6 - Ponente, 6 anni e 26 giorni fa (II)

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«Hai capito che parlavo di te, vero?» Tseren aveva un modo di dire le cose che la disorientava. Non vi girava intorno, ma arrivava dritto al punto senza preoccuparsi troppo della reazione che le sue parole suscitavano.

«Siamo parenti?» se ne uscì Agata su due piedi. Le era venuto in mente in quel momento, perché era la spiegazione più logica. La ragazza cercava sempre di razionalizzare ciò che le sfuggiva, ma in quella situazione le sue doti deduttive erano completamente allo sbaraglio.

Lui rise di gusto. «No, neanche lontanamente».

«Come ci capiamo parlando due lingue diverse?» Avrebbe dovuto chiedergli prima perché la stava cercando, ma le domande le uscivano in modo disordinato, senza che avesse il pieno controllo di se stessa, una cosa che non le accadeva mai.

«Perché siamo legati» spiegò lui bevendo tutto d'un fiato il bicchiere di succo di cocco speziato che aveva di fronte.

«Basta risposte evasive» sbottò la ponentina. Tseren la guardò pensieroso, gli occhi blu cercavano di scavarle dentro e Agata fu costretta a distogliere lo sguardo.

«A un certo punto dovrò per forza raccontarti tutto, lo so. Ma non riesco ancora a fidarmi, ho bisogno di più tempo. Dammi fino alla prossima Luna nuova» chiese serio.

Che razza di modo di parlare era? Forse dalle sue parti si usava fare riferimento alle fasi della Luna per scandire il tempo. Agata posò lo sguardo sul calendario che Kanzi, iscritta al terzo anno di "Astronomia", aveva appeso alla scala che conduceva al suo letto soppalcato. Quel giorno era esattamente il primo giorno di Luna nuova, quindi, con la prossima Luna nuova, Tseren intendeva il mese successivo. Trenta giorni prima di sapere quale fosse il legame cui il misterioso levantino alludeva. Entro un mese non sarebbe neanche stata più lì; nel giro di una settimana aveva infatti in programma di partire per il villaggio di pescatori che chiamava casa.

«Quindi rimarrai qui con me tutto il mese?» chiese perplessa.

Lui si lasciò sfuggire un ghigno. «Diciamo un po' più a lungo di un mese».

Finito di mangiare, i due si incamminarono verso l'università. Tseren non era un chiacchierone, alla maggior parte delle domande di Agata o rispondeva in modo sfuggente o in modo singolarmente schietto, non conosceva vie di mezzo. Aveva anche lui molti interrogativi, ma riguardavano principalmente quanto osservava in giro, sembrava non aver mai visto un mezzo di trasporto meccanico, o persino del cibo in scatola. Agata si chiese se avesse vissuto isolato dalla civiltà tutta la vita.

Appena raggiunsero il punto di raccolta per l'allestimento della festa, Isaba li mise subito al lavoro. Chiese a Tseren di aiutarla a costruire il palco principale nel continente fittizio di Ponente, proprio lí davanti, e ad Agata di decorare la riproduzione delle casette a punta tipiche della Zona degli Altopiani di Levante, dall'altra parte del parco.

«Quanto ti allontani?» chiese Tseren afferrando Agata per un braccio. L'altra controllò di riflesso se la presa avesse lasciato dei graffi, ma questa volta il ragazzo era stato più delicato.

«È solo dall'altra parte del parco, saranno un settecento metri» intervenne Isa alzando gli occhi al cielo.

«Vengo con te» E, lasciando ai piedi di Isaba la cassetta degli attrezzi che aveva appena ricevuto, si avvicinò ad Agata. La ragazza alzò le spalle in direzione della compagna di camerata: ne capiva quanto lei di quell'attaccamento un po' morboso.

I due raggiunsero l'area che Isa aveva indicato loro e si misero al lavoro. Agata impugnò un pennello e, con la precisione che la contraddistingueva, cominciò a decorare di magenta le casette a punta; conosceva bene le decorazioni tipiche perché il corso di "Arti decorative di Levante" era un altro di quelli del quarto anno che si era anticipata. 

Anche la presenza di Tseren si dimostrò d'aiuto, senza battere ciglio il levantino accettò di arrampicarsi sulle costruzioni per appendere le stravaganti maschere di giada tradizionali. Era sorprendentemente agile, Agata non se ne intendeva di sport, ma era certa che quell'agilità fosse fuori dal comune.

«Sono cresciuto scalando pareti di roccia» spiegò a un ragazzo che gli aveva fatto i complimenti in levantese. Molti erano incuriositi dal forestiero e si avvicinavano per chiedere spiegazioni. I programmi di scambio tra università di Ponente e di Levante si erano interrotti da oltre dieci anni, cosa ci faceva lo straniero tra loro? Lui si limitava a rispondere che era venuto a trovare Agata e lei aggiungeva che era un amico di famiglia.

La ragazza si ritrovava spesso a osservare Tseren, più lo aveva intorno più le sembrava naturale, come se lo conoscesse da sempre. Scacciò i pensieri insensati e prese in mano una delle maschere di giada, un artefatto chiaramente originale. Isaba aveva chiesto ai genitori mercanti di mandare alcune merci tipiche... Agata si chiese quale fosse il valore dell'oggetto che in quel momento teneva in mano, probabilmente più di quanto la sua famiglia guadagnava in un anno. 

Quello era uno degli aspetti che più le piacevano dell'università: ragazzi provenienti dai più disparati strati sociali, costretti a trascorrere le proprie giornate e a condividere i propri spazi con persone dagli stili di vita opposti, con l'occasione di diventare amici o di coltivare un razzismo sociale antico come il mondo.

Agata pensò a Gregor, alla sua casa piena di oggetti preziosi, a come il ragazzo avesse sempre dato per scontato che l'amicizia andasse oltre qualsiasi considerazione sul livello sociale. L'idea di uscire con Greg le sembrava più strana del solito quel giorno, in fondo erano amici da tre anni. Lo sguardo le cadde nuovamente su Tseren.

Una ragazza del Comitato Eventi venne a dir loro che era stato allestito un pranzo per i volontari e tutti gli studenti lasciarono cadere all'unisono gli attrezzi. Isaba aveva pensato persino al pranzo; aveva molti tratti del carattere che non piacevano ad Agata, ma indubbiamente le sue doti organizzative erano da lodare. 

Agata si avvicinò al tavolo di carne cruda e prese una bistecca da portare alla griglia. Tseren la imitò, ma prima che lei potesse fermarlo aveva portato la carne alla bocca, addentandone un angolo.

«Ma cosa?!» esclamò la ragazza afferrandogli impulsivamente il polso.

Lui deglutì tranquillamente e, altrettanto confuso, ricambiò lo sguardo.

«Mangi la carne cruda?» chiese lei lasciandogli il polso imbarazzata. Lui sembrò realizzare quale fosse il problema e posò la bistecca sul piatto.

«Ero sovrappensiero» rispose poco convinto. 

Un'altra bugia.

Agata guardò la carne che l'altro aveva masticato con facilità. Lei non sarebbe di certo riuscita a staccarne un morso, lui invece l'aveva fatto con naturalezza e non aveva battuto ciglio al sapore. 

Avrebbe dato a Tseren un mese, solo un mese; poi avrebbe preteso una spiegazione per ogni dettaglio, ogni storia inverosimile, ogni bugia.

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