70 - Levante, 5 anni e 105 giorni fa (I)

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«Pensi che Xhoán sia in pericolo?» chiese la ragazza in ponentese. Tseren scosse il capo; no, Thuluun era convinto di essere suo nonno e per quanto lo trattasse più come una mercanzia che come un nipote, non avrebbe mai compromesso di nuovo il rapporto attaccando Xhoán. Non gli piaceva però il pensiero di essersi lasciato in cattivi termini con suo padre e voleva raggiungerlo al più presto.

«Che ne dici se li seguiamo in città e cerchiamo un mezzo di trasporto rapido per tornare verso le montagne?» propose l'Ascendente. «Ho sempre desiderato vedere la capitale di Levante con i miei occhi e...» cercò di giustificarsi.

«Va bene» la interruppe il ragazzo. «Va bene, veniamo con voi» ripeté rivolto agli altri due.

«Che bello!» esclamò Lakitaii stringendo le mani al petto, mentre Utu si limitò ad annuire rasserenato.

«Non mi date l'aria di conoscere bene Levante, e girare per il nostro continente non è sicuro come girare per Ponente» aggiunse il giovane.

In quel momento Taupo si sedette con loro vicino al fuoco e il resto della serata cercarono di farsi raccontare qualcosa delle disgrazie del taciturno isolano. Utukur non sembrava conoscerlo bene, mentre Kita era piuttosto in confidenza e continuò a torturarlo con le sue domande impertinenti finché non fu ora di andare a dormire.

**********

Il viaggio proseguì in tutta tranquillità, continuarono a seguire vie secondarie e nel giro di tre giorni si trovarono alle porte della capitale. La grande città si scorgeva anche a decine di chilometri di distanza, adagiata sulle colline che annunciavano la fine della zona stepposa. Più si avvicinavano, più Agata aveva l'impressione di guardare un grosso formicaio: centinaia di buche erano scavate nei colli, chiuse parzialmente da facciate colorate. In altri punti, casette dall'aspetto traballante si arrampicavano le une sulle altre lungo il lieve pendio, quelle più in alto raggiunte solo da sentieri difficilmente percorribili.

Il gruppo di fuggitivi entrò nel centro abitato in sella agli struzzi, nonostante gli animali fossero estremamente agitati dal traffico e dalla presenza di bestie da soma di tutti tipi, compresi predatori addomesticati.

Agata era al settimo cielo, sapeva che avrebbe adorato vedere con i propri occhi il caos variopinto della capitale di Levante e le sue aspettative non furono deluse. Tutto era diametralmente opposto rispetto alla graziosa cittadina che era stata scelta come capitale di rappresentanza di Ponente. L'Ascendente non vi era mai stata, ma aveva sentito tanto parlare delle strade pulite e della lista interminabile di divieti.

Nella capitale di Levante, invece, le regole erano suggerimenti, il traffico faceva da padrone e ognuno assecondava qualsiasi cosa gli passasse per la testa.

Tseren individuò immediatamente numerosi manipoli di ladruncoli e individui dall'aria sospetta che trasportavano armi leggere; mentre l'attenzione di Agata si soffermò sulle negoziazioni sul ciglio della via, il baratto era infatti ancora molto diffuso da quelle parti, e sulle divise celesti dei funzionari del governo o gli emblemi vistosi che adornavano l'abbigliamento degli scienziati della FSI. La sede principale della Fondazione Scientifica Internazionale era proprio nella capitale di Levante e gli eruditi impiegati dell'organizzazione erano ovunque.

«Peccato aver perso le lenti colorate...» disse la ragazza rivolta al Drago. L'altro si limitò ad alzare le spalle, come avevano anticipato loro Utu e Kita, la maggior parte degli abitanti della grande città neanche ti guardava in faccia; si limitava a farsi largo a spallate, ognuno preso dai propri impegni.

Le strade erano talmente congestionate che ci vollero tre ore per raggiungere il quartiere dove erano diretti, una borgata malfamata dove lo stucco sulle pareti era così consumato dalla muffa da lasciar intravedere lo scheletro delle case, e dove gli unici giocattoli dei bambini erano frammenti di vetro e sacchi dell'immondizia.

Legarono gli struzzi a un corrimano e si inerpicarono tra le abitazioni fatiscenti.

«Sicuri che li ritroviamo lì?» domandò ingenuamente Agata.

Latikaii scoppiò nella sua melodiosa risata. «Qui i furti sono all'ordine del giorno! Sia che li lasciamo lì o che li teniamo dentro casa, se qualcuno li vuole prendere, se li prende, tanto vale rinunciarci da subito».

La ponentina e il Drago si scambiarono un'occhiata sorpresa. «E se ci servissero di nuovo per spostarci?» domandò Agata.

«Basterebbe rubare quelli di qualcun altro» tagliò corto Taupo, il milite giocatore d'azzardo era di poche parole, ma quando doveva dire la sua non usava mezzi termini.

A quanto pareva, il concetto di proprietà privata era piuttosto diverso a Levante, e Agata lanciò un'ultima occhiata ai volatili che si mordicchiavano a vicenda le corde con cui erano legati.

Finalmente raggiunsero la dimora dove avrebbero soggiornato. Il Drago si aspettava di entrare in un ambiente circoscritto a una sola stanza, ma rimase sorpreso nello scoprire che le pareti confinanti con le case vicine erano state abbattute, andando a creare un vasto salone. L'interno era buio e odorava di mobili vecchi. Quattro persone sedevano a terra e il vocio si spense non appena lo strano gruppo di viaggiatori attraversò la soglia.

«Scusate l'intrusione, ragazzi, ma siamo in viaggio da giorni e abbiamo veramente bisogno di mettere qualcosa sotto i denti». Fu Utukur a rompere il ghiaccio.

A quelle parole, una ragazza dai capelli giallo canarino scattò in piedi e corse loro incontro.

«Utu, ma sei tu!» E gli gettò le braccia al collo. «Il mio professore preferito!» aggiunse senza mollare la presa.

Lakitaii squadrò la ragazzina dall'alto verso il basso, chiaramente infastidita da quella manifestazione d'affetto nei confronti del suo compagno.

«E vedo che hai portato dei nuovi amici niente male!» aggiunse mentre il suo sguardo si soffermava ammiccante su Tseren e Taupo.

«Che iridi particolari!» Fu un altro degli abitanti della casa a parlare, un giovane vestito in modo sciatto, nascosto dietro a due occhiali esageratamente grandi per il suo volto affilato. Gli altri due, un uomo e una donna sulla trentina, rimasero invece seduti a terra, ma osservavano con curiosità la scena.

Proprio in quel momento altre tre persone si affacciarono da uno dei buchi che rendevano le varie abitazioni comunicanti, ma, evidentemente poco interessati, sparirono immediatamente nell'oscurità dell'abitazione.

Utu spiegò agli amici che quella era una vera e propria Comune: un gruppo di amici che vivevano insieme tra le mura di quel complesso di case in decadenza. Alcuni non avevano un soldo, altri lo facevano per scelta, erano intellettuali alla ricerca di un pizzico di stravaganza nella propria vita, proprio come Zefaat, la ragazza dai capelli chiari. Zefaat era stata una sua allieva e ora stava perseguendo lei stessa la carriera di insegnante nell'università più prestigiosa della capitale.

Lei e il ragazzo occhialuto li invitarono a unirsi a loro, allungando un vassoio colmo di fette di un frutto sgargiante, cotte in una melassa trasparente.

«Stavamo facendo il nostro gioco serale, perché non partecipate anche voi?» disse la giovane professoressa e spiegò loro che ogni sera, chi aveva voglia, mangiava insieme e condivideva con gli altri la risposta a una certa domanda.

«Che domanda?» chiese Kita che era stata la prima ad accomodarsi.

«Qual è il tuo desiderio più grande, oggi?» risposero in coro i quattro inquilini più Utu, che evidentemente era a conoscenza delle abitudini della casa.

***NOTA***
Benvenuti nella capitale di Levante! L'ombelico di questo mio mondo immaginario. In che posto strampalato sono capitati Agata&Tseren? E sarà forse la quiete prima della tempesta?

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