7.2

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Dazira entrò nella stanza e, senza dire nulla, si tolse gli stivali per poi lasciarsi cadere di peso sulla piccola brandina nella penombra del tardo pomeriggio.

Therar stava scrivendo – probabilmente una lettera – con la schiena curva sulla scrivania e non aveva alzato la testa nemmeno quando la ragazza era entrata nell'ambiente.

«Mi volevi parlare?» domandò Dazira osservando il suo maestro con la perplessità dipinta sul volto.

Non era mai stata in grado di capire se questo suo atteggiamento scostante fosse dovuto ad un particolare astio nei suoi confronti o se ce l'avesse con il Mondo più in generale.

Lei, al contrario, era felice di vederlo. Lui le aveva insegnato ad essere ciò che stava diventando... e non gli sarebbe mai stata abbastanza grata per questo.

Per qualche istante, nella stanza, calò il silenzio, rotto solo dallo scribacchiare di Therar. Poi il ragazzo posò la penna e scostò la sedia per alzarsi in piedi.

«Sì» rispose in tono neutro. «Ho parlato con il principe. C'è bisogno di te all'accampamento, quindi domani partiamo» sentenziò Therar accentuando quanto proferito con un cenno del capo. «Fai le valige».

Dazira annuì sollevandosi a sedere e incrociando le gambe sulla branda. Se ne sarebbero andati. Proprio ora che aveva iniziato a farsi degli amici, ora che aveva iniziato a piacere alla gente!

La ragazza avrebbe voluto tirargli dietro qualcosa. Si sarebbe potuti essere più insensibili?

Beh... certo, non era colpa di Therar. Avevano bisogno di lei altrove e lei non era lì in vacanza, né era in missione per piacere agli altri. Era lì per servire la corona. Sperava solo di non partire da sola. «Solo noi due?»

«Porteremo con noi un paio di soldati! Io per tutti sarò ancora il tuo scudiero e non mi sarà permesso andare in battaglia...»

«Vorrei Rebjo» lo interruppe Dazira con sguardo implorante. Se proprio doveva andarsene da lì, avrebbe preferito portare con sé qualcuno che reputava un amico.

Therar aggrottò la fronte e la studiò con i suoi occhi scuri, poi alzò le spalle. «Vedremo» disse.

Il ragazzo si voltò e fece per lasciare la stanza, ma poi sembrò essersi ricordato di qualcosa. «Ah, Dazira» esclamò frugando da qualche parte dentro la camicia ed estraendo qualcosa di piatto e ingiallito «ho qui una lettera per te da parte della principessa Pheanielle». Therar appoggiò la carta ripiegata e sigillata con della ceralacca rossa tra le mani di Dazira e, dopo essersi congedato con un cenno del capo, se ne andò senza aggiungere altro.

La ragazza rimase per qualche istante a fissare la carta allibita. Non si aspettava che la principessa si disturbasse a scriverle addirittura un'intera lettera!

Dazira, prima di partire, le aveva chiesto se poteva ordinare di cercare un libro al bibliotecario per suo conto e, forse, quella che teneva tra le mani era la risposa...

Senza attendere oltre, la ragazza spezzò la ceralacca e dispiegò il foglio scoprendo una calligrafia fitta ed elegante.

Castello di Forterra, Quarantaseiesimo giorno d'autunno

Cara amica,

ti scrivo per informarti che la fama delle tue gesta è giunta fino a corte e ciò mi riempie il cuore di gioia e orgoglio. Si tratta, in fondo, del tuo personale riscatto verso chi non ha creduto in te!

Purtroppo, non sono ancora riuscita a trovare alcuna informazione su "Dorothar", ma spero presto di portarti buone nuove a riguardo.

A Dazira si riempì il cuore di un calore che solo di recente aveva riscoperto. Non era la risposta che cercava, era vero. Ma era qualcosa di più.

Da quando Ernik l'aveva lasciata in quella cella senza più ripresentarsi e lei aveva detto addio a quello che considerava il suo migliore amico, Dazira non aveva più creduto – data la circostanza degli eventi – di poter avere qualcuno che credesse in lei. La principessa le aveva provato che si sbagliava: era stata la prima a spronarla. Ed ora le aveva davvero, le persone che credevano in lei!

La ragazza sospirò con il cuore pieno di riconoscenza e riprese a leggere:

Mi auguro che tu stia bene, ma sono certa che, qualunque sarà la difficoltà, tu sarai in grado di reagire. Se hai superato l'inferno a cui sei stata sottoposta in quella cella, puoi superare tutto!

A tal proposito, lasciati aiutare da Therar. So che a volte può essere un insopportabile arrogante, ma, sono certa che ti voglia bene... in fondo.

Beh, se lo diceva lei... di certo, Therar non lo dava molto a vedere. Ma non aveva importanza: lui era il suo maestro, non doveva a tutti i costi esserle amico!

Dazira era arrivata alla conclusione che, con tutta probabilità, Therar teneva a distanza le persone per volontà, oltre che per carattere. Anzi, forse, il carattere nemmeno centrava... d'altronde, chi mai avrebbe potuto dire quale fosse l'anima che si celava dietro a quel mantello scuro?

La ragazza non lo sapeva, ma era quasi certa che Therar si costringesse ad essere così più di quanto non lo fosse in realtà.

Per quanto riguarda la vita a corte, niente di nuovo. La solita, noiosa routine di sempre. L'unica cosa che mi preoccupa è lo strano rapporto che mio fratello ha con l'ultimo membro accolto fra le sue spie fidate. O, meglio, l'ultima. Perché è una donna: Gineris.

Certo, non è di tua competenza questo argomento e spero che questa mia considerazione resti fra noi. Ti dico solo che non mi fido di quella donna. Gira troppo intorno ad Arthis... e, da quando lei è a corte, persino Therar è strano, le poche volte in cui riesco a vederlo.

Ad ogni modo, credo che andrò in fondo a questa storia fino a che non mi sarò tolta ogni dubbio... tanto, più di presenziare agli eventi a corte e cercare di persuadere mio padre a non farmi sposare, niente ho da fare!

Nella speranza di avere presto tue notizie, ti mando i miei più sentiti auguri di buon diciottesimo compleanno!

Con affetto,

Principessa Pheanie

●●●

Erano diverse ore che Dazira cavalcava di fianco a Therar senza che il maestro concedesse alcuna pausa né a lei, né alla loro scorta che consisteva in un soldato semplice in armatura e uno scudiero dalla corporatura magrolina a cavallo di un ronzino che alla ragazza ricordava Folgore, il cavallo che Ernik montava quando ancora lavorava a corte.

Nonostante le proteste di Dazira, non era stato concesso a Rebjo di spostarsi con loro – probabilmente per la carenza di arcieri nei pressi del forte – e la ragazza si era ritrovata nuovamente con la consapevolezza della sua solitudine. Era sola con Tharar e il suo maledetto cinismo. Ma, forse, era la cosa migliore. Almeno, così la pensava il suo maestro!

Il cielo si fece plumbeo mentre la sera calava intorno a loro e, mano a mano che si avvicinavano al fronte, i lasciti della guerra erano sempre più evidenti: accampamenti abbandonati, macerie di arnesi e corpi imputriditi alla luce del sole. Resti di case distrutte dal fuoco e veri e propri cimiteri.

Era quasi l'ora di cena quando i quattro arrivarono all'accampamento ove li stavano attendendo.

Dazira, però, non aveva alcuna idea di cosa la stesse aspettando. Fu subito chiaro che l'umore generale tra gli uomini rasentava terra e le facce scarne e scavate di alcuni soldati inorridirono la ragazza mentre avanzava a cavallo tra le tende di veri e propri fantasmi che parevano non essersi nemmeno accorti del suo arrivo.

«Forse c'è appena stata una battaglia...» provò a dire Dazira guardando Therar che, dall'alto della sua cavalcatura, guardava l'orrendo spettacolo freddamente.

Il ragazzo annuì. «Forse» convenne. «Anche se temo che domani non sarà molto diverso!»

Fu allora che qualcuno si accorse del loro arrivo: un ragazzo giovane che osservò Dazira con gli occhi sgranati per alcuni istanti prima di iniziare a correre per l'accampamento urlando che "la ragazza era lì", che "era venuta a salvarli".

E, all'improvviso, un moto di orgoglio per sé stessa pervase il corpo della ragazza mentre da qualche parte, in fondo al suo stomaco, il Nero reclamava il suo tributo.

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