Donami una rosa

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Le bambine del villaggio durante  il giorno venivano affidate a un trio di anziane, permettendo così alle madri di svolgere i propri compiti di comunità. Viviana passava ogni sera a ritirare la sorellina appena terminate le lezioni con la propria maestra, per riaccompagnarla a casa, seguendo le indicazioni lasciate al mattino. Le tre a guardia delle piccole abitavano in case diverse e le occupavano a rotazione secondo disponibilità e stagione. In quel periodo, dato che il clima era mite e il tempo bello, si ritrovavano nella dimora con il giardino più ampio, portante il simbolo della rosa bianca. L'anziana proprietaria  era un'esperta in botanica e floricoltura, ovunque si potevano scorgere colori e profumi appartenenti alle piante più disparate. Le preferite, e le più lussureggianti, erano le rose bianche e Viviana ipotizzò che il simbolo dipinto sulla casa dipendesse proprio da questo.

Si era incantata ad ammirare quei fiori quando la sorellina minore la raggiunse e l'abbracciò.

"Si è comportata bene?" domandò la maggiore, rivolta alla proprietaria di casa.

"Un vero tesoro" la tranquillizzò l'anziana, incespicando lentamente e appoggiandosi a un bastone.

"Queste rose sono magnifiche. Lo so che può sembrare un crimine, ma... potrei averne una da portare a casa?".

"Non recido le mie rose, mi dispiace. Ma posso donarti un vaso con una piantina, se lo desideri. Così potrai metterla nel tuo giardino".

"Sarebbe perfetto, grazie!".

"Allora domani sera la troverai, pronta per essere trapiantata".

Viviana ringraziò ancora e annusò di nuovo l'aria, inebriata.

"Sono bianche..." sentì mormorare la padrona di casa, mentre si allontanava "... quanto vorrei che per una notte si tingessero di nuovo di rosso!".

Faceva una gran fatica ad avanzare e Viviana si chiese come potesse badare a delle bambine piccole nelle sue condizioni. Forse non era la più adatta a quel ruolo, a differenza delle altre due tutrici che parevano instancabili. Non ci pensò oltre, tornò a casa assieme alla sorellina e attese la madre per cenare. Consumarono il pasto in silenzio e poi la ragazza salì al piano superiore e si chiuse in camera. Dalla grande finestra che dava sul cortile vide la luna, un minuscolo spicchio che si apprestava a scomparire. Erano davvero già passate due settimane da quando si erano trasferite lì? Le sembrava ancora tutto uno strano sogno, per chiunque di difficile l'interpretazione. Sua madre in quel luogo sembrava rinata, la sorellina non faceva altro che ridere e imparare cose nuove. Solamente lei si sentiva ancora a disagio, fuori posto, fuori dal mondo reale. Ma, si convinse, forse era dovuto al fatto che era un'adolescente e in qualsiasi altra situazione si sarebbe sentita così. Si convinse che probabilmente era entrata a far parte di qualche strana setta religiosa, come delle bizzarre suore dalle gonne colorate. Dopotutto non si stava male, ci si doveva solo abituare, e non avere più la preoccupazione di un'eventuale ritorno paterno la rendeva molto felice. Era al sicuro, lì tutte si prendevano cura l'un l'altra, e questo era più importante di tecnologia e modernità. E al momento pensare ai ragazzi era fuori discussione! Spense la luce e si addormentò serena, chiudendo la finestra con i doppi battenti.
La mattina seguente, come ormai ogni mattina, accompagnò Giselle dalle tre anziane e notò che ad accogliere le bambine erano in quattro. Evidentemente qualcuno aveva notato la fatica della Rosa Bianca ed era stata aggiunta una tutrice in più. Le sembrò una scelta molto sensata e proseguì la propria giornata sentendosi più tranquilla.

Le grida felici delle bimbe riecheggiavano per tutto il villaggio, mentre giocavano nel grande giardino delle rose bianche. Viviana riusciva a vederle dalla finestra, mentre si esercitava nel canto. Le era stato detto che quel luogo possedeva molte antiche tradizioni, tra cui molte canzoni e melodie che avrebbe dovuto imparare e condividere al momento opportuno. Alcune erano davvero complesse, in una lingua ormai  dimenticata, ma la giovane si impegnava.
Canticchiava lungo la via del ritorno, ammirando la splendida rosa in vaso che le era stata donata e tenendo per mano la sorellina.

"Devi fare un regalo alla signora Rosa!" le suggerì Giselle "È stata molto gentile!".

Viviana annuì, intuendo quanto preziosa dovesse essere ogni singola rosa per quell'anziana. Si notava da come l'avesse rinvasata con cura e come tutte le foglie e i rami fossero perfetti, senza alcun tipo di imperfezione o danno. Giselle aveva ragione, ma che poteva mai regalarle? Quella notte cercò fra i vari cassetti e stanze di casa e trovò un ciondolo perfetto, a forma di rosa. Che meravigliosa coincidenza! Non riusciva a crederci! Lo avvolse in un fazzolettino bianco, poco elegante ma in quel momento non trovava di meglio, e decise di andare subito a portarglielo. Il sole era tramontato da poco, si chiese se forse l'anziana fosse già a dormire.

"In caso lo lascio davanti all'ingresso" si disse, camminando convinta.

Le luci della casa erano ancora accese, segno che probabilmente l'inquilina era sveglia, e il cancello era leggermente aperto. Viviana entrò senza pensarci troppo, conoscendo ormai la strada.

"Signora Rosa, le ho portato un regalo!" esclamò con entusiasmo "Mi scuso per l'ora ma non riuscivo ad aspettare fino a domattina!".

Chiamò ancora invano e si ritrovò a girovagare  per il giardino, notando delle rose rosse. Che strano... ricordava solamente rose bianche in quel lato della casa! Evidentemente si sbagliava...

Si avvicinò ancora e lanciò un grido: le rose non era rosse! Erano bianche ma del sangue le aveva irrimediabilmente dipinte in quel affascinante e macabro modo. La padrona di casa si trovava proprio in mezzo ad essere, con entrambi i polsi recisi e ancora grondanti di rosso scarlatto. La ragazza agì d'istinto, buttò in terra il ciondolo e corse fuori in cerca di aiuto. Urlò a squarciagola e si stupì di come le donne presenti non ebbero la reazione che si aspettava. Sui loro volti comparve una nota di dolore ma nessuno stupore, paura o sgomento.

"Ma avete capito cosa vi sto dicendo?!" gridò ancora Viviana "Si è tagliata i polsi! O forse qualcuno l'ha uccisa! È morta!".

Continuò così finché non fu raggiunta dalla capovillaggio, che le poggiò una mano sulla spalla e la invitò a calmarsi.

"Calmarmi?! Ma come sarebbe a dire?! Una donna è morta e dovrei calmarmi?!".

"La morte fa parte della vita, bambina" le parlò con calma la donna del Gufo Nero.

"Sì, ma...".

"Non era più utile al villaggio. Ha compiuto questa scelta. È triste ma va rispettata".

"Che cosa?! Che volete dire?! Non era più utile?!".

"Tutte noi abbiamo un'alba e un tramondo,  una luna crescente e una calante. Lei, in questa notte di luna nera, ha capito che era giunta alla fine".

Viviana non credeva alle proprie orecchie. Si guardò attorno e sembrava che per tutte quel discorso fosse del tutto normale.

"Cioè se domani io non mi sento più utile devo uccidermi?!".

"Sempre una tua scelta. La vita è tua, puoi farne ciò che vuoi".

"Ma...".

"Sei giovane. Non mi aspetto che tu capisca. Domani commemoreremo Rosa tutte insieme e preparati poiché spetterà anche a te intonare il canto di commiato".

Canto di commiato? Viviana era sconvolta da una tale calma, una tale compostezza generale. Ma in che razza di posto era finita?! Ora le sembrava tutto un incubo orribile, di quelli in cui non riesci a svegliarti, e si disse che doveva trovare il modo di andar via.

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