14.2

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Nell'ambiente saturo di tensione erano presenti tutti: il generale, Rotoro, Dazira, Ernik, Tordolk e altri due comandanti. Davanti a loro, un uomo che doveva aver passato le trentina da un po', con la barba incolta che si stava ingrigendo e una pronunciata stempiatura sopra a due sopracciglia folte e un naso pronunciato.

L'uomo era legato ad una sedia e i suoi occhi del colore del ghiaccio sembravano terribilmente spaventati.

Il generale dell'esercito era seduto sulla sua poltrona, il volto stanco – probabilmente erano diverse ore che non dormiva – e gli occhi scavati.

«Urdut... cosa... perché?» domandò sconcertato Tordolk, facendo un passo avanti nella direzione dell'uomo. Ma lui non rispose.

Il generale sbuffò spazientito. «Ti hanno fatto una domanda, soldato!» esclamò guardandolo con sdegno. «Sai benissimo cosa rischi se non rispondi!» gli ricordò.

Urdut scosse il capo mentre una goccia di sudore freddo gli scendeva lungo la guancia. «Tanto lo farete comunque! Pensate che sia così illuso da credere che mi lascerete vivere dopo che ho tentato di ammazzare la paladina del re?» replicò con voce rotta dalla tensione.

Tordolk gli si parò davanti, abbassando la voce. «Nessuno qui ti vuole uccidere, Urdut!» gli disse mordendosi un labbro.

«Certo che vogliamo la sua testa!» lo contraddisse Rotoro con un gesto di stizza.

Tordolk si voltò a guardare il suo comandante e, per la prima volta, Dazira colse il suo sguardo inceneritore. Tordolk doveva tenere davvero molto a quel soldato! «Per fortuna non spetta a te la decisione!» rispose il sottufficiale scuotendo il capo.

Dazira sospirò e prese coraggio. D'altronde, era stata lei a essere aggredita. Aveva tutto il diritto di parlare. «Ti ha mandato qualcuno?»

«No. Ho deciso da solo!»

«Non può essere!» sbottò Tordolk in sua difesa. «Conosco quest'uomo da quasi un decennio... non avrebbe mai fatto una cosa del genere!»

«Forse è impazzito!» suggerì Rotoro con un accenno di risata, benché la situazione fosse tutto fuorché divertente.

Ma il sottufficiale negò ancora con la testa. «Ci ho parlato giusto un giorno fa!» replicò. «Perché l'hai fatto, Urdut?» chiese ancora una volta.

L'uomo non lo guardò neppure in faccia. Dalla sua espressione, pareva che nemmeno lo riconoscesse. «Perché è una bestia assassina e deve morire!» urlò facendo trasalire la ragazza. Non era la prima volta che Dazira si sentiva dire determinate cose, ma quell'odio gratuito la ferì ugualmente ed Ernik dovette accorgersene, perché la ragazza percepì la sua mano sulla spalla.

«Urdut! Sei stato tu giusto ieri a dirmi che senza di lei saremmo stati spacciati!» ribatté ancora Tordolk, con l'espressione incredula. Tordolk sapeva che Urdut si stava condannando a morte, proprio in quel momento. «Chi ti ha mandato?» domandò nella speranza di ricevere una risposta soddisfacente.

«Nessuno!» esclamò l'uomo, ancora una volta.

Uno dei comandanti di un battaglione vicino a quello di Rotoro sbatté la mano sul tavolo rabbiosamente. «Allora saremo costretti a metterti alla gogna come traditore davanti a tutta la tua famiglia... non sarà un bello spettacolo!» tuonò. Era un uomo sulla quarantina, con diversi anni di carriera alle spalle e, probabilmente, anch'egli conosceva Urdut, perché il suo volto era espressione di un'amara delusione.

Ernik guardò in direzione del generale, chiedendo il permesso di parlare e, preso atto dell'assenso di quest'ultimo, si avvicinò all'aggressore, affiancando il sottufficiale Tordolk. «Urdut... Dazira, qui presente, è disposta al perdono... ma devi dirci chi è stato a mandarti!»

In quel momento, sul viso dell'uomo, si dipinse una vena d'incertezza. «È... una bugia!» esclamò titubante.

«Cos'hai da perdere?» insistette Ernik passandosi una mano tra i capelli e facendo un passo indietro mentre raggiungeva Dazira.

«Forse gli hanno promesso una ricompensa!» suppose il comandante che aveva parlato pocanzi.

«A cosa gli servirebbero i soldi nella tomba?»

«Forse non sono per lui. Forse sono per la famiglia» dichiarò il comandante con una smorfia. «Urdut non vive nell'oro...»

«È così?» mormorò Dazira, impietosita dall'idea che qualcuno fosse disposto a mettere a repentaglio la propria vita per risollevare economicamente la sua famiglia.

Tordolk si voltò verso il generale che, con una mano sul mento, assisteva alla scena. «Possiamo arrivare ad un compromesso!»

«Ci mettiamo a discutere con un traditore, adesso?» s'intromise Rotoro senza attendere che l'ufficiale a capo dell'esercito rispondesse.

«Urdut non è un traditore!»

«Tordolk, devo chiederti di uscire» affermò, a quel punto, il generale, in tono neutrale, benché la sua espressione nei confronti del sottufficiale fosse compassionevole. «Sei troppo coinvolto in questa storia per risultare obiettivo!» considerò indicandogli gentilmente l'uscita con la mano.

Una volta che Tordolk fu uscito, Dazira notò che gli occhi di Urdut si stavano facendo sempre più lucidi. Sembrava sul punto di piangere. «Io... non...»

Il generale si alzò in piedi, passandosi una mano sulla barba folta. «Soldato, se ci aiuterai a smascherare il mandante la tua famiglia riceverà una ricompensa. E tu avrai salva la pelle, se questo è il motivo del tentato omicidio... benché mi ritrovi costretto, comunque, a cacciarti dall'esercito!» dichiarò rigidamente.

Rotoro fece un'espressione indignata. «Lo premiamo per aver tentato di ammazzare la ragazza?» domandò acidamente mentre i suoi occhi glaciali diventavano due fessure.

«Stai contestando le decisioni del tuo generale, Rotoro?»

In un istante, il ragazzo si ricompose, sotto lo sguardo severo di chi gli stava gerarchicamente sopra. «Nossignore» disse mentre Ernik godeva della scena.

«Avanti, Urdut...»

A quel punto, le lacrime sgorgarono sulle guance dell'uomo, tradendo così tutto il suo dispiacere. «Io... lo giuro... non l'ho fatto per cattiveria!» confessò con voce rotta dal pianto. «Mia moglie e i miei figli sono appena stati sfrattati ed ora si trovano a casa di mio cognato... che sta per buttarli fuori perché non può permettersi un tale carico...»

Ma Rotoro non lo lasciò continuare. «Non importa a nessuno, soldato!» sbottò con un ghigno.

Urdut, allora, si rivolse direttamente a Dazira che, in un istante, non provava nemmeno più rabbia per quel disgraziato. Solo compassione. «Sono... davvero rammaricato... Chiedo scusa, signorina!»

«Sei entrato in contatto con i loasiani?» indagò, a quel punto, il generale.

«No, signore...»

«Un gruppo di ribelli?»

Urdut sospirò tremante. «No».

«È stata la setta ad ingaggiarti?» domandò uno dei comandanti, con lo sguardo investigatore.

Ancora una volta, l'uomo scosse il capo, portando gli occhi evasivamente da una parte all'altra della stanza.

«Chi diavolo è stato?» tuonò a quel punto, esausto, il generale. «È qualcuno all'interno dell'accampamento? Qualcuno dei nostri?» insistette lasciandosi cadere sulla poltrona.

Urdut si morse il labbro superiore. «Sì».

«Impossibile!» esclamò Rotoro con l'aria incredula per il fatto che qualcuno, nel suo battaglione, avrebbe mai potuto organizzare qualcosa del genere.

«Chi è che voleva pagarti per uccidere Dazira?»

Ma, a quella domanda, Urdut non rispose. Sollevò semplicemente una mano, guardando negli occhi una persona in quella stanza.

Rotoro.

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