XV. DUBBI NELLA NOTTE

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Una notte, in cui non riuscivo a dormire, andai nel salone. Mi lasciai cadere sul divano, la camicia da notte sottilissima. Ero stanca. Il mio mondo andava in frantumi. Sbirciai fuori dalla finestra. Il cielo sembrava tinto dalla vernice nera.

-Una bella notte per guardare le stelle-

Herman. Sobbalzai, imbarazzata. Non volevo che mi vedesse così, in camicia da notte trasparente. Non volevo che vecchie cose tornassero in superficie. Lo sentii avvicinarsi. Il suo passo era rimasto ritmato, lo stesso dell'esercito. Non mi voltai. Non volevo guardarlo negli occhi. Sarebbe stato troppo pericoloso e io non volevo pericoli.

-E anche la luna... è enorme-

-Sì, è enorme- confermai. Ghiaccio che correva lungo la schiena. Ricordai quando guardavamo il cielo insieme. Quando fingeva che un noi fosse possibile. –Non riesci a dormire?-

-Neppure tu-

Non replicai. Avrei voluto confidargli, dirgli della casa, di ciò che mi trasmetteva, ma non riuscivo a farlo. Avevo perso la fiducia in lui.

-Nei prossimi giorni io e Albert partiremo per Londra-

Un groppo in gola. -Partite?-

-Per affari-

Saremo di nuovo rimaste sole i quella maledetta casa. Deglutii, ma avevo la gola secca.

-C'è qualcosa che ti turba-

Mi strinsi nelle spalle. Allontanai il mio braccio da lui. Non volevo che mi sfiorasse.

-La casa... ha qualcosa di strano-

Sobbalzai. Come poteva... scoppiai a ridere. Certo, quello era il lavoro di Herman, capire tutto senza che ci fosse bisogno di una sola parola. Albert non era così, Albert era una tempesta, fulmini, saette, molta apparenza e alla fine capiva poco o nulla. Herman invece cos'era? Un terremoto forse. Sotterraneo, lento, che andava dritto al punto. Herman era così. Capiva ogni cosa, perfino le più insignificanti. Che poi, forse, per lui tanto insignificanti non erano.

-Credi che non lo capisca? Siete tutte nervose... e i bambini... e la notte ci sono i rumori, sempre quegli orribili rumori... ma non è solo questo... la sensazione atavica di qualcosa di molto sbagliato... io la sento, striscia sulla pelle... è orrenda-

Lui sapeva e soprattutto ci credeva. La cosa mi fece sentire meglio, molto meglio. –Cosa credi che sia?- domandai, tremula.

-Ho fatto delle ricerche sull'isola... ci crederesti che non c'è su nessuna mappa? Semplice follia, non credi? Albert però non si è posto questo problema, lui non pensa- fece una smorfia.

-Vuol dire che non l'ha realmente ereditata- il mio cuore aveva preso a battere più forte, come un tamburo.

-Sono certo di sì, ma ti ha mai detto di cosa si occupava suo nonno?-

Scossi la testa. –La risposta però non mi piacerà-

-Era uno studioso di culture antiche, celtiche, in particolare- la voce era calma, pacata, rassicurante. Era una voce che conoscevo e che mi cullava. La voce che mi assicurava che tutto sarebbe andato bene.

-Non sembra così terrificante... quest'isola ha certamente dei risvolti interessanti che riguardano gli antichi celti- ragionai –la sua passione spiega tutto-

-Gli piaceva anche l'occultismo-

Una cosa molto più inquietante. –E suppongo che anche l'occultismo sia legato a quest'isola-

-Soprattutto... vorrei che tu e i bambini ve ne andaste-

-Lo sai che non è possibile-

-Sì, invece- e mi posò teneramente una mano sul braccio –subito, prima che sia troppo tardi-

-Perché solo io e i bambini?-

-Perché Margaret non se ne andrà e nemmeno Lotte-

-Non posso-

-Allora fuggi tu con i bambini... rischiate di essere vittime sacrificali-

Vittime sacrificali. Se me lo avesse detto un altro avrei riso. Ma non potevo ridere di Herman.

-Non posso-

-Lo sai che tengo a te, non l'ho mai negato, non potrei negarlo neppure se lo volessi, abbiamo superato quella fase in cui fingevamo di non amarci... ora so che non potremo stare insieme, ma non posso fingere- piegò le labbra in un specie di sorriso. Per un attimo, un solo attimo, mi venne voglia di baciarlo. Sarebbe stato confortevole soffocare tutti i nostri pensieri con un bacio. No, non solo uno. Mille, duemila, tremila, infiniti baci.

-Grazie, ma non me ne andrò-

Herman scosse la testa. –Sapevo bene che me lo avresti detto... almeno accetta una cosa- s'infilò una mano in tasca, frugò, poi estrasse qualcosa di lucido. Una pistola. Un brivido involontario mi percorse la schiena, facendomi tremare. –Prendi questa, la sai usare... in caso di necessità... mi sentirei più sicuro se tu l'avessi-

Fissai l'arma, quella canna metallica, quel buco nero che pareva volermi risucchiare l'anima. Quella era come la spada degli antichi cavalieri per Herman. –Ne potresti avere bisogno tu- sussurrai.

-Ne ho altre, non preoccuparti-

Annuii debolmente e la presi. Certo che ne aveva altre. Per quanto ne sapevo poteva pure produrle le armi. Il peso era rassicurante. Il gelo mi scaldava paradossalmente il cuore. Mi sentivo protetta. Sorrisi, poi sentii le labbra piegarsi in giù. –E se fosse qualcosa di... esoterico?-

-Le pallottole sono d'argento e anche benedette-

Mi sfuggì una risatina. –Hai trovato un prete che te le benedice?-

-Certo- ridacchiò –io trovo sempre quello che voglio, è il mio lavoro-

Sorrisi e gli appoggiai la testa contro la spalla. Era una sensazione bellissima. La sarebbe sempre stata. Compresi forse in quel momento che Herman sarebbe stata una presenza costante nella mia vita. Una ferita che mai si sarebbe chiusa. Un'ombra sul mio cuore.

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