Capitolo 32: Errore

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La casa è tanto silenziosa, ora.

Mi sento egoista. Non avrei dovuto lasciare che Ingrid andasse, da sola.

Cammino per la casa mordendomi le dita dall'ansia. Non credo dormirò, stanotte. Non mi piace il silenzio che c'è qui. Ho paura per lei. Non voglio che Jeff le faccia del male, non sarei in grado di perdonarmelo.

Sono pessima, dovrei fare qualcosa. Non posso stare qui con le mani in mano, ma Jeff mi fa paura. E poi è tardi, tardi per fare qualsiasi cosa.

Mi costringo a sedermi sul divano, ad accendere la televisione e a prendere delle merendine dal frigo. L'ansia mi fa venire fame.

Ho paura per lei. E se non tornasse?

E se stasera i telegiornali annunciassero la sua morte? E se mentre lei muore io me ne stessi qui, ad aspettare, senza fare nulla ma sapendo benissimo che rischi corre?

È una cosa così brutta.

Faccio zapping tra reality show, documentari e telegiornali.

Ormai ho fatto la mia mossa, non posso tornare indietro. Lei è partita, e io non ho modo di raggiungerla. O sono solo codarda?

Posso chiamarla. Per vedere se va tutto bene. Alla fine, non c'è niente di male.

Prendo il telefono di casa, e leggo il numero che lei mi ha lasciato.

Ormai è partita da tempo, e dovrebbe essere arrivata, o quasi.

Squilla una, due, tre volte. Quattro, cinque, sei.

- Madge? Cosa succede? È tutto ok?

All'improvviso mi sento stupida ad averla chiamata.

- Sì, sì. È tutto ok. Non volevo disturbarti, scusa. Ero solo preoccupata, mi dispiace.

- Ehi, va tutto bene. Io sto bene. Sto cercando Michelle. È lei a preoccuparmi - il suo tono si incupisce all'improvviso.

- Certo... non ti disturberò ancora, mi spiace. Sei sicura che vada davvero tutto bene?

- Sicura.

La saluto, senza riuscire a evitare di scusarmi ancora, e butto giù. Sta bene. Almeno per ora sta bene.

Riprendo il telecomando, e torno allo zapping.

Il tempo passa, il sole tramonta. Non so esattamente cosa fare. Forse chiamarla di nuovo.

Mi rendo conto che ho paura di passare la notte in solitudine.

Mi preparo dei Saikebon e mi avvolgo in una coperta. Fa freschino, stasera.

Cerco di concentrarmi solo sul cibo, tanto da eliminare i suoni della televisione dalla mia mente. Solo che, alla fine, mi ritrovo di nuovo sull'attenti.

- Omicidi attribuiti a Jeff The Killer, la polizia ammette il proprio sbaglio.

Automaticamente alzo lo sguardo verso la televisione. Di cosa stanno parlando?

- Gli ultimi omicidi attribuiti a Jeffrey Alan Woods - dice una donna sulla cinquantina mentre parla con la videocamera - Si sono recentemente rivelati essere in realtà solo un'emulazione da parte di un'altra assassina seriale, Nina Hopkins, nota alle autorità per i suoi omicidi che rispecchiano in tutto e per tutto quelli di Jeff. Il merito di questa scoperta va a un testimone, che con la propria macchina fotografica ha...

Smetto di ascoltare. Mi gira la testa.

Mi costringo ad alzarmi e a cercare di raggiungere il telefono. Ingrid, devo dirlo a Ingrid.

Dov'è Jeff?

Io sono da sola, lui potrebbe essere qui vicino. Ho paura, sono da sola. Non voglio essere sola, ho bisogno di qualcuno.

Il telefono squilla. Una volta, due volte, tre volte.

- Pronto?

Non è la voce di Ingrid. È più acuta.

- Chi sei?

- Bella domanda. Sei tu che hai chiamato, tesoro, tu dovresti saperlo. Credo che alla tua amica sia caduto il cellulare. Sono successe tante cose, ma non preoccuparti, lei sta benone!

- Nina?

E quando lo dico so di non sbagliarmi. È lei, è per forza lei.

- Indovinato, Madge.

Il cuore mi batte più forte.

Cosa le ha fatto? Stringo più forte la cornetta, mentre la mia mano inizia a sudare.

- Cosa le hai fatto?

- Io? Niente! Quella stronza è scappata via con la sua amica. Ma almeno ho portato a compimento il lavoro del mio amato. Jeff mi adorerà, ora che gli ho dato una mano. Lui sa dove sei, cara. Non capisco proprio perché tu lo abbia voluto allontanare.

La chiamata si chiude.

Silenzio. Freddo.

Jeff sa dove sono.

Jeff sa dove sono.

Jeff sa dove sono.

Non voglio vederlo. Non voglio che sia qui. Non voglio che mi raggiunga, non voglio che mi tocchi, non voglio che provi ancora a farmi male.

Eccolo, ora lo sento. Il panico, la sensazione di non avere vie di fuga, un grido di terrore che si propaga nella mia testa.

Mi getto verso la porta di casa, ed esco.

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