qualcosa con loro due.

Il mio nervosismo sembra sparito e mi sono ritrovata a sorridere più spesso del solito. È una sensazione strana. Non credo sia del tutto negativa.

Non so nemmeno in quale momento io abbia smesso di essere seccata e abbia iniziato a sentirmi così. È tutto strano, tutto leggero. È come se mi fossi tolta di dosso un peso che non sapevo esistesse.

Michelle sta raccontando una qualche strana cosa che le è capitata quando usciamo dal piccolo fast food dove abbiamo cenato.

- Aspetta aspetta - dice Ingrid, e la sento prendermi per mano - Michelle, andiamo sul balcone di casa tua.

Prima mi irrigidisco, quasi colpita, ma poi decido di lasciare che sia.

Ci immergiamo nei vicoli, fino ad arrivare ad un anonimo condominio. Michelle impreca nel cercare le chiavi e io rido.

In parte mi sento come se fossi ubriaca, ma senza il mal di testa. È semplicemente tutto più brillante, in qualche modo.

Casa di Michelle è piccola, ma ha un balcone con un paio di sdraio, abbastanza grande.

- Io vi lascio un attimo - dice la ragazza dai capelli verdi - Devo andare in bagno. Ma devo finire la storia, non dimenticatevene!

Il balcone non è male. Si possono vedere i tetti delle altre case, e le luci del cielo.

Ingrid si accende una sigaretta - Allora, come va la serata?

- Meglio di quanto pensassi - mi ritrovo a confessare. Mi sento talmente confusa in questo momento.

- Michelle è una grande - dice, con un mezzo sorriso - La ammiro tantissimo.

- Perché racconta bene i suoi aneddoti da ragazza ribelle? - ridacchio tra me.

- Si è liberata. Tre anni fa era distrutta. Non parlargliene, ma era diventata dipendente dalla coca. L'ho vista riprendersi, e ha sofferto come un cane, posso giurartelo. Ma ora è libera. Credo sia una cosa meravigliosa. Sai, era quel tipo di cosa che le faceva male, ma di cui non sembrava riuscire a liberarsi. Eppure lo ha fatto.

- Oh - commento, un po' stupidamente. Non so esattamente cosa dire - Ingrid, posso chiederti una cosa?

- Certo, dimmi tutto.

- Mi hai detto che io ti ricordo te. Cosa vuol dire?

Non credo si aspettasse questa domanda, dato che ci mette qualche secondo a rispondere.

- È una vecchia storia - dice - Ma se vuoi posso raccontartela.

- Te la senti di confidarti con una come me?

Lascia uscire il fumo dalle proprie narici, per poi sorridermi - Non dovrei?

- Beh, non ti fidi abbastanza per lasciarmi a casa tua da sola.

- Sarò onesta, Madge. Volevo solo che tu passassi un pomeriggio normale, a divertirti.

- Oh.

Il suo modo di comportarsi è così strano. Come se le importasse realmente qualcosa di me. Ma è così insensato.

- Allora. Vuoi sentire questa storia sì o no?

Annuisco nel buio.

- Prima di vivere da sola, ovviamente avevo una famiglia. Mia madre era una normale casalinga. Mio padre lavorava come scaricatore di porto. Non siamo mai stati molto ricchi, e lui era tutto ciò che poteva permetterci del denaro. Eppure...

Vedo la mano che le trema leggermente. Si ferma e prende un respiro profondo.

- Non devi continuare, se non vuoi - dico, leggermente a disagio.

Ingrid si morde il labbro, poi scuote la testa - Non importa. Lui mi picchiava, a me e a mia madre. Spendeva quasi tutto ciò che guadagnava in alcol, e quando tornava in casa si abbatteva su di noi. Non l'abbiamo mai denunciato. Ho sempre detto a mia madre che dovevamo lasciarlo. Lei mi ha sempre risposto che non voleva, perché lo amava ancora, e perché senza di lui non ce l'avrebbe fatta. Ero una bambina, alla fine mi sono convinta che quello che faceva andasse davvero bene, che lui era giustificato e che voleva davvero bene a me e a mia madre.

- Come è andata a finire? - chiedo, ma lei scuote la testa.

Si asciuga una lacrima, e una linea nera di trucco le corre lungo la guancia - Basta così. È questo che ci rende simili.

- Jeff non è come...

- Non lo è? - mi chiede, con tono improvvisamente più duro - Lui non ti prende a botte con la scusa di amarti? Non lo ha mai fatto?

Mi sfioro la guancia, dove Ingrid ha messo il bendaggio. Mi torna in mente la notte in cui Jeff ha cercato di tagliarmi la guancia. Mi torna in mente ogni colpo che mi ha dato, ogni botta, schiaffo, e i rari tagli con il coltello. Mi viene in mente la notte in cui ho pensato che la distruzione della mia famiglia fosse qualcosa di cui ridere.

Ho riso di una bambina che veniva assassinata. Una bambina non tanto diversa dalla Ingrid malmenata da suo padre.

Quando sento la prima lacrima, mi affretto ad asciugarla con la manica della felpa.

- Ehi - Ingrid, prende delicatamente la mano che si sta posando sul mio viso - Cosa succede?

- Tu... - mormoro, sentendo presto altre lacrime che non mi premuro di asciugare - I-io... Ingrid, sono un mostro. Ho-ho riso per lei... aveva tre anni... era la mia sorellstra... aveva tre anni, e io mi sono messa a ridere.

La mia voce si spezza, e Ingrid mi prende tra le sue braccia. Mi accarezza dolcemente, cullandomi.

Sono orribile. Come ho potuto fare qualcosa del genere? Sono un mostro, sono un mostro... un mostro tale e quale a Jeff.

Non mi merito Ingrid, che ha fatto fin troppo per me, non mi merito nessuno.

Eppure resto tra le sue braccia.

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