Ci Conosciamo?

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«Ci conosciamo?» finalmente glielo chiesi e tutto tacque.
Ricordavo i suoi occhi, profondi come il mare. Li avevo sempre visti, ricorrevano nei miei sogni.
Ci siamo mai non-conosciuti? Il pensiero fisso non mi abbandonava.
Sfidammo i pettegolezzi di paese e ci venimmo incontro, la certezza di trovarci ancora, dopo molto tempo.

La pioggia mi sorprese all'improvviso e mi costrinse a entrare. Era l'unico bar in zona. I presenti si girarono, notando la straniera. I suoi occhi mi si incollarono addosso. Ero parte del suo mondo, una volta. Ci siamo mai non-conosciuti? Il pensiero fisso non mi abbandonava.

Paolo lo rividi, per la prima volta e di sfuggita, una mattina calda di luglio; passava per le strade della città col suo pick-up e di me si accorse subito. Io passeggiavo per la città, in luoghi familiari, di lui avvertii il suo sguardo.
Ci siamo mai non-conosciuti? Era un pensiero fisso e non mi abbandonava.

Quando tornai a casa di mia nonna, vuota senza la sua presenza, molti ricordi riaffiorarono, piccole perle sporche da pulire e far brillare. Nella casa non ero sola, avvertivo un che di strano, piccoli passi che non avevano lasciato quelle mura o, forse, cercavano di tornare, attraverso passaggi aperti e un destino da rimediare.

Il funerale di mia nonna fu straziante, ma non piansi. Tornavo a Roma dopo vent'anni. Margherita mi lasciò la sua casa, quella dove vissi con lei quando ero ragazza, nel sobborgo della capitale, dove preferivo stare, piuttosto che in città con mia madre. E negli anni dell'adolescenza Paolo era una presenza lontana e silenziosa, fino a che non fece scelte pericolose. Non c'era mai stato niente da sperare, solo sogni di ragazza, illusi da occhi cupi conosciuti, apparsi ogni notte con promesse sempre infrante. Non avevo più niente da perdere e me ne andai. Ci siamo mai non-conosciuti? Facevo fatica a ricordare.

Litigai ancora con mia madre e andai a vivere da mia nonna. Mi raccontava storie antiche di anime da aiutare, spiriti inquieti al centro di crocicchi. Mi diceva che aveva un compito e lo avrebbe portato a termine. Era un onore per lei starmi accanto, anima da proteggere. Io non capivo e sognavo occhi tempestosi che mi dissero che un giorno sarebbero tornati, gli stessi che trovai quando lo incontrai per la prima volta. Era Paolo in questa vita, la mia anima non dubitò, stravolta.

La vita coi Faraldo era difficile da sopportare. Per fortuna c'erano i miei fratelli, con loro tutto era più facile. Litigavo spesso con mia madre. Mi disse che era meglio non fossi nata, odiava che gli ricordassi mio padre. In lei sentivo esserci qualcosa in più, ciò che la mia essenza non poteva scordare. Forse l'odio sopravviveva, se non si lasciava andare. 

Galleggiavo nella sacca e ascoltavo la sua voce: Margherita già mi aspettava, al contrario di mia madre. Io lo sentivo, Lui era tornato; fremevo dalla voglia di rivederlo. Avevamo imparato? Volevo spezzare l'incantesimo.

Quanto tempo era passato? Non me ne rendevo conto. Lì tutto era diverso, sapevo chi ero e non lo scordavo. Conoscevo la vita, ogni singola prova, aspettando il momento in cui sarei tornata. Per quella occasione scelsi proprio colei che mi tradì nell'ultima vita: la scelsi come madre.

Nel momento in cui morii, mi trafisse il dolore della solitudine. Avevo ancora negli occhi e nella memoria la nostra fuga e la sua morte. Ci eravamo rincontrati, ma il destino volle altro; o forse era la maledizione che non ci aveva mai abbandonato. Morii col ricordo dei suoi occhi, del suo sangue che sgorgava e la terra che se ne nutriva. Quella notte faceva freddo, era un'estate senza caldo. Aveva colpito tutto il mondo, anche Roma. Mio marito ci inseguì, assieme ai suoi scagnozzi, un aiuto dalla Chiesa per eliminare la Strega Nera delle Antille.

Quando conobbi Bruno ero già sposata con Tancredi. I nostri occhi si incontrarono. Già nei miei sogni mi cercavano. Ricordavo, quando ancora vivevo con mio padre, nelle isole caraibiche calde e  lontane. Ci siamo mai non-conosciuti? Eri il sogno da abbandonare.

Tancredi appena mi vide mi volle portare via con sé, invaghitosi dell'ennesima meticcia in una piantagione di schiavi. Avevo le mie leggi e le mie regole, i miei Dèi che mi seguirono, il mio retaggio culturale. Gli spiriti non mi abbandonarono e sperai nell'Italia e in un marito buono e caro.

Vissi sola con mio padre, nella casa padronale, con i suoi figli e sua moglie. Non notai la differenza finché non diventai donna e Alexandre Dupont dovette lottare per me. Sua figlia color cannella in una casa signorile non poteva stare. Ma mia madre era morta, non sapevo più dove andare.

Nacqui di nuovo in un giorno di sole e dall'odore di salsedine. Quando urlai al nuovo mondo dimenticai un altro posto e un altro mare. Tra le braccia di una nuova madre venni cullata come un tesoro prezioso; accanto a noi sorrideva il mio bianco padre. Ero in salute, la mia occasione di rimediare.

Fluttuavo in un limbo, dove tutto era perduto. Osservavo la mia vita che scorreva lentamente. Ero sola, senza speranza, ero un'anima strappata. La maledizione ci divise, a causa dell'egoismo e dell'arroganza.

Lo avevo detto a Yiongur: non potevamo sopravvivere. Nei suoi occhi c'era il riscatto di una vita da pirata. L'amore inconsciamente lo aveva trasformato. Ciò che eravamo, inconsciamente, ci aveva dannato. Fummo certi che la morte fosse ormai vicina, la baia incandescente non ci avrebbe mai salvati.

Salimmo sulla barca per fuggire, mentre il Vulcano esplodeva melma e fuoco. Thera era distrutta e la mia gente moriva a poco a poco. Yiongur implorò Poseidone, sporco di sangue del mio uomo. Avevano lottato per me, confondendo l'odio e l'amore.

Ero sposata da poco, il matrimonio era una scelta. Passeggiavo per la spiaggia e sulla riva vidi un corpo. Corsi ad aiutarlo e l'uomo sputò sabbia e mare. I nostri occhi si incrociarono e sussurrai: «Ci conosciamo?»

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