(Maia) Anziché il contrario

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng


Per quanto poco, avevo comunque dormito molto più di Marco.

Per questo motivo mi sentii una merda quando, poco dopo le nove del mattino, ricevette una chiamata dall'ospedale, dove si recò nonostante fosse ancora in ferie. Intuii di conseguenza l'urgenza inaspettata della richiesta, ma non vidi la tensione salire negli atteggiamenti di Marco.

Prima di andare via mi dedicò dieci minuti buoni per dirmi ciò che già sapevo, ma che sentito da lui acquisiva molta più autorevolezza: per Lucas poca acqua alla volta, cibo leggero, niente dolci. Se avesse ricominciato a vomitare con frequenza lo avrei dovuto portare immediatamente in ospedale, previo preavviso sul suo cellulare. Idem in caso di comparsa di dolori forti non accompagnati da scariche intestinali.

Mentre mi snocciolava queste raccomandazioni Lucas ancora dormiva e Marco si sciacquava la faccia con acqua gelata e si infilava dentro la biancheria e gli abiti comodi che si era portato da casa. Feci in tempo a preparargli un caffè che buttò giù senza zucchero e a ficcargli in mano un panino con la marmellata.

Quando fu pronto constatai, con un certo sgomento, che il suo aspetto sciupato gli conferiva un nuovo fascino; un po' come le rock star degli anni 80. Io non ebbi il coraggio di guardarmi allo specchio prima delle undici, quando mi decisi a mettere tutti nostri vestiti in lavatrice: l'odore acido del vomito di Lucas mi serrava lo stomaco. Quando Marco fosse tornato a prendere il suo borsone avrebbe trovato tutto pulito al suo interno.

Controvoglia, chiamai Ale per aggiornarlo e mi arresi all'idea che sarebbe passato per vedere Lucas. Gli dissi di portare Mattia: li avrei tenuti con me per quel giorno.

- Quando torna il papi? -

La vocina di Lucas era decisamente più squillante rispetto alla sera prima. Si era alzato quatto quatto, forse un po' disorientato vista l'assenza di suo fratello.

- Ehi, buongiorno. Papà e Mattia arrivano tra poco, ok? Come ti senti? -

Lucas entrò in bagno e si mise a fare pipì. Non mi rispose, non mi abbracciò, quasi mi ignorò. In realtà faceva così quasi ogni mattina: raramente cercava le coccole o era espansivo appena alzato. D'abitudine si faceva prendere in braccio da Ale per alzarsi dal letto. Se al risveglio suo papà non era presente, si alzava da solo. Il rapporto tra Lucas e suo padre era particolarmente profondo. Non mi feriva sapere di non essere il genitore alfa per lui: avevo accetttato quella condizione da un paio di anni.

Ovviamente dovetti ricordargli di lavarsi le mani, una volta sceso dal water. Si diresse a piccoli passi verso la cucina. Quando si sedette gli chiesi di nuovo come si sentiva.

- Bene. Ho fame. -

Sospirai. Dieta leggera. Sapevo che sarebbe stata dura convincerlo a rinunciare alla marmellata e alla cioccolata. Piagnucolò un po', ma meno del previsto, nell'accettare il fatto che avrebbe fatto colazione con tre fette biscottate senza nulla sopra. In realtà ne mangiò una e mezza, accompagnata da mezzo bicchiere d'acqua in piccoli sorsi.

Lavarlo fu più complesso: Lucas era davvero poco collaborativo, ma portai pazienza, consapevole che doveva sentirsi ancora piuttosto provato dalla sera prima.

Quando fu pronto si buttò sul divano: stava senza dubbio meglio, ma non ancora bene.

In via del tutto eccezionale, gli accesi un po' di tv nonostante fosse mattina: evento rarissimo e riservato esclusivamente ai momenti di malattia e convalescenza.

Io ebbi il tempo di lavarmi, vestirmi, e cambiare il lettino di Lucas.

Ale e Mattia arrivarono a cavallo del mezzogiorno e non appena suo fratello mise rumorosamente piede in casa, Lucas si ravvivò.

Ale si accomodò silenziosamente in cucina.

Ero nervosa anche io, e la cosa mi indispettiva. Ero a casa mia, e non avevo fatto nulla per cui valesse la pena sentirsi in colpa davanti al mio ex marito.

Mentre i bambini svuotavano a sul pavimento della sala una scatola di lego, andai ai fornelli: a debita distanza da Ale, seduto al tavolino della cucina. Gà sapevo che avrei fatto pasta in bianco per tutti, dato che Lucas doveva stare leggero, ma finsi di spignattare per rimandare di qualche minuto il confronto con il padre dei miei figli.

- La smetti di far finta di essere impegnata? -

Lo disse con leggerezza, quasi divertito. La distensione del suo tono rilassò anche me. La sua influenza sul mio umore avrebbe invece dovuto infastidirmi, ma non me ne resi conto, all'epoca.

Appoggiai sul fornello le pentole che non avrei usato, e andai a sedermi davanti a lui.

- Come vedi, Lucas sta bene. Dovesse tornare a vomitare con frequenza o avere dolori senza scariche, lo porto in ospedale. Ma direi che Marco aveva ragione, è solo un virus. -

Ale si appoggiò pesantemente allo schienale della sedia.

- Ieri sera ero piuttosto teso, se sono stato sgradevole mi dispiace. -

- Sei stato molto sgradevole. D'altra parte enunciare platealmente le mie mancanze è sempre stata un'abitudine difficile da apprezzare, per me. -

Ale si passò le mani tra i capelli con una smorfia sulla faccia che non seppi interpretare.

- Ti ripeto che mi dispiace, ma non ero preparato a una ricaduta di Lucas, né a vederti arrivare in tarda serata accompagnata da... lui. -

- Veramente ti avevo anticipato per telefono che ero con lui - enfatizzai l'ultima parola arricciando il naso e le sopracciglia. - Comunque direi che possiamo archiviare il discorso. Mi lasci i bambini? Passi a prenderli domani, se vuoi. Altrimenti restano tranquillamente tutto il weekend. -

Ale mi guardò sospettoso.

- Non passi il weekend con lui?-

Sospirai.

- Tornerà a prendere la sua roba in serata, suppongo. Ma se i bambini restano, mi fa piacere. Quindi non necessariamente devo passare il weekend con Marco. Lui ha avuto un'emergenza sul lavoro, e noi l'abbiamo avuta a casa, capita. -

Mi fissava in modo strano e non avrei saputo dire se la cosa mi metteva a disagio o se mi innervosiva proprio.

- E' il mio weekend di turno con i bambini. Se per te va bene e Lucas sembra star meglio, li porto da me nel pomeriggio. Eventualmente, dovessimo decidere di tenere Lucas a casa da scuola lunedì, te lo riporto domani sera. Pensi di poterti occupare di lui? Io dovrei andare in studio. -

Lunedì sarebbe stata una giornata chiave per definire la scaletta delle esibizioni per la dance battle: ora che le coreografie erano state stabilite, c'era da chiarire in che ordine metterle in scena, condividere con il resto della crew le scelte cromatiche di scenografie, costumi e trucco e, non meno importante, dovevamo ultimare alcune delle acrobazie più complesse e adattarle agli spazi del tendone di Falchi.

Pur con queste consapevolezze a martellarmi le tempie, risposi ad Ale che non sarebbe stato un problema tenere a casa Lucas con me, in caso di bisogno.

Già stavo cercando di ricordare se avevo scaricato Skype anche sul portatile: almeno il confronto con la crew sarebbe stato tutto sommato fattibile anche a distanza.

Ale annuì, ma sembrava stesse cercando nuove parole per esprimere qualcosa, senza trovarle. Stava pensando a qualcosa, ed era raro che il mio ex marito dicesse qualcosa pensandone un'altra.

Temevo volesse dirmi qualcosa di sgradevole, di nuovo, e non ero assolutamente certa di volerlo incoraggiare a sputare il rospo. Decisi di far finta di niente.

- Mangi con noi? -chiesi quindi, più per cortesia che per reale curiosità.

- Se non disturbo, sì. - In realtà disturbava. Non sapevo se e quando Marco sarebbe tornato per riprendere il suo borsone. Senza contare che ero ancora mortalmente incazzata per l'atteggiamento che Ale mi aveva riservato la sera precedente. Feci comunque buon viso a cattiva sorte.

- Allora godrai di una pietanza di straordinaria originalità: pasta con olio e parmiggiano. -

Ale sorrise. Un sorriso stanco, tirato, forse nostalgico. Ebbi di nuovo la sensazione che volesse disperatamente dirmi qualcosa. Mi morsi il labbro, combattuta tra il sincero desiderio di liberarlo da quel peso, e l'oggettivo timore di offrirgli l'occasione di scatenare un'altra discussione. O peggio... l'occasione di scatenare l'esatto opposto di una discussione. Nonostante le raccomandazioni ben più che legittime di Marco, non ero assolutamente certa di essere in grado di gestire la situazione con Ale. Mi era semplicissimo detestarlo e allontanarlo ogni volta che il suo atteggiamento mi ricordava i numerosi motivi che ci avevano condotti alla separazione; il problema erano le occasioni in cui il suo atteggiamento riportava alla luce i non meno numerosi motivi che ci avevano condotti all'altare. Motivi, questi ultimi, che sapevo essere assolutamente svaniti, eppure mi bastava l'eco che derivava dal tocco di Ale per andare in tilt.

In virtù di quest'ultima considerazione, optai nuovamente per un acrobatico sorvolo della situazione che sembrava assillarlo.

Mi alzai con la scusa di controllare i bambini in salotto, mettendo più distanza fisica ed emotiva tra noi due.

Lucas giocava con gli omini dei lego dal divano, quasi sdraiato. Mattia si era adattato

alla spossatezza del fratello e costruiva dal pavimento tutto in altezza con i lego: supposi fossero le torri di qualche base spaziale o militare. Supposi anche che presto sarebbe crollato tutto, scatenando la frustrazione di uno dei miei figli, o forse di entrambi. E, di conseguenza, anche la mia. Ma finché quel delicato equilibrio di mattoncini e fratellanza reggeva le onde d'urto del gioco, io non avevo alcuna intenzione di intervenire.

Mi godetti il quadretto armonico per qualche istante, poi tornai ad affrontare il clima inspiegabilmente disagevole della cucina.

Trovai Ale intento a cercare le confezioni di pasta negli scaffali della cucina.

- Sono in alto - gli dissi.

Al secondo tentativo aprì lo sportello giusto. Scandagliò le confezioni con invidiabile concentrazione. Per lui era tutto così...fondamentale. Io avrei preso una confezione a caso. Poi mi sarei accorta che non ce n'era a sufficienza, probabilmente. E ne avrei aggiunta dell'altra, di un formato diverso e con tempi di cottura differenti. Avrei pasticciato, ma non mi sarebbe importato. Non sarebbe importato nemmeno ai bambini, e presumibilmente nemmeno ad Ale. Non mi aveva mai sollevato obiezioni su ciò che mettevo in tavola durante il matrimonio. Eppure, senza eccezione alcuna, i pasti preparati da lui erano meglio studiati.

La sua efficienza era ogni volta uno schiaffo alla mia autostima. Mi chiesi quanto fosse corretto avergliene fatto una colpa, in quegli anni.

- Spaghetti -sentenziò. Ero d'accordo: era forse l'unico formato di pasta che manteneva una certa dignità se accompagnata solo da un filo d'olio e una grattugiata di formaggio. Impossibilitati al burro per salvaguardare lo stomaco di Lucas, quella mi parve una scelta molto più che condivisibile, quindi non obiettai. Non l'avrei fatto comunque, a dir la verità.

Lasciai che Ale riempisse una pentola d'acqua e che bisticciasse per un po' con l'accensione del fornello. Gli lasciai il suo spazio, dove magari avrebbe disperso i pensieri che sembravano occupargli qualche neurone in più del solito.

A operazione terminata, appoggiò i palmi al ripiano della cucina. Sapevo che stava per dire qualcosa che lo tormentava e potevo supporre facilmente chela cosa avrebbe causato problemi.

Iniziai a preoccuparmi. Voleva mettere in discussione l'affidamento congiunto dei bambini? Quello era il pensiero che con ostinata costanza mi aveva terrorizzata in quei due anni dalla separazione: il terrore che elencasse tutta la sequela di leggerezze e incapacità che avrebbero convinto qualche giudice della mia inadeguatezza come madre. La ferrea convinzione che Ale non fosse nemmeno lontanamente un pezzo di merda di tale misura mi aveva sostenuta nel conservare una certa serenità. Avevo avuto lunghi periodi in cui nemmeno pensavo a quell'eventualità, oppure la consideravo ridicola più che remota. Ma c'erano momenti in cui temevo il suo giudizio in tutta la sua crudele oggettività. Ero inaffidabile? Perdevo la pazienza troppo facilmente? Facevo vedere loro troppa TV? Giocavo in modo adeguato con loro? Ero sufficientemente attenta mentre li seguivo nei compiti? Alzavo troppo spesso la voce? perché Lucas cercava solo papà e mai la mamma? perché non ero stata capace di diventare un genitore modello pur avendone sposato uno?

Queste furono le domande che si affollarono nel mio cervello improvvisamente iperattivo, mentre sentivo la tensione ribaltarmi lo stomaco in una morsa dolorosa.

Ma Ale alzò lo sguardo e quello che disse aveva ben poco a che fare con le mie preoccupazioni.

- Non stare con lui, Maia. -

- Scusa? -

Avrei dovuto capire, Marco avrebbe capito. Se glielo avessi raccontato, mi avrebbe detto che era ovvio, che i segnali erano evidenti, grandi, immensi. E Ale non si era fatto problemi a essere completamente onesto già in precedenza.

Il sollievo di non dover affrontare una dolorosissima guerra per l'affidamento dei bambini soffocò senza nessuna difficoltà il disappunto per la sua richiesta del tutto fuori luogo.

- Ci sono passato prima di te. Ho provato a cercarti nelle vite delle altre. Non funziona, Maia. -

Non mi avrebbe messo in difficoltà con l'affidamento dei bambini: era quello il solo e unico pensiero che pulsava con piacevole vigore nella mia testa. Sentivo quello che mi stava dicendo ma non riuscivo a dargli il giusto peso. Sapevo, sotto sotto, che era pericoloso sottovalutare Ale e le sue convinzioni. Ma in quel momento non era importante: Lucas stava bene, e anche se amava e ammirava il padre in una misura tale che avrebbe oscurato anche il sole e di conseguenza polverizzato sua madre, lui e Mattia avrebbero continuato a crescere anche con me.

- Mi dispiace che non abbia funzionato per te, Ale. Credo che tu debba semplicemente aspettare di trovare la persona giusta. - Non so come, ma non provai alcun imbarazzo per la banalità di quella frase fatta, piatta e priva di calore.

- Sei tu la persona giusta, Maia. -

Cercai disperatamente di tornare con i pedi per terra, nel notare che Ale aveva raddrizzato la schiena e aveva staccato i palmi dal ripiano della cucina. Non perdere i bambini era l'assoluta priorità della mia esistenza. Subito dopo, veniva la necessità di non perdere Marco. Volevo vedere crescere la nostra relazione, e scoprire dove ci avrebbe portato. Non volevo considerare l'ipotesi di un immediato capolinea: ero innamorata di quel chirurgo con la faccia da schiaffi. Avrei fatto la brava, e avrei costretto Ale a fare altrettanto.

- Forse lo sono stata per un po', Ale...-

- Per un po'? - replicò, avvicinandosi. - Siamo stati felici per anni, Maia. Anni. -

Mi irrigidii, non volevo indietreggiare: gli avrei offerto l'occasione di bearsi nel constatare il mio timore nei confronti della sua vicinanza. In realtà subivo la sua presenza fisica, ed ero abbastanza presente a me stessa da non negarlo alla mia coscienza, ma era fuori discussione che gli regalassi la soddisfazione di cogliere la situazione ed esibirla come un trofeo.

- Sì. Anni. Anni che sono passati e più tornati. Ora sono felice con un altro, Ale. -

- Sì, certo. Uno con cui non hai nulla da condividere, a parte il letto e nemmeno sempre... -

- Non ti puoi permettere, proprio tu! Mi pare non ti sia fatto problemi a condividere il materasso con qualche fiamma passeggera! -

- Non ti sto giudicando, infatti! -

- Ah no? Meglio non sapere cosa può uscire dalla tua bocca quando ti si chiede un giudizio allora! -

Avevo alzato la voce e me ne pentii subito: Mattia andava sempre in crisi quando ci sentiva discutere e non aveva ancora accettato fino in fondo la separazione.

Mi schiarii la voce cercando di riprendere il controllo, mentre Ale si grattava una tempia con la furia di un cane con la rogna.

- Voglio solo dire che è più facile far funzionare una storia come la vostra: cosa dovete spartirvi, Maia? Non i bambini, non le spese, nessuna responsabilità. Siete liberi di fare delle vostre vite quello che vi pare senza che la cosa interferisca seriamente con l'esistenza dell'altro. Non c'è motivo di discussione, non ancora. -

- Sì, è così. Credo sia anche piuttosto normale quando si è all'inizio di una relazione. Che poi non ci siano motivi di discussione, permettimi, è del tutto opinabile: ho due bambini con un altro uomo che passa per casa mia più volte a settimana. Un uomo che, tra l'altro, mi parla ancora come se avesse il diritto di giudicare ogni passo che faccio.-

Lo vidi cambiare espressione: il nostro eterno nervo scoperto. In fondo era per quello che ci eravamo lasciati: lui che diceva di amarmi, io che dietro quelle parole vedevo solo un dito puntato contro ogni mia mancanza. Quando, due anni prima, me ne ero andata di casa, avevo l'autostima sotto le suole delle scarpe e Ale continuava ad avere il potere di ricacciarla proprio lì.

- Non posso esimermi dal fare il padre, Maia. Anche quando i bambini sono con te. -

- Puoi esimerti dal mettere il becco nella mia relazione con Marco. -

Ale batté una mano sullo sportello della cucina. Raramente si lasciava andare a gesti violenti e saltai per la sorpresa.

Dalla porta entrò Mattia, preoccupato.

- Mamma? -

Mi si strinse il cuore immediatamente: Mattia era ancora piccolo, ma aveva un innato senso di protezione. La sua empatia era profonda, e aveva sempre percepito il mio senso di disagio e inadeguatezza in famiglia. Nelle sporadiche occasioni in cui i bambini avevano loro malgrado assistito a qualche discussione tra me e Ale, Mattia si era sempre preoccupato per me. Era da me che veniva, subito dopo, offrendo un abbraccio o una frase carina.

Ed era per questo che era entrato pronunciando la parola mamma: era lì per sapere come mi sentivo, se doveva preoccuparsi per me.

Gli sorrisi, cercando di rassicurarlo.

- E' tutto a posto, tesoro. Faremo più piano. -

- State litigando? -

- No - gli rispose Ale, anche se Mattia guardava nella mia direzione. - Torna a giocare con tuo fratello. -

Mio figlio obbedì solo dopo essere stato rassicurato da un mio gesto d'incoraggiamento con la testa.

- Adesso datti una calmata, che non voglio mandare a puttane 9 mesi di terapia con la psicologa infantile. C'eri anche tu, cazzo, quando tuo figlio si disperava ogni volta che mi chiudevo alle spalle la porta di casa tua per tornare nella mia! -

Ma Ale non era calmo. Lo capii dalla sua ostinazione nel non guardarmi in faccia: teneva lo sguardo fisso sulle mani, che erano tornate distese sul ripiano.

Era pieno di rancore. Nei miei confronti, supposi.

Feci quello che non avevo cercato di impedire che facesse lui: mi avvicinai, gli misi una mano sulla spalla.

- Ale, per favore. Adesso basta. Probabilmente non è il momento per affrontare questo argomento. -

Cercai d'immaginare quale potesse essere un momento adatto e, chiaramente, esclusi qualunque attimo da lì ai successivi trecento anni.

Ale dovette fare più o meno lo stesso ragionamento, ma almeno si girò e mi parve più ragionevole.

- Lo sai che hai scelto lui perché ti ricorda me, vero? -

Mi parve la frase più lontana dalla verità che avessi mai sentito. Feci fatica a trattenere una mezza risata, e la nascosi dietro un sorriso divertito.

- Credo che ci siano ben pochi esemplari di maschi italici più lontani di lui dal tuo modello, Ale. Senza offesa, ma più lo conosco, e più sembrate appartenere a sistemi solari diversi. -

Anche Ale sorrise, ma non era divertito. Forse era un ghigno supponente, più che un sorriso.

- Più lo conosci, certo. Ma perché hai scelto lui, Maia? Sono due anni che ci siamo lasciati, un sacco di tempo per una donna come te: bella e single. Hai aspettato molto, prima di sostituirmi.

Mi strinsi nelle spalle, senza la seria intenzione di cercare una risposta a una domanda a mio avviso priva di concretezza. L'amore era così, no? Imprevedibile. Ci si innamora e basta, senza che ci sia dietro una scelta ponderata.

- Non saprei, è capitato e basta. Jennyfer dice che è la sindrome dell'eroe, ma al contrario: ha salvato Lucas. -

- Jennyfer è più vicina alla verità di quanto lo sia tu con le tue ipotesi vaghe. -

La cosa non mi turbò affatto.

- E se anche fosse, Ale? Se anche avessi scelto lui perché è un cazzo di genio della chirurgia che ha salvato nostro figlio? Non vedo dove sia il problema, dato che la cosa sta proseguendo a prescindere da tutto questo. -

Scosse la testa, di nuovo con quel ghigno di supponenza stampato sulle labbra.

- Non hai capito un cazzo, Maia. Non è perché lo ha salvato. È il come lo ha fatto. -

Aggrottai le sopracciglia, incapace di cogliere il senso di quelle parole.

- E' stato il suo atteggiamento, Maia. La sua smisurata e, lasciatelo dire, esagerata fiducia nelle sue stesse capacità ti ha colpita. La sua inamovibilità nelle scelte, la sua fermezza nel condurre l'intervento e tutto ciò che ne è seguito. Perché è questo quello di cui hai bisogno: qualcuno che sia razionale ogni volta che tu sei emotiva. Qualcuno che prenda le decisioni quando tu vorresti tornare indietro per avere un'altra panoramica di un problema che già conosci a fondo. Qualcuno in cui rifugiarti quando ti senti travolta, che ti offra un riparo dalle tempeste. Non è un ruolo facile da mantenere, posso garantirtelo. Posso davvero garantirtelo, Maia. -

Di nuovo sentii incombere il senso di colpa: stava montando pericolosamente portando con sé un pianto che volevo evitare con tutte le mie forze. Inghiottii per scacciare le lacrime, finché se ne andarono. Non riuscii subito a controllare il tremore del labbro inferiore. Per questo, probabilmente, iniziai la frase balbettando.

- I-i-i-io... non so cosa dire. Ti voglio bene, Ale, e molto. So di doverti tanto, ma non credo di avresti mai chiesto di essere il mio scudo umano contro le difficoltà della vita... -

- Non era necessario chiedermelo, Maia. Io volevo essere quello di cui avevi bisogno. -

Cercai di fare ordine nei pensieri portati in superfice dall'ondata di sensi di colpa.

- Non so cosa dire. Anche io ho cercato di darti quello che poteva renderti felice. Manon è più bastato dopo...- mi bloccai, cercando di afferrare il pensiero che sembrava aver trovato l'uscita della bocca senza essere prima passato dal cervello.

- Dopo l'arrivo dei bambini - concluse lui per me.

Sì, dopo l'arrivo dei bambini. Le cose erano diventate più difficili, per me. Non ero abbastanza attenta. Non abbastanza ordinata. Mai, mai efficiente. Ale era efficiente. Ordinato. Attento. Io tenevo insieme i pezzi rotti con lo scotch. Lui preveniva il danno. Io mettevo il ghiaccio sui bernoccoli. Lui insegnava ai bambini a non arrampicarsi senza le dovute precauzioni. Io urlavo ai miei figli di non litigare. Lui analizzava la loro diatriba e trovava una soluzione accettabile.

- Sì, ecco -ammisi.

Nascosi il viso dietro le mani, consapevole che ormai il pianto aveva sfondato i cancelli. Singhiozzai sommessamente.

- Dovevo essere un rifugio anche per i bambini, Maia. Dovevo proteggere te dalle tempeste, e loro dal mondo intero. E nessuno di voi me l'aveva chiesto, lo so. Ma se tornassi indietro, lo rifarei. Rifarei tutto Maia, cercando solo di non scaricare la mia tensione su di te. Ho ceduto allo stress del ruolo che mi ero imposto e me la sono presa con te. Ti ho persa per questo, per averti dato più di quanto mi avessi chiesto. Ma capisco che così facendo ti ho privato di quello di cui avevi bisogno. Ho avuto un punto di vista distorto, ho sbilanciato la nostra relazione. Mi dispiace, Maia. -

Mi sentii una merda, ovviamente. Una merda irriconoscente. Una stronza egoista. Tolsi le mani dal viso e cercai di portare via le lacrime dalle guance.

- Anche a me dispiace di non essere come te, Ale. Efficiente e precisa. Ordinata e previdente. Mi piaceva che tu lo fossi al posto mio, e non ho pensato che questo fosse per te un carico così difficile da sostenere, ma...-

Mi bloccai appena Ale mi prese il viso tra le mani. Stava accadendo esattamente quello che non avrei dovuto permettere accadesse. Quindi proseguii, anche semi costò fatica.

- ...ma ormai siamo andati avanti. Tu senza di me e io senza di te. -

Il tocco di Ale sulla mia pelle non perse di calore, né di tenacia.

- Io non sono andato da nessuna parte senza di te. -

- Dovresti, Ale. Perché io adesso sto con un altro. E sta funzionando. -

Il suo viso si avvicinò pericolosamente al mio. Con sconcertante lucidità mi resi conto di non avere la forza di evitare che accadesse. Ale salvò la situazione per me, deviando le sue labbra in direzione del mio orecchio anziché della mia bocca.

- Non può funzionare a lungo se sono io ad avere i coglioni di evitare di baciare te, anziché il contrario. -

Aprii la bocca nella disperata volontà di dire qualcosa che potesse raddrizzare la mia dignità ma Ale aveva argomenti ben più convincenti.

- Non sparare cazzate, Maia - proseguì, passandomi una mano tra i capelli. -Risparmia il fiato per il tuo chirurgo. Eviterò di metterti in condizione di spiegargli i motivi per cui sei caduta di nuovo tra le mie braccia, perché oggi sono generoso e ti voglio bene. Ma se tra voi due non finisce in fretta, e non m'importa chi di voi pianta l'altro, dovrò di nuovo aprirti gli occhi sulla ciclicità inarrestabile con cui tu torni da me, in un modo o nell'altro. -

Mi baciò una tempia mentre io ancora cercavo di ricordare in che modo far uscire l'aria dai polmoni.

- Ora vado via, perché sono abbastanza certo che se restassi finiresti col fare con me quello che vuoi convincerti voler fare con il tuo bel chirurgo. Ti offro la possibilità di renderti conto di questa cosa senza mancargli di rispetto. E lo faccio solo perché ha salvato mio figlio. E anche perché ti ho promesso più discrezione, il che per me significa non infilarti la lingua in bocca anche se è l'unica cosa che sento di voler fare adesso. -

Ale uscì di casa senza che avessi ritrovato il tasto d'accensione del cervello. Mangiammo gli spaghetti solo in tre.



Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro