Capitolo 11 - Vacanze di Natale (Parte 8)

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Daniel ascoltava i discorsi degli altri riguardo una loro vecchia compagna di classe da poco andata a Londra per fare la cuoca.
Chissà se anche di lui parlavano allo stesso modo? Con quel misto di invidia e sdegno.
Probabilmente, ormai per tutti non era altro che il vecchio conoscente trasferitosi in America a fare l'accademia militare e che vedevano solo un paio di volte l'anno.
Chissà come avrebbero sparlato se avessero saputo che in realtà lavorava alla CIA?

Solo in quel momento si rese conto che la collega non era ancora tornata, di certo stava girovagando per il locale a perdita di tempo. L'importante era che non si fosse incamminata verso casa, e soprattutto che non avesse preso parte a qualche rissa, ma per il momento non pareva esserci nessuna avvisaglia di violenza nei dintorni.

Si aspettava quella sua reazione. Sapeva quanto fosse poco incline a momenti sociali come quello. Più erano le persone con cui doveva interagire, e più Eve si estraniava fin quasi a diventare invisibile. Succedeva sempre quando in mensa sedevano assieme ad altri colleghi. Ormai ci aveva fatto l'abitudine, ma sperava che col tempo le cose potessero cambiare, che lei si sciogliesse un po'.

Mosse rapido lo sguardo tra gli avventori, finché la sua attenzione fu catturata da una familiare massa di ricci, che rilucevano di riflessi azzurri e violacei a diversi metri di distanza. Anche se era di spalle, non aveva dubbi che si trattasse di lei, l'avrebbe riconosciuta tra mille. Non capiva, però, cosa stesse facendo, sembrava parlare con la ragazza dai lunghi capelli castani che le stava di fronte. Non l'aveva mai vista prima.

Rimase incuriosito a osservarle, mentre di tanto in tanto le persone di passaggio gli ostacolavano la visuale.
Poco dopo, la mano di Eve si posò sul braccio della bruna.
Per un istante dubitò di se stesso e d'istinto i suoi occhi saettarono nel locale, per poi cadere di nuovo su quei ricci. Non poteva essersi sbagliato, quella era per forza lei: indossava il lungo maglione rosso che le aveva regalato sua madre, abbastanza attillato da mettere in risalto quel suo magnifico fondoschiena.
Esisteva solo una spiegazione a quel gesto: stava recitando, ma perché?

Qualcuno passò nel suo campo visivo e la perse per un paio di secondi.

Quando le rivide, le due ragazze si stavano abbracciando.

Scattò in piedi, interrompendo il discorso di Andrea, che si girò a guardarlo stupito, così come gli altri. Sorrise disinvolto e diede una pacca sulla spalla del moro, «Scusa, torno subito! Continua pure, tanto questa storia già la conosco: c'ero anch'io!»

Si fece largo tra gli avventori fino a raggiungere le due, che chiacchieravano guardandosi negli occhi, concentrate solo su loro stesse.
Quando fu abbastanza vicino, riuscì a distinguere la voce di Eve. Stava parlando di scuola e vecchi ricordi, in un insolito tono squillante ed entusiasta. Tra una frase e l'altra, rideva in una maniera talmente spontanea che nessuno avrebbe potuto dubitare della sua sincerità.
Tranne lui.
Sapeva che stava recitando.
Non rideva mai così con lui.

La affiancò, interrompendola: «Ehi, eccoti! Non arrivavi più, stavo iniziando a preoccuparmi.»

Lei trasalì, si girò di scatto a guardarlo con un'espressione sconcertata, che mutò all'istante in una carica di falso entusiasmo, «Ehi, tesoro!»

Daniel rimase spiazzato. Se era già al livello di "tesoro", allora la situazione doveva essere piuttosto seria.
Non ebbe nemmeno il tempo di chiedersi quale potesse essere il problema, che lei gli afferrò il braccio e lo tirò a sé.

La situazione era molto seria.

Decise di tastare il terreno, «Come mai non sei ancora tornata al tavolo? Ti stiamo aspettando.»

«Scusa, tesoro, ma guarda chi ho incontrato! Giada!» La collega fece un cenno verso la ragazza, a cui stava ancora tenendo la mano sulla spalla, «Era la mia compagna di banco in seconda media.»

«Ma dai! Ma guarda te che coincidenza... chi l'avrebbe mai detto!» Si sforzò di risultare più spontaneo possibile mentre puntava l'attenzione sulla bruna, salutandola con un sorriso e un inconscio lieve inchino.

«Giada, lui è il mio fidanzato!» Eve scandì l'ultima parola con precisione e voce più alta, come se volesse che tutti nei paraggi la sentissero distintamente.

«Esatto...» ribatté lui con una velata punta di amarezza, poi allungò la mano verso la sconosciuta, «Beh, è un piacere conoscerti! Visto l'entusiasmo, immagino che foste grandi amiche.»

Entrambe annuirono con ampi cenni del capo.

Si girò verso Eve per scoccarle uno sguardo interrogativo, ma lei lo precedette, facendo scattare un istante gli occhi dalla parte opposta a dove stava la ragazza.
Solo in quel momento si accorse che accanto a essa c'era un tipo che li fissava con aria stizzita.

I due si scrutarono per un lungo istante, poi la collega gli strattonò il braccio che teneva ancora stretto a sé.

«Sai, tesoro, una volta io, Giada e gli altri compagni di classe al cambio dell'ora siamo tutti usciti dalle finestre dell'aula, ovviamente eravamo al pianterreno, e ci siamo accucciati contro il muro. Quando la prof di religione è entrata in classe e non ha trovato nessuno è andata nel panico. Poi abbiamo tutti fatto capolino dalla finestra urlandole "pesce d'aprile!". Te l'immagini?»

Certo che se l'immaginava, era stato lui a farlo. Quello era uno degli aneddoti che aveva appena ricordato con gli amici.
Dissimulò una risata, «Dai, assurdo! Come minimo vi siete beccati una nota di classe!»

«Sì, ma ne è valsa la pena!»

Anche Giada rise, ma non era spontanea e disinvolta, qualcosa la impensieriva.
Appena arrivato non aveva fatto caso che i suoi occhi nocciola, lievemente arrossati, di tanto in tanto schizzavano preoccupati in direzione del ventenne lì accanto.

Sospirò mentalmente e maledisse Eve. Non aveva per niente voglia di mettersi a litigare con quel tipo, tantomeno di scatenare una rissa.

La compagna aveva ripreso a parlare, stava recitando un altro aneddoto che aveva appena sentito raccontare dai suoi amici, sostituendo lei e Giada ai protagonisti originali.
Anche se per tutta la sera sembrava averli ignorati, con la sua aria infastidita, in realtà aveva ascoltato ogni loro discorso, proprio come faceva sempre con lui.

Era davvero strano sentirla parlare di certi argomenti e con quel tono entusiasta.
Eve non faceva mai nulla a caso, se si stava impegnando così tanto in quella recita, doveva avere un motivo più che valido.

Si sforzò di entrare nella sua testa.
Probabilmente il tipo stava importunando la brunetta e lei era intervenuta, ma se l'avesse fatto a modo suo, il poveraccio sarebbe già dovuto essere svenuto sul pavimento; invece si era spacciata per vecchia amica e aveva monopolizzato l'attenzione della ragazza.
Appena le aveva raggiunte, l'aveva presentato come suo fidanzato, ribadendolo in ogni modo per mettere bene in chiaro che lui non era un pericolo e non provava nessun interesse verso Giada.
Il piano di Eve doveva essere per forza quello: ignorare il tipo, finché lui non si fosse stufato, abbandonando la preda.
Semplice.
Nutriva qualche dubbio riguardo la sua effettiva efficacia, però era comunque meglio dell'alternativa in stile "killer dei killer".
Molto meglio.

Non avrebbe avuto nessun problema a passare tutta la sera a parlare con quelle due, ma avrebbe preferito farlo con gli amici che aveva lasciato al tavolo.

Perse un po' di tempo a dare il cambio alla collega nel raccontare qualche ricordo scolastico, poi decise di agire: «Ragazze, che ne dite di un bel brindisi per festeggiare questa reunion?»
Passò le braccia dietro la schiena di entrambe, in un gesto meno equivocabile possibile, e le spinse in direzione del bancone affollato.

Si assunse il rischio di dare le spalle all'avversario, confidando che Eve lo tenesse sotto controllo.
Non ebbe nemmeno bisogno di chiederlo. Per rispondergli, lei girò la testa più del necessario, fino a riuscire a vedere con la coda dell'occhio il tipo.
Poco prima di infilarsi tra la folla, la sentì sussurrare: «Ain't movin'.» (Non si muove.)

Si staccò da lui e lo lasciò andare avanti a fendere la folla con una mano stretta al fianco di Giada. Una volta raggiunta la cassa, li spinse in direzione opposta e indicò la porta.

L'aria fredda della notte la sferzò.
Maledisse con un lieve mugugno Daniel, per averle impedito di prendere la giacca. Per fortuna aveva messo il maglione che le aveva regalato Diana. Finché si trovava nel locale affollato era fin troppo caldo, ma lì fuori era provvidenziale.

Percorsero tutto il vialetto del locale, costeggiato da bianchi tavolini a quell'ora deserti, c'erano solo alcuni gruppetti di ragazzini intenti a fumare in disparte.
Quando raggiunsero il marciapiedi, si rivolse a Giada: «Dov'è la tua macchina? Ti accompagniamo al parcheggio.»

Quella fece un cenno di diniego col capo, «Sono venuta con una mia amica, ma è andata un attimo via con il suo ragazzo. Ora le telefono.» Aprì la borsetta e iniziò a scavarci dentro alla ricerca del cellulare.

«Va bene, allora staremo qui ad aspettar-»

«Giada!» Il grido del tizio li raggiunse. Era appena uscito dalla porta e, individuata la ragazza, prese ad avanzare verso i tre.

Un sorrisetto sadico si dipinse sul volto di Eve, «Ray, ora che siamo fuori dal locale non ci sono più problemi, vero?» sussurrò al giovane accanto a sé, «Posso fargli male?».

«No, è contro la legge. Tu stai indietro con Giada, ci penso io.»
Daniel fece un passo avanti, frapponendosi fra le ragazze e il ventenne che stava avanzando a passo pesante.
Allargò le braccia con fare amichevole, «Amico-» ma non riuscì a finire di parlare, perché la collega gli sfrecciò davanti, correndo incontro al tipo fino a fermarsi a poco più di un metro da lui.

«Ehi, tu, perché non la lasci in pace e ti levi dai coglioni?» gli sibilò contro.

Quello rimase un'istante interdetto.
Si fermò a scrutarla con un sorrisetto di scherno, poi riprese ad avanzare e fece per scansarla con il braccio.

La ragazza schivò l'arto abbassandosi all'ultimo istante e gli assestò un fulmineo pugno nello stomaco, per poi rimettersi dritta come se non fosse successo nulla.

Il tipo si piegò in due, con le mani strette sul ventre, e iniziò a tossire. Fece qualche barcollante passo di lato e si appoggiò a un tavolino, pervaso da spasmi sempre più violenti, finché vomitò a terra gli ultimi drink che aveva bevuto, continuando a tossire nel tentativo di riprendere aria.

Gli altri presenti si voltarono a guardarlo solo per un istante, per poi tornare a ignorarlo, disgustati.

Eve lo osservò con quel suo sorrisetto strafottente sulle labbra.
«Tornatene a casa, idiota, sei ubriaco!» gli urlò contro.
Poi si voltò, per tornare a passo fiero verso Daniel, che la fissava con rimprovero.

Rispose a quello sguardo con un ghigno vittorioso, guardandolo fisso negli occhi mentre gli si avvicinava.
D'un tratto, le pupille del giovane si spostarono verso un punto dietro di lei, proprio nell'istante in cui iniziarono a riecheggiare dei passi provenienti dalla medesima direzione.

Quando quelle iridi blu tornarono di nuovo nelle sue, lo vide schiudere labbra, ma gli impedì di parlare con un lieve cenno del capo.
Il giovane rispose al sorrisetto e tornò a focalizzare alla sue spalle.

Continuò a camminare pacata, senza scomporsi, riducendo lentamente lo spazio che li separava, senza distogliere gli occhi dai suoi.
Si sforzò di isolare il rumore dei passi, sempre più vicini, dal fragore che proveniva dal locale.
Procedeva disinvolta, come fosse ignara di ciò che stava per accadere, ma i suoi muscoli erano già in tensione, pronti a scattare al segnale.

Daniel era solo a un paio di metri dinanzi a lei. Ormai riusciva quasi a percepire le vibrazioni provocate da quei frenetici passi sul pavimento alle sue spalle. Lo stronzo l'aveva raggiunta, ma non si mosse.
Prese un respiro, gli occhi fissi in quelli del compagno.
Infine, lui fece un cenno del capo a sinistra.

Non ebbe nemmeno bisogno di controllare. Con uno scatto scartò a destra, appena in tempo per vedersi sfilare accanto il tizio. In quell'attimo si godette la vista del volto di lui passare dalla soddisfazione alla sorpresa, quando le braccia protese in avanti si serrarono sul nulla, lì dove solo un'istante prima c'era la ragazza.

Gli regalò un sorrisetto sarcastico, mentre portava in avanti un piede, quanto bastava per fargli lo sgambetto, per poi ritirarlo subito.

Quello inciampò e, sbilanciato in avanti, fece un paio di passi barcollanti verso Danny, sbracciandosi nel tentativo di recuperare l'equilibrio. Senza successo.

La gravità fu più veloce dei suoi piedi e cadde in avanti, faccia al marciapiede. Osservò inerme il suolo avvicinarsi sempre di più, finché le palpebre si serrarono d'istinto.
Poi un violento colpo, ma non dove si aspettava.
Uno strattone alla gola e alle ascelle gli tolse il fiato, lasciandogli uno strano senso di leggerezza, come fosse bloccato a mezz'aria. Poi quella stessa tensione al petto lo sollevò fino a rimetterlo in piedi.

«Ehi, amico, attento!»

Si sentì stringere il fianco.
Spalancò gli occhi, confuso.
Appena la sensazione di nausea e vertigine scomparve, mise a fuoco il volto solare del giovane che l'aveva salvato tirandolo per la giacca.
Gli sorrise riconoscente, ma quella stretta all'apparenza amichevole iniziò a diventare sempre più serrata, al punto di impedirgli di muovere gli arti.

«Amico, mi sa che hai davvero bevuto troppo, non riesci più nemmeno a stare in piedi.» L'espressione del fidanzato dell'amica di Giada era gioviale, eppure quella presa sembrava diventare sempre più dolorosa e aggressiva.

Cercò di divincolarsi, ma non servì a nulla.

«Ehi, attento, stavi per cadere di nuovo.»

Eve fissava ridacchiando il bizzarro abbraccio dei due.
Anche Ray nell'ultimo periodo era parecchio migliorato nella recitazione. Pareva davvero divertirsi a prendere per il culo quel tipo.

Con la coda dell'occhio notò un ventenne uscire dal bar e correre verso di loro. Occhialuto e con una frangetta mora che gli arrivava fino alle sopracciglia. Era uno di quelli che, prima, di tanto in tanto guardava la coppia.
Lo intercettò lungo il vialetto, simulando un'espressione preoccupata: «Scusa, quello è un tuo amico? Credo che dovresti portarlo a casa, sai, perché è completamente ubriaco. Ha appena vomitato.»
Puntò l'indice sulla chiazza giallastra ai piedi del tavolino qualche metro più in là.
«A malapena riesce a stare in piedi. Per fortuna il mio fidanzato è riuscito a prenderlo prima che cadesse.»

Lui sospirò, passandosi la mano sulla frangia. La ringraziò e si precipitò dai due giovani ancora stretti fra loro. Passò il braccio dietro la schiena dell'amico e lo esortò a tornare dentro per prendere le giacche e andarsene.

Danny mollò la presa e lasciò che il prigioniero si appoggiasse al nuovo arrivato, che lo ringraziò con un sorriso imbarazzato, «Grazie, eh! Ora ci penso io. Scusate.»
Fece un timido cenno di saluto verso Giada, ferma a distanza di sicurezza un paio di metri più in là, poi strattonò l'altro per trascinarlo verso il locale.

Quello lo assecondò, lasciandosi sfuggire un versetto simile a un grugnito.
Appena si staccò dallo sconosciuto, gli scoccò un'istintiva occhiataccia.
Il fidanzato della riccia, però, si limitò a rispondergli sollevando un sopracciglio e con uno strano sorrisetto, che non riuscì a capire se fosse amichevole o di sfida.

Si sentiva stordito, sopraffatto dalla nausea, a ogni respiro una fitta di dolore scaturiva dal ventre. Era come se avesse ricevuto un pugno allo stomaco, anzi, era quasi certo che quella ragazza gliel'avesse inferto davvero.
Aveva i ricordi confusi. Era stato tutto così veloce, che non era nemmeno sicuro di cosa fosse accaduto quando lei gli era andata incontro.

Aveva bevuto parecchio e lo sbalzo termico tra dentro e fuori doveva avergli messo in subbuglio lo stomaco, non c'era altra spiegazione.
E poi come avrebbe potuto quella ragazza colpirlo?
Puntò gli occhi su di essa: aveva raggiunto Giada e lo stava salutando con un amichevole cenno della mano e un sorriso cordiale, che per un istante gli sembrò trasformarsi in un ghigno malvagio.
Rabbrividì, chiudendo d'istinto le palpebre.

Quando le riaprì, non c'era più traccia di quell'ombra malevola.
I suoi occhi annebbiati dall'alcol gli stavano giocando brutti scherzi, non poteva più credere a ciò che vedeva.
Doveva davvero essere ubriaco come loro dicevano, così tanto da non averne nemmeno coscienza.

Puntò l'ultima volta lo sguardo su Giada, poi si decise ad assecondare l'amico e si voltò verso il locale, incamminandosi in direzione della porta, con il braccio a sorreggersi sulle spalle dell'altro.

«Ehi, tu con gli occhiali!»

Si paralizzarono, richiamati dalla voce della riccia. Quel tono riuscì a farli trasalire, era diverso da quello gioviale che aveva sfoggiato fino a quel momento. Aveva un che di autoritario, o forse solo minaccioso.
Si voltarono a guardarla.
Fiancheggiava il fidanzato, le mani puntate sui fianchi.
Il giovane sembrava sussurrarle qualcosa e le stava stringendo le dita su un lembo della manica del maglione rosso.

«La prossima volta ti consiglio di fermare il tuo amico PRIMA che faccia cazzate, invece di startene in disparte a guardare ridacchiando.» La sconosciuta fece un cenno del capo in direzione di Giada, senza distogliere da loro quegli occhi azzurri che a ogni parola diventavano sempre più intimidatori.
«Ci fareste più bella figura entrambi.»

Il ragazzo con gli occhiali riuscì solo a fare un accenno di assenso col capo, la gola secca e il fiato mozzato. Quelle parole non avevano alcun significato maligno, eppure si sentiva come se avesse ricevuto la peggiore delle minacce.

«Sai, non sempre le cose finiscono bene» continuò Eve. Portò famelica un piede in avanti, ma una delicata trazione al braccio la trattene dal muovere ulteriori passi.
Le si sollevò un angolo della bocca in un ghigno, che si tramutò in un sorrisetto mentre scuoteva lievemente il capo. «Meglio prevenire.»
Spostò lo sguardo in quello del tipo che aveva importunato Giada, come volesse trafiggerlo, «E tu... faresti meglio a imparare a capire quando è il momento di smettere di bere... o di parlare... o di rompere i coglioni.»
Osservò un ultimo istante le espressioni sempre più inquiete dei due. Leggere il terrore negli occhi delle prede era forse la parte migliore della caccia, quando realizzavano di non avere più alcuna speranza.

Le dita si serrarono d'istinto in un pugno, mosse da un familiare irresistibile brivido caldo.
Poi l'ennesima lieve tensione alla manica le scosse la mente come un terremoto, accompagnata da un lieve sussurro: «Eve...»

Chiuse le palpebre, per riaprirle subito dopo, disegnandosi un amichevole sorriso sulle labbra. Le iridi di nuovo serene, quasi colme di falsa benevolenza.
Sollevò la mano in un garbato saluto, «Buonanotte, ragazzi. È stato un piacere.»

I due giovani parvero come svegliarsi da un incubo.
Senza fiatare, si voltarono verso l'ingresso e ripresero a camminare a passo rigido.

Appena li vide scomparire oltre la porta, Eve si tolse dalla faccia quel sorriso finto, «E anche questa è fatta!»
Si voltò verso il collega, porgendogli il pugno, «Beh, ottimo lavoro, socio!»

In risposta, però, ottenne solo uno sguardo severo, «Eve, ti avevo detto di-»

Lo ammutolì con un cenno del capo, in direzione di Giada, che li guardava con espressione interrogativa.

Danny capì al volo e riprese a parlare in un rapido inglese: «Eve, ti avevo detto di lasciar fare a me!»

Gli rispose nella stessa lingua: «Certo, e lasciarti tutto il divertimento! Perché avrei dovuto, scusa?»

«Perché sei una ragazz-»

«Oh, ma certo! Sappi che solo perché tu hai il cazzo non significa che puoi soffiarmi così una rissa! Me ne fotto se nel "mondo reale"» Mimò le virgolette con le dita, «fare a botte è una cosa da uomini!»

Daniel spalancò le braccia, «Stavo dicendo che sei una ragazza violenta e avresti potuto metterci nei guai. Io invece avrei risolto senza alzare le mani.»

«Certo... arrampicati pure sugli specchi... Comunque sappi che, guarda caso, se mi sono trattenuta e ti ho lasciato la MIA preda, è solo perché non volevo fare troppo casino e rovinarti la serata.»

«Oh, ma grazie.»

«E perché se ci mettiamo nei casini con la legge, poi John non mi lascia più andare in vacanza!»
Rimase a scrutarlo in cagnesco dal basso verso l'alto con le mani puntate sui fianchi.

«Ecco... e io che per un attimo ho sperato avessi messo un po' la testa a pos-»

«Non siete italiani?» La voce di Giada interruppe il loro battibecco anglofono.

Eve le rispose pronta, con un sorriso falso: «Americani... con origini italiane. Studiamo per diventare interpreti. Sai, siamo qui in vacanza studio proprio per affinare la nostra pronuncia. Mi fa molto piacere sapere che sta funzionando!» Si affrettò a cambiare discorso: «Piuttosto, Giada, scusa se mi sono messa in mezzo, ma ti ho vista parecchio in difficoltà con quel tipo.»

Gli occhi nocciola della ragazza divennero all'istante lucidi e fece uno scatto a braccia aperte verso la sua salvatrice, «Grazie...»

Quella indietreggiò d'istinto portando le mani in avanti per frapporle tra loro, «No, ti prego, non mi toccare! Per oggi ne ho avuto abbastanza. Se proprio vuoi abbracciare qualcuno, sfogati su di lui, che gli piacciono queste smancerie.»

«Eve, ma che dici?»
Daniel non fece in tempo ad allargare le braccia in un plateale segno di protesta, che Giada, dopo un attimo di smarrimento, si strinse a lui.

«Grazie» gli sussurrò contro il petto.

Il giovane nemmeno rispose al gesto. Sollevò le mani in aria e scoccò un'occhiataccia alla compagna, che intanto gli stava sibilando in inglese, con un sorrisetto di scherno: «Ora capisci cosa si prova quando gente a caso ti abbraccia senza il tuo permesso.»

Le rispose mimando con le labbra un "io per te non sono gente a caso", guardandola con risentimento attraverso gli occhi stretti a fessura.

Alla vista di quella sua espressione indispettita, lei scoppiò a ridere. Una delle sue risate sincere, finalmente.
Ridacchiò di rimando, scuotendo il capo con divertita rassegnazione, proprio mentre Giada si staccava da lui.

«Comunque ho sentito la mia amica e sta arrivando. Grazie ancora, davvero.»

Eve fece qualche passo lungo il marciapiede fino a raggiungere un muretto in mattoni a vista, e ci si sedette sopra. «Benissimo, allora sto qui con te finché non arriva.»
Poi si rivolse al giovane, «Ray, scusa se ti ho fatto perdere tempo, torna pure dai tuoi amici. Se qualcun altro ci dovesse dare fastidio, qui fuori posso spaccare qualche culo senza il rischio di essere cacciata da nessun locale. E tu puoi tranquillamente fingere di non conoscermi e continuare la tua serata.»

Danny sorrise e scosse il capo.
La raggiunse, per prendere posto al suo fianco, stringendosi le mani tra le braccia incrociate per difenderle dal freddo. «Ma figurati se lascio due donzelle tutte sole qui fuori in piena notte, "tesoro"!»

Nemmeno cinque minuti dopo, Giada salì sull'utilitaria della sua amica. A quanto pareva, quella l'aveva abbandonata per andare a infrascarsi con un tipo, che era sceso al volo dal sedile del passeggero con le guance arrossate e i capelli arruffati.

La salutarono con un semplice cenno della mano, ancora seduti sul muretto.
Rimasero immobili a guardare i fari posteriori dell'auto diventare sempre più piccoli.

«Sai, Eve, non smetti mai di stupirmi. Un momento sei un killer spietato, e quello dopo difendi le ragazze dai malintenzionati sforzandoti in ogni modo per non dover alzare le mani.»
Lei distolse lo sguardo dalla strada e si voltò per ascoltarlo.
«Dici sempre che non te ne frega un cazzo degli altri, eppure hai passato tutta la sera a fingere di essere la migliore amica di una tipa qualsiasi.»

Scosse il capo, «So dove vuoi arrivare, ma no, non sono un supereroe. E sì, non me ne frega un cazzo di quello che pensano, fanno o vivono gli altri. Non mi importa conoscere la vita dei tuoi amici o cosa stanno facendo gli altri che erano in classe con te. Ma se un innocente è in difficoltà e io ho la capacità di aiutarlo, non vedo perché non farlo.»
Daniel sorrise, non del tutto convinto di quelle parole. D'altronde lei gli aveva appena dimostrato di aver ascoltato ognuno dei suoi aneddoti scolastici.
«Poi, ammetto che per un attimo ho pensato di dare il via a una rissa, così mi sarei divertita un po'; ma anche se qui nessuno mi ha mai visto, conoscono te, e non avrei mai voluto metterti nei casini.»

«Beh, allora ti ringrazio, a nome mio, dei miei amici, di Giada, ma soprattutto di quel tipo, che stanotte andrà a dormire con ancora tutti i denti e tutte le ossa al loro posto!»

«No, no, lui deve ringraziare te se io mi sono fatta scrupoli!»

Scoppiarono entrambi a ridere.

«Eve, ma poi che problema avevano quei due? Perché lui la stava importunando?»

«E io che cazzo ne so? L'ho solo vista in difficoltà.» Sollevò disinvolta le spalle, «Dici che avremmo dovuto chiederglielo?»

«No, è andata bene così.» Le sorrise, «D'altronde, a te non importano i fatti degli altri, giusto?»



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