19 LA SOFFERENZA DI DAZIRA

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Non sapeva esattamente dove fossero. Dazira sapeva soltanto che, intorno a lei, per chilometri e chilometri, non vi era altro che la selva.

A giudicare dalla direzione nella quale Therar l'aveva guidata, doveva trovarsi in territorio valleniano, probabilmente non lontano dal confine con Sartesia. Ma, con la totale assenza di punti di riferimento, alla ragazza risultava davvero difficile orientarsi.

A quanto pareva, la stava portando in mezzo alla boscaglia, lontano da tutti, per impedire che il demone prendesse il sopravvento su di lei, rendendola un pericolo per l'intero esercito forterrese e sartesiano.

La ragazza inspirò profondamente e il profumo pungente dei pini le inebriò le narici.

Era, ormai, quasi sera e, presto o tardi, Therar avrebbe deciso di accamparsi. Avevano abbandonato il sentiero già da diverse ore e i cavalli proseguivano a fatica, tant'è che, in più di un'occasione, i due avevano dovuto scendere dalle loro cavalcature per proseguire a piedi, guidando gli animali grazie alle briglie.

Il ragazzo proseguiva ininterrottamente. Pareva, infatti, che egli non avesse necessità di mangiare, di bere o di riposare. Un maledetto alieno, aveva considerato mentalmente la ragazza, esausta dal viaggio. E poi... a cosa serve andare così lontano... Ma, in cuor suo, già aveva capito la risposta: avrebbe dovuto combattere il Nero. E l'accampamento era un ricco terreno di caccia per il demone che Dazira portava dentro di sé. Il fatto che più la stupiva era l'assoluta freddezza di Therar e la noncuranza che lui dimostrava verso il fatto che lei avrebbe potuto ucciderlo. In qualunque momento.

«Possiamo accamparci qui» disse il ragazzo scendendo dal suo cavallo, una volta individuato un albero piuttosto robusto che lasciava spazio alle loro coperte lontano dai rovi di cui tutta la foresta pareva infestata. «Per questa notte» aggiunse legando l'animale ad un tronco ed invitandola a fare lo stesso.

Dazira non replicò e Therar la incaricò di raccogliere quanta più legna secca era in grado di raccattare mentre lui fruttava gli ultimi bagliori per cercare della selvaggina con cui avrebbero cenato.

Dentro di sé, la ragazza sentiva un costante desiderio. Una sete che negli ultimi giorni non sembrava abbandonarla che per pochi secondi. Sete di sangue.

Il demone si stava svegliando di nuovo e non ci sarebbe stato nessuno a sfamarlo. Eccetto Therar.

Dazira rabbrividì. Si preannunciava una serata lunga... ma, forse, il ragazzo aveva con sé una cura della quale non le aveva ancora parlato che le avrebbe placato la fame di morte. Almeno, così sperava.

Un leprotto sfrigolava sul fuoco vivo già da parecchi minuti, quando Dazira sentì montare la rabbia dentro di sé. Il Nero era sveglio e lei sentiva di non farcela più a trattenerlo, mentre quell'idiota di Therar saggiava distrattamente la cena con l'espressione tranquilla, ignorando qualunque cosa lei stesse provando.

Con uno strattone staccò a morsi un pezzo di carne dalla coscia dell'animale, godendo della piacevole sensazione del cibo caldo nel suo stomaco.

Fu quando ebbe finito che lo percepì, quell'istinto che più volte l'aveva colta di sorpresa quando non aveva ancora imparato a riconoscerlo. «Therar!» lo supplicò con gli occhi. Lui si voltò e, in un secondo, capì che lei era sull'orlo e che, se non avesse fatto nulla, il prossimo pasto sarebbe stato lui!

Senza aggiungere altro, il ragazzo afferrò la sua sacca da viaggio e, recuperati degli oggetti che la ragazza non riuscì a distinguere molto bene, le ordinò di appoggiarsi con la schiena al tronco del grosso albero che avevano trovato non appena giunti in quella zona della foresta. Dazira ubbidì senza fare domande. Therar sapeva ciò che faceva. Doveva saperlo.

Lentamente, il ragazzo fece il giro del tronco e, con movimenti rapidi, prima di quanto Dazira potesse accorgersene, le cinse i polsi con una sorta di manette metalliche, in modo tale che l'albero si trovasse in mezzo tra la schiena e le mani della ragazza.

«È questa la tua fantastica idea?» strillò la ragazza appena si fu resa conto dello scenario: avrebbe passato lì molte e molte ore. «Legarmi ad un albero come un maledetto prigioniero?»

Therar le si posizionò davanti, lo sguardo fermo e gli occhi inespressivi. «Devi trovare un equilibrio. Questa notte proverai dolore... molto, probabilmente» disse in tono piatto mentre la fissava dritto in volto. «Devi imparare a gestire il tuo... ospite. Sta prendendo il sopravvento su di te e tu devi lanciargli il messaggio che non è certo lui a comandare te, ma il contrario!» continuò imperterrito, senza attendere che Dazira replicasse. «Rimarrai legata per dei giorni. Quando sarò sicuro che potrai essere liberata dalle catene, sarò ben fiero di farlo!» concluse, dandole le spalle e dirigendosi di nuovo verso il piccolo falò, con l'intenzione di recuperare la restante parte della lepre per il giorno dopo.

«Io non...» Dazira scoppiò in una risata isterica, sopraffatta dalla moltitudine di cose che avrebbe voluto dire. «E tu pensi che basteranno queste catene a fermarlo?» urlò in preda all'angoscia per ciò che l'aspettava.

«Sono state forgiate dai maghi».

Maghi. Di bene in meglio. Forse aveva sbagliato a fidarsi di Therar.

●●●

All'interno della foresta iniziarono a filtrare i primi raggi rosati di un'alba che doveva essere stata splendida, se solo il bosco non l'avesse nascosta ai suoi occhi.

Dazira era ormai esausta. Per l'intera notte il demone non la aveva dato tregua e, in più di un'occasione, lei aveva lasciato che prendesse il sopravvento, rendendola spettatrice di un cambiamento fisico che non riusciva più a trattenere. Il suo corpo, infatti, non faceva che cambiare le proprie sembianze, scuotendo l'albero al quale era legata.

Se qualcuno avesse osservato la scena, tutto gli sarebbe sembrato, fuorché un comportamento umano, il suo.

Per alcuni minuti, la ragazza ebbe un momento di lucidità e il Nero parve darle un po' di tregua, proprio alle prime luci dell'alba. Poi tornò a ruggire, forte come prima. E sempre più affamato.

«Therar!» urlò Dazira in preda al panico. «Ti prego!»

Il ragazzo che stava raccattando la legna per costruire un rifugio poco distante da dove si trovavano, non si voltò nemmeno a guardarla. Forse, persino lui era inorridito dal mostro che la giovane era in grado di diventare. «Non posso aiutarti» dichiarò appoggiando i grossi tronchi che sarebbero servito per sorreggere la capanna.

Dazira scosse la testa, con un'espressione disperata dipinta sui suoi accesi occhi azzurri. «Sì che puoi!» replicò a voce alta. «Devi trovare una spada! Sono sicura che mi farà passare il dolore!»

Therar si voltò a guardarla ed il suo viso si pronunciò in una sola espressione confusa. «Co...sa?» chiese a metà tra il divertito ed il seccato. Forse proprio perché lei gli stava dando torto. Se c'era una cosa che Therar proprio non sopportava era essere contraddetto, questo era stato chiaro dal primo giorno in cui Dazira l'aveva conosciuto.

«Sì! L'ho letto...» confermò la ragazza con convinzione. Poi ci pensò un secondo, correggendosi un attimo dopo: «L'ha letto la principessa Pheanielle!»

Al nome della principessa, Therar ebbe un sussulto che coprì immediatamente con la sua ordinaria espressione glaciale. «Smettila di dire scemenze, Dazira!»

«C'era un pugnale! Ma è stato rubato. Forse...»

«Adesso basta» l'ammonì il ragazzo dandole nuovamente le spalle e dirigendosi ancora una volta nella parte più fitta della foresta, alla ricerca dei materiali per la capanna.

Dazira sbuffò rumorosamente, mentre la frustrazione a fior di pelle sembrava voler uscire da ogni poro. «Therar!» lo chiamò avvilita dall'intera situazione. «Non lasciarmi qui da sola!» lo supplicò fissando la sua schiena in lontananza mentre le lacrime le appannavano gli occhi.

Ma Therar non tornò indietro prima di diverse ore durante le quali raccattò tutto ciò che gli sarebbe servito per costruire un discreto riparo per entrambi.

Dazira si chiedeva, però, per quanto tempo sarebbe servita loro, quella maledetta capanna. Quanto tempo sarebbe servito prima che Therar si fosse deciso a far cessare il suo tormento?

Ci volle almeno una settimana prima che il ragazzo la slegasse per qualche ora, quando era chiaro che il demone le stava dando tregua o che lei era in grado di trattenerlo. Di tanto in tanto Dazira lo aiutava con le piccole mansioni quotidiane per la loro sopravvivenza... prima di tornare quasi volontariamente a cingere l'albero con la schiena, pronta ad accogliere le sue sofferenze com'era giusto che facesse; d'altronde, dopo tutto il dolore che aveva creato agli altri, quella non era altro che la sua punizione. Il suo pegno.

E, in un certo qual modo, la ragazza lo stava aspettando. Quasi stesse cercando di liberarsi di ogni sua colpa, benché non ne fosse in grado.

Quella colpa non l'avrebbe abbandonata, nemmeno se fosse morta mille volte. 

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