Prologo- Prosit

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I gelsomini stanno sfiorendo.
L'ho capito dall'odore acre, di foglie morenti, che permea lo studio questa mattina.
Fuori piove, come ieri e l'altro ieri, e l'altro ieri ancora, ma una brina più spessa sbarra le finestre, un vento più tagliente ci ferisce le guance.
Un inverno freddo, desolato.
Le onde si infrangono sugli aspri scogli, sull'erba secca, sulla spiaggia scura, e come tante lamine dello stesso intricato mosaico da raffinare brillano contro la luce delle sei.

Tutti se ne sono andati, e Blackcurrant è vuota. Le sue pareti vibrano ancora delle note del violino di Julius; Ezra ha lasciato incustodita una boccetta di inchiostro.
Rimango solo io per oggi, e suppongo anche domani, e fino a che non si sarà trovata una soluzione a tutto questo.
E mentre spifferi dalla finestra muovono i miei fogli, attendo.
La Vaas continua a vivere, con i suoi studenti e i suoi scricchiolii, ma nulla è più lo stesso con la consapevolezza che non vi troverò tra i suoi corridoi, o intenti a leggere e discutere sotto voce in un angolo della biblioteca.

Il vento muove appena le tende, il silenzio s'increspa solo per un attimo grazie a un rumore lontano, forse un ramo caduto, e mi manca tremendamente l'estate.
Picnic sotto il debole sole di settembre, camicie bianche e lunghe chiacchierate mentre, seduti vicino allo stagno, beviamo il solito tè tiepido. Gli occhi sorridenti di Ezra, la parlata veloce di Julius: ciò che visualizzo meglio, e a cui penso nel deprimente freddo di adesso.
Memorie che hanno lasciato un vuoto, un fosso, che vengono ricordate con un triste sorriso mentre scrivo.
Oggi è il primo del mese, eppure non ci riuniamo come di consueto, con il nostro fare da piccola setta di filosofi.
L'abbandono della villa mi fa capire che abbiamo infranto la nostra grande e indissolubile promessa, per crearne una nuova: perché non c'è più niente da scoprire, ma così tante, tantissime cose da capire e da accettare...

Ho nostalgia delle mattinate al lago, delle ore passate tra distillatori e bilanciamenti, traduzioni insicure e polvere di gesso; delle notti burrascose spese nella sala grande, a parlare e a scambiarci bicchieri.
Tutto ciò mi manca.
Ma non posso riportare indietro quell'estate, e quell'autunno, entrambi il teatro di una felicità più viva.
Il nostro presente è cupo, eppure, da soli, nemmeno il nostro futuro potrà essere meno opprimente.
Vi prego di darmi ascolto, di ricordare anche voi quanto fossimo spensierati mentre accarezzavamo il dorso dell'acqua durante le nostre gite in barca: tutto può tornare ad allora, se noi torneremo come allora.

Le dita delle mie mani stanno gelando, e manca poco all'ora della colazione.
Aspetterò ancora qualche giorno, nella speranza che il pianoforte venga liberato dalla polvere e Blackcurrant torni a rimbombare delle vostre risa.
Per adesso, brindo a voi con il mio tè.
Prosit.

Emeline Barclay, 1907.

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