CAPITOLO 4

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Il Fuoco Eterno crepitava nella Sala del Trono. Il suo rumore scandiva il tempo, riempiendo il silenzio. Re Fyrell, seduto sul suo trono, lo guardava rapito senza proferire alcuna parola mentre, attorno a lui, i consiglieri parlavano sottovoce, probabilmente preoccupati per lui. Sua figlia era l'unico essere al mondo che lo tenesse ancora legato al ricordo della sua defunta moglie, Tehera, e il doverla mandare via, incontro allo stesso probabile destino, non era stato semplice.

Piccoli rivoli di lava passavano attraverso le enormi pietre di cui era rivestito il pavimento, lava resa innocua dalla potentissima magia che pervadeva il corpo del Re.

Non sapendo come scaricare tutto quel potere che si accumulava sotto gli strati della sua pelle, decise di aggiungere quel piccolo dettaglio ornamentale per il suo palazzo, dettaglio che manteneva una piccola parte della sua magia perennemente occupata. Due piccioni con una fava.

Il maschio si scostò i capelli dalla fronte, accavallò le gambe e puntò il suo sguardo sui consiglieri che ancora parlottavano tra di loro. Quando si resero conto di essere stati puntati, smisero immediatamente. «Signore, dobbiamo finire la riunione...», tentò uno di loro.

Il Re alzò una mano per fermare sul nascere tutte le richieste che ne sarebbero seguite. «Voglio essere lasciato solo, e chiamatemi Gybbo, ho alcune cose da discutere con lui».

I consiglieri annuirono e se ne andarono il prima possibile. Gli girarono le spalle, senza che si voltassero indietro, come lei. Anche Ightar se n'era andata senza voltarsi a guardarlo una sola volta. Lo odiava, ne era consapevole, e lui si odiava per essere arrivato fino a quel punto con lei.

L'aveva vista andarsene, quando avrebbe voluto fermarla per chiuderla nel suo palazzo che sembrava essere l'inferno.

Ightar se c'era andata, come anche Tehera. Si era unita a quei maledetti assassini e la colpa era stata solo sua. Aveva permesso che gliela portassero via. Per quanto avesse fiducia nelle capacità di combattimento di sua figlia, lui non si fidava degli Esiliati, ma ancora meno dei Lucyle

Comprendeva quanto sua figlia aberrasse i Lucyle, ma non avrebbe potuto fare altrimenti. Quelli erano stati gli ordini della sua Metà prima che gli Esiliati la prendessero e i Lucyle riportassero la sua spada, dichiarando di averla uccisa e di aver dato il suo corpo in pasto alle Chimere.

Strinse le mani a pugno, le unghie si andarono a conficcare così tanto nei palmi che quasi la vista gli divenne nera dal dolore. Le gocce di sangue cominciarono a colargli lungo le maniche della giacca in velluto che indossava ancora, nonostante la cerimonia fosse finita e lui fosse a casa.

Aveva dovuto farlo, e non se lo perdonava. Si era costretto ad essere freddo e incurante verso i sentimenti di sua figlia che lo stava pregando di non mandarla con loro, ma non aveva avuto alcuna scelta.

Tehera gli aveva detto per filo e per segno come avrebbe dovuto comportarsi, una volta arrivato questo momento. Gli aveva detto cosa dire a Ightar, come spronarla durante il corso di tutti quei secoli. Aveva dato istruzioni chiare e semplici, e lui le aveva seguite senza mai lasciare che le emozioni gli impedissero di ragionare.

Un giorno mi ringrazierai, figlia mia.

Lo sperava veramente.

«Mio signore, il drappello di soldati ha superato il confine e sta per accamparsi», gli disse Gybbo, dopo aver percorso tutta la navata fino a raggiungerlo. S'inginocchiò e attese con pazienza che il Re facesse un segno. La piccola creatura, fatta di lava condensata e rocce incandescenti, era ai piedi del trono e lo guardava senza alcuna emozione. Attendeva un qualche ordine, probabilmente si aspettava che il Re gli dicesse di materializzarli nel palazzo in modo che fossero al sicuro.

«Hai detto a Ightar di utilizzare il suo sangue nei cerchi di protezione dalle Chimere?».

«Gliel'ho ripetuto quasi ogni giorno in questi ultimi cento anni».

«Spero che ti abbia ascoltato almeno una volta, allora».

«Sono sicuro che mi abbia ascoltato ogni singola volta e che abbia immagazzinato tutte le informazioni che le ho dato, Vostra Altezza. Nonostante il suo carattere, la Principessa Ightar è una grande guerriera e saprà come badare a sé stessa. Brither le è stato molto d'aiuto».

Il Re annuì, soddisfatto del lavoro che Gybbo aveva fatto per tutto quel tempo. «Brither come sta?». Non era da lui informarsi sullo stato di una sua guardia, ma sapeva dei sentimenti che provavano entrambi. Per quanto ci avessero provato, non erano riusciti a nascondere quegli sguardi carichi di desiderio che si scambiavano ogni volta che potevano. Erano le uniche volte in cui vedeva gli occhi rossi di sua figlia brillare di un sentimento diverso dall'odio.

Li aveva visti allenarsi insieme ogni giorno, crescere puntandosi contro prima una spada di legno e poi delle spade vere e proprie.

«Il ragazzo sta guarendo, ma temo che riceverà un'altra punizione a breve».

«Per quale motivo?».

«Sempre per lo stesso motivo. Il Comandante non tollera questo tipo di comportamenti, ed è disposto a perdere un uomo valoroso sotto i colpi della propria frusta piuttosto che vederlo sparire dietro le porte intarsiate del Palazzo».

«Se lo uccide, Ightar ne soffrirà moltissimo».

«Sapete qual è stata la previsione della Regina, Vostra Altezza. Noi dobbiamo solo attenerci al piano che ci è stato indicato», disse Gybbo, con il suo solito tono pacato e riflessivo.

Il Re annuì. «Hai ragione. Devo confidare ancora un po' dei piani di Tehera. Le sue previsioni sono sempre state accurate».

«Esatto, mio Signore. Non dovete perdere la speranza, perché è quella che metterà la parola fine a questa Guerra. La speranza e l'amore».

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