13.2

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Ernik era perfettamente consapevole che gli occhi di Amila erano ancora puntati su di lui mentre seguiva Dazira a passi ben distesi.

La ragazza camminava svelta nei suoi pantaloni di tela color fango infilati dentro a degli stivali logori ed i suoi capelli mossi ondeggiavano raccolti in una coda di cavallo che terminava sulla sua nuca.

«Dazira!» la chiamò a gran voce, facendo voltare i soldati nei pressi di quell'area dell'accampamento.

La ragazza, udendo la sua voce, rallentò il passo fino a fermarsi, ma non si voltò e attese che lui la raggiungesse.

Non si erano più parlati. Qualche volta i loro sguardi si incrociavano e a tratti, lui aveva la percezione di riconoscerla appieno... ma, da quella volta, un paio d'anni prima, nelle segrete del castello di Forterra, i due non si erano più rivolti la parola.

Per una frazione di secondo, Ernik buttò lo sguardo dietro di sé, rendendosi conto che Amila non si trovava più dove l'aveva lasciata. Forse aveva capito. Forse aveva deciso di fidarsi di lui.

Lui doveva chiudere le ferite che si era lasciato indietro e che ancora erano aperte, ed ora Amila lo sapeva.

«Ernik» mormorò Dazira quando lui la raggiunse e se la trovò di fronte, ancora più bella di quando lavorava a palazzo.

Il ragazzo inspirò riprendendo fiato e scacciando la sensazione di nervosismo che gli aveva pervaso lo stomaco nello stesso momento in cui aveva deciso istintivamente di seguirla. Per diversi giorni i due non avevano fatto altro che evitarsi.

Pranzavano insieme a tutti gli altri, combattevano insieme a tutti quanti e si incrociavano tra le tende del campo militare, ma, fino ad allora, era regnato il silenzio.

«Grazie» ansimò Ernik passandosi una mano tra i folti capelli chiari. «Per aver difeso Amila» precisò.

Dazira lo scrutava analitica, quasi si fosse trovata davanti ad un corpo alieno, ma con una tale freddezza che i suoi occhi azzurro cielo sembravano ora pozze di ghiaccio.

«Non l'ho fatto per compiacerti» dichiarò lei sterilmente mentre in un angolo della sua bocca carnosa si mordeva un labbro, tradendo una certa tensione che Ernik riconobbe come fosse sua.

Dazira si era sentita tradita. Ernik lo sapeva e non poteva colpevolizzarla per questo. Solo... il ragazzo non capiva perché per lui la sua opinione e il suo perdono fossero ora così importanti visti i cambiamenti radicali avvenuti nelle loro vite. Considerato il fatto che ora sembravano non avere più molto da condividere.

Lei faceva parte del suo passato, averla parte del suo presente non avrebbe cambiato nulla. Eppure gli importava. Averla persa era stato un errore che Ernik aveva rimpianto ed ora avrebbe fatto il possibile per sistemare di nuovo le cose... se lei glielo avesse permesso.

Il ragazzo annuì e la fissò dritto negli occhi. «Lo so. L'hai fatto perché era giusto!»

«Sì» ammise Dazira abbassando lo sguardo e, in un secondo, Ernik la rivide. La riconobbe. La Dazira che conosceva era lì, non se n'era mai andata, con il suo innato senso di giustizia e la grinta di un guerriero.

«Sai» disse lui avvicinandosi un poco «penso che non commettiamo reato a parlarci!»

«Non racconto i fatti miei agli sconosciuti».

«Sconosciuti» ripeté Ernik in un sussurro. Già... questo era lui per lei: uno sconosciuto. Qualcuno che era stato suo amico tanto tempo fa. Lei non sapeva cosa aveva passato lui nell'accademia, cosa aveva provato per Amila, né quante volte il rimorso per averla abbandonata lo avesse logorato dentro. Lei non lo sapeva, ma lui avrebbe potuto raccontarglielo e ascoltarla per scoprire come era diventata quella che tutti ora acclamavano in battaglia, come aveva fatto a superare tutte le difficoltà da sola... avrebbe ascoltato tutto.

«Beh, possiamo conoscerci di nuovo!» insistette il ragazzo.

In risposta, un'occhiata di sdegno lo ferì come una freccia in pieno petto. Dazira teneva le braccia incrociate davanti al seno e lo guardava come si guarda uno scarafaggio. «Non ho voglia di avere a che fare con un ingrato del genere!» sibilò.

Ingrato. Di tutti i termini, era quello che Ernik meno si sarebbe aspettato. Era stato un idiota, un vile... «Ingrato?» domandò infatti il giovane cavaliere.

Fu Dazira, inaspettatamente, ad avvicinarsi, con il dito puntato proprio davanti al naso di lui. «Dov'eri quando è morto Ladon? Quando hanno celebrato il suo funerale? Quell'uomo ti ha praticamente cresciuto e tu non ti sei degnato nemmeno di presentarti alla sua lapide!» urlò inviperita sputando ogni parola con stizza. «Ti dovresti vergognare».

Poi lo lasciò solo a combattere contro il carico di odio che lei glia aveva lanciato addosso.

Sì, lui non si era presentato a quel dannato funerale. Ma era lei la vera motivazione per cui lui aveva deciso di non tornare in quel castello.

Era proprio la vergogna nei suoi confronti che lo aveva reso – ancora una volta – un vigliacco.

Per la prima volta, Ernik contemplò l'idea che Dazira avrebbe potuto non perdonarlo mai e lo sconforto piovve su di lui come una cascata.

●●●

La figura austera del generale li aspettava ben ritta sulla schiena, con le braccia incrociate e lo sguardo severo.

Li stava attendendo nella sua tenda personale: un ambiente di dimensioni considerevoli, ma arredato spartanamente, con un semplice telo divisorio a separare l'intimità della sua branda dalla zona in cui accoglieva gli ufficiali per impartire loro gli ordini.

Non appena Dazira mise piede al suo interno, seguita da Amila, Ernik e un altro ragazzo che – a quanto aveva capito – doveva chiamarsi Alyconte, si stupì di trovare così tante persone. Erano stati convocati tutti i neo-cavalieri di Forterra facenti parte del suo battaglione e, ad aver preso posto proprio accanto al generale, era proprio Rotoro, il comandante, con il suo solito sorrisino di scherno che in molti avrebbero voluto strappare a suon di schiaffoni.

Quando tutti si furono accomodati all'interno della tenda, il generale rivolse uno sguardo eloquente a Dazira, mentre le guance della ragazza, imbarazzata, si tingevano di rosso. «Ho saputo quello che è successo» esordì l'uomo.

Dazira spostò lo sguardo dal generale a Rotoro, sul cui volto, il sorriso era sempre più evidente.

La ragazza fece un timido passo in avanti con tutta l'intenzione di porgere le sue scuse. «Generale, io...» Ma l'uomo non la lasciò finire, zittendola con un gesto ella mano senza nemmeno guardarla.

«Volevo che ci foste tutti perché è giusto che io mi esprima in merito e prenda una posizione!»continuò l'ufficiale al comando. «Sia chiaro che episodi del genere non dovranno ricapitare mai più, siamo intesi?» domandò alzando la voce alla fine della frase mentre gli occhi scrutavano tutti i presenti.

«Sì, signore» risposero in coro tenendo lo sguardo basso, fatto che fece sentire ancor più in colpa Dazira. Erano tutti lì per colpa sua, benché la giovane avesse agito per una giusta causa.

Certo, se c'era una sede corretta per far valere la giustizia sul campo di battaglia, era proprio quella.

«Ho preso una decisione sulla faccenda: tanto per cominciare, sarà il medico a decidere quando Amila sarà in grado di riprendere a combattere. Ci vuole tempo, denaro e fatica per addestrare un cavaliere scelto e non possiamo permetterci di rischiare inutilmente la loro vita» decretò il generale in tono lapidario, sotto lo sgomento di tutti i cavalieri e, a maggior ragione, quello di Rotoro.

«Signore...» provò, infatti, ad interromperlo il comandante, sul quale viso era sparito ogni segno di scherno.

Il generale scosse il capo, impedendogli di obiettare. «Non ho terminato» constatò in tono neutro. «Voglio ricordare a tutti i cavalieri che Rotoro è il vostro comandante e come tale dovete rispettarlo! Questa non è un'anarchia e un altro comportamento del genere verrà severamente punito!» proruppe inflessibile, facendo calare il silenzio più totale nell'ambiente.

Il messaggio era lampante: il generale voleva che tutti riconoscessero l'autorità del comandante per non compromettere la gerarchia dei ruoli, pur riconoscendo che, nel caso specifico, egli aveva agito in errore.

Dazira si voltò verso Ernik che, appoggiato al palo che sorreggeva l'entrata della tenda, tentava di celare un sorriso soddisfatto.

Il generale prese a camminare avanti e indietro per l'ambiente, di fronte a tutti i cavalieri presenti. «Tuttavia» disse fermandosi per un secondo «data l'importanza degli ultimi avvenimenti e considerato il fatto che è chiaro che Dazira ha sufficiente esperienza in battaglia e qualità che non possono essere messe a paragone con gli altri cavalieri, né, tantomeno, con i soldati semplici, ho deciso che stabilirò delle regole ad oc per quanto la riguarda. Prima fra queste sarà la possibilità, solo per lei, data la sua differente situazione, di disubbidire, qualora ella lo ritenga opportuno, agli ordini del suo comandante» dichiarò l'uomo, contraddicendosi. «Solo del comandante» ci tenne a precisare il generale, lanciando un'occhiata in direzione della ragazza che stava a significare molto più dell'intero discorso.

Dazira s'impietrì sbigottita. Lei aveva disubbidito al comandante e, di contro, il generale aveva modificato l'ordine gerarchico dei ruoli.

Tutti, all'interno della tenda, erano a dir poco sorpresi. Più di tutti, proprio il comandante che, posto di fronte a lei, non smetteva di guardarla in cagnesco.

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