La contesa

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La distesa d'acqua era in tumulto. Le onde si increspavano, rincorrendosi sulla costa frastagliata, incerte se proseguire oltre o rifugiarsi tra le proprie file – ritornando dai compagni fedeli – ricreando così i contorni seghettati di uno specchio andato in frantumi. I flutti si agitavano in preda a una trepidante attesa, come truppe che indugiano sul campo di battaglia, confidando nel verdetto del proprio comandante e temendolo al contempo, il tempo arrestatosi nel loro perenne tentennamento.

Il vento, in risposta, fendeva le acque. Turbinava con fermezza, in netto contrasto con il suo rivale, il quale era, piuttosto, in balia delle instancabili folate della brezza notturna – ormai tramutatasi in tempesta.

La spiaggia, d'altro canto, era la vittima innocente di tale massacro: urtata dall'esercito d'aria e sospinta da quello di mare, le era impossibile rimanere neutrale in quel conflitto, sebbene avesse tentato, fallendo miseramente. Infatti, la sua decisione di non schierarsi l'aveva costretta ad affrontare la brutalità di entrambe le fazioni; inoltre, provata da innumerevoli perdite, rimaneva indifesa e senza abbastanza forze per combattere.

Testimone di questa lotta – che pareva essere senza speranze sia per uno che per l'altro duellante – era una figura seduta su uno scoglio. Era esposta a qualsiasi turbamento esterno, tuttavia sembrava imperturbabile, mentre scrutava con occhio attento le vicissitudini dello scontro.

A primo acchito, poteva quasi sembrare che fosse una divinità misericordiosa, che discendeva dalle alte vette dei monti sacri per soccorrere i miseri mortali: sollevava alcuni granelli di sabbia, proteggendoli dagli assalti nemici. Eppure, una volta che il vero pericolo giungeva, lasciava libertà di azione al mare e al vento che, seppur fossero in competizione tra loro, si erano coalizzati contro la spiaggia, colpevole di aver ignorato la loro richiesta di alleanza.

Osservava con piacere inaudito la sabbia che le scivolava tra le dita. E, con altrettanta cruda freddezza, la guardava dimenarsi rapita dalla flotta d'aria, la quale poi la restituiva alle acque. Mentre si vendicavano della spiaggia, il mare e il vento non avevano certamente dimenticato la loro disputa, che rimaneva sospesa fino alla parziale distruzione dei soldati di terra e che infine riprendeva allegramente.

La figura, complice silenziosa, era considerata un punto di riferimento per le onde, un segnale per evitare che si spingessero troppo oltre: riflettevano la giovane donna e la giovane donna veniva riflessa in esse. Scura com'era sembrava amalgamarsi con l'insieme. La notte ormai aveva raggiunto il suo culmine più estremo e con la propria oscura luminosità ammorbidiva i lineamenti già poco marcati della ragazza, permettendo al vento di accarezzarle dolcemente il volto e all'aria colma di salsedine di danzarle sulle labbra.

Quel quadretto stonava con il cruento spettacolo che lo attorniava, proprio come nell'occhio del ciclone.

La maggior parte delle volte la ragazza detestava quella vista, benché in un impeto di incontrollato masochismo si costringesse a sedere su quel maledetto scoglio e ad osservare e ad ascoltare e a patire quella sensazione di impotenza che la attanagliava. Talvolta, colta da un senso di superiorità, si azzardava a prendersi beffe di coloro che erano più deboli e alla mercè di esseri più potenti di lei.

Il mare, il vento, l'oscurità e lei erano amici di vecchia data. Sempre assieme, nella buona e nella cattiva sorte. Non c'era notte in cui la giovane mancasse di visitare quel luogo e non c'era notte in cui quel luogo non venisse a far visita a lei. Per qualche ignoto motivo, si appartenevano.

Solo se la giornata era stata sopportabile – se non addirittura gradevole – il vento, il mare e la spiaggia chiacchieravano tranquillamente. Anche solo la minima incrinatura nella perfezione inaspriva la situazione – portando ai borbotti insistenti dei tre litiganti – che, se aggravata, conduceva inevitabilmente allo scoppio del conflitto. Finché la tempesta non terminava di sua spontanea volontà, nulla era capace di dominare le due forze attaccanti.

La giovane donna non poteva mai riposarsi. Restava vigile sinché la notte non sbiadiva all'orizzonte, aspettando che il pallido sole si destasse dal proprio sonno e detronizzasse la luna, regina del cielo. Allora, e solo allora, le era concesso di abbandonare la sua solita postazione da vedetta e di ripercorrere pian piano lo stretto sentiero che costeggiava il mare. Da quel momento in poi, il mare e il vento si quietavano, liberando la povera spiaggia dalle loro grinfie e stringendo una tregua tra loro. Solo la notte successiva avrebbe potuto dire se la non belligeranza sarebbe stata duratura o solamente passeggera.

Ora, mentre s'incamminava per la stradina, i pensieri perdevano consistenza mano a mano che si allontanava: il mare diventava solo un remoto ricordo, seppellito nei meandri della sua mente, come unica compagnia i suoi nemici o amici, il vento e la spiaggia. I suoi sentimenti e le sue emozioni, prima libere da qualsiasi costrizione e scorrazzanti in giro, venivano rinchiuse dentro di sé, con la medesima crudeltà della battaglia appena trascorsa.

Il mare, il vento, l'oscurità e lei, dopotutto, erano amici, uniti fino a dimenticarsi completamente di essere entità differenti, e forse non lo erano mai stati. Era in loro che la ragazza si rifugiava quando il mondo esterno era troppo da sopportare, in loro che le sembrava quasi di affogare – e forse lo avrebbe desiderato – ma veniva tenuta sempre a galla.

All'infuori da quel luogo, quel magnifico paesaggio da lei creato, tutti le ripetevano costantemente che le emozioni andavano soffocate, represse, sepolte vive, accusate di essere troppo mal gestite. E se qualche rara anima consigliava di sfogarsi, la convinzione, ormai radicata, che le emozioni fossero un qualcosa di negativo, di avverso, qualcosa da combattere la persuadevano. Dunque, se proprio dovevano lottare che lo facessero alle sue condizioni.

Il mare era una forza passionale: il dolce e impetuoso ondeggiare delle acque la accompagnava nella sua voglia irrefrenabile di dedicarsi anima e corpo in qualcosa in cui crede veramente. Troppo spesso era frenato dal timore della sabbia che, grazie al suo numero di soldati, sopprimeva quel desiderio, inquinando con la propria cupidigia per ottenere la totale attenzione della ragazza, rifiutandosi di condividerla con altri. Nell'altro schieramento si trovava il vento che attendeva il momento più propizio per indebolire l'uno e l'altro contendente, sferrando un colpo ai flutti con violenza e sbaragliando l'esercito di sabbia. La sua estrema confidenza comportava un'influenza negativa sulla giovane: un potere immenso che annienta tutto al suo passaggio e infesta i pensieri come un parassita.

Mentre riemergeva dagli recessi della sua mente, riusciva a percepire le emozioni sprofondare sempre più negli abissi. E, non appena ebbe udito lo sbattere della porta che collegava le emozioni alla sua fredda razionalità, aprì gli occhi.

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