(Maia) Le mani lontane da lei

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- Sta prendendo una brutta piega... -

Jennyfer mi guardò scettica, mentre sparecchiava la tavola della madre che, come solito, aveva sfamato sia noi che i nostri figli.

- Smettila di leggere quella roba - mi rispose.

Ma non smisi, non riuscivo a smettere. In quelle due serate in cui non avevo avuto Marco a riempire i miei vuoti dopo la messa a letto dei bambini, avevo perso tempo a leggere quello che si diceva di noi nel mondo virtuale.

Gli articoli e le interviste erano ben condivise, il nostro blog aveva visto schizzare i commenti, per non parlare delle pagine social. Tutto bene? No. Mi infastidiva leggere una quantità allucinante di commenti provocatori sotto le nostre foto. Molti erano sessisti, e potevo anche digerirli. Ma era allarmante leggerne anche di aggressivi. Ciò che più mi preoccupava erano quelli delle donne.

- Cristo Jennyfer, cosa dovrei rispondere a una che sostiene essere "blasfemo", e cito le testuali parole, " sculettare su un palco mezze nude con i vostri figli che vi guardano da casa"? -

- Niente, Maia! Non devi rispondere niente a una che neanche sa cosa vuol dire blasfemo!-

- Magari lo sa e lo pensa davvero...-

- E sarebbe pure peggio se fosse così. Noterai facilmente che, mentre i commenti degli uomini si suddividono più o meno in uguale misura tra tutte noi cinque sia in termini di aggressività che di sessismo, quelli delle donne aumentano esponenzialmente se il soggetto siamo noi due. -

- Perché secondo te? -

- Mi pare d'aver capito che il nostro essere madri infastidisca una fetta di popolazione femminile. Ma è una fetta di popolazione che non ci deve preoccupare. Anzi, ci deve preoccupare moltissimo, ma è un problema della società e non solo mio e tuo. Esistono persone che ritengono che la nostra esistenza debba essere limitata all'accudimento dei mariti, della casa e dei bambini. A questo aggiungi il fatto che siamo entrambe separate e che per lavoro esponiamo senza pensieri una certa porzione di pelle. La miscela è esplosiva. Rassegnati e sorvola. Se può consolarti ci sono un sacco di commenti positivi sul tuo interno coscia. -

Feci una smorfia.

- Non mi consola. -

- Perché questa cosa ti mette così a disagio? Era così anche prima, solo che i numeri erano limitati alla nostra popolarità. Aumentata quest'ultima, sono aumentati i commenti, i giudizi e le opinioni del popolo virtuale. Ti aspettavi forse qualcosa di diverso? -

Sapevo benissimo cosa mi metteva a disagio di quella situazione, ma non ero certa di volerlo esprimere ad alta voce.

Sospirai, cercando di glissare e di tenere le mani e gli occhi lontani dal monitor per un po'.

Aiutai Jennyfer e sua madre a sistemare la cucina. Affrontai la quotidiana lotta per separare Lucas e Mattia da Bianca, consapevole che poi, a casa, avrei affrontato la guerra dei compiti.

Non seppi nemmeno io come, ma in un qualche modo sopravvivemmo tutti agli esercizi di matematica e alle pagine di scienze. Restava inglese per Mattia, ma concessi la pausa merenda prima dell'ultimo round.

Avevo mal di schiena, me ne resi conto mentre preparavo le fette biscottate per i bambini, e cercai di ricordare quale presa o acrobazia non correttamente svolta potesse aver causato il problema. Mancava pochissimo alla battle, nessuna di noi poteva concedersi malanni e tantomeno infortuni. Sentii salire l'ansia, che tenni a bada con un cucchiaino di Nutella.

Mi sedetti con Lucas e Mattia e finii le ultime gocce di the alla pesca che regolarmente abbandonavano nel brick. Ale avrebbe insistito affinché lo bevessero i bambini, ma Ale non c'era e io avevo voglia di the alla pesca. Perché complicare una cosa semplice quando le esigenze dei singoli convergono verso una soluzione soddisfacente per tutti?

Lucas aveva le mani imbrattate di nutella, e si era sporcato anche le maniche della felpa. Mi ero raccomandata di tirarle sopra i gomiti ma non mi ero preoccupata di verificare che l'ordine venisse eseguito. Glissai anche su quel pensiero, e che Dio benedicesse l'inventore della lavatrice.

- Mamma, Raffaele mi ha detto che sei famosa. È vero? - chiese Mattia.

Lui aveva tirato su le maniche, le dita erano quasi pulite. Tutto ciò che non era finito in bocca o sui vestiti, era in un qualche modo finito sulle sue guance paffute.

Si leccò le dita anche se non c'erano residui di Nutella.

- La nostra crew ora è diventata più popolare, sì - confermai.

- Cosa vuol dire popolare? -

Sorrisi.

- Vuol dire famosa.-

- Quindi adesso siamo ricchi? - chiese Lucas.

Mi uscì una risata sincera.

- No tesoro, non siamo ricchi. Ma non ci manca nulla, no? -

I miei figli si scambiarono uno sguardo d'intesa. Mangiai la foglia.

- Avete visto qualcosa in tv che vorreste comprare? -

- Sì, la macchina con i cingoli dei Ninjago. Ma Raffaele dice che bisogna essere ricchi per comprarla. -

- Addirittura. Costa così tanto? -

Lucas si passò le dita pasticciate di cioccolata sulla tempia e inorridii al pensiero che sarebbero risalite ai capelli. Ovviamente il tutto accadde troppo in fretta perché potessi intercettare la sua mano con uno scottex. Lucas non si rese conto di nulla. Mi rassegnai.

- Costa centosessanta euro! - urlò soddisfatto, come se fosse la risposta ai quesiti dell'esistenza.

Mancava poco a Natale. Registrai l'informazione. Era una cifra esagerata per una scatola di Lego, ma uno dei miei figli aveva rischiato di morire pochi mesi prima, e la mia carriera aveva preso una nuova rampa. Fanculo i soldi.

- Potreste chiederla a Babbo Natale - proposi.

- Quanto manca a Natale? - chiese Lucas, per nulla intenzionato a ripulirsi le dita con lo scottex che continuavo ostinatamente a porgergli.

- Babbo Natale ha diverse settimane per procurarsi la macchina dei Ninjago. -

E non molto di più mancava alla battle. Barattai un'esecuzione dei compiti di inglese priva di capricci con la mia collaborazione nella stesura della letterina per Babbo Natale.

Col senno di poi avrei dovuto alzare la posta in gioco aggiungendo anche una lavata di mani, bocca e denti altrettanto disciplinata, ma quando presi atto del problema era ormai troppo tardi e l'accordo venne siglato con un abbraccio di gruppo appiccicoso e nutelloso.

Il pomeriggio si sarebbe potuto concludere in maniera più che soddisfacente persino agli occhi di Ale: compiti eseguiti, zaino preparato con i libri del giorno seguente, denti lavati e letterina di Babbo pronta.

Ma Ale non fu soddisfatto.

Quando arrivò, prima di cena, mi fece notare che Lucas aveva la felpa imbrattata(esagerato!) di cioccolata e i capelli incrostati di una sostanza non ben identificata.

- Cristo, Maia, ma non vedi che va pulito e cambiato? -

Guardai mio figlio con i suoi occhi, e dovetti dargli ragione.

- Sì, scusa. Ora lo porto in bagno. -

Ma Lucas non collaborò, ovviamente. Dovetti quasi trascinarlo davanti al lavandino sotto gli occhi spazientiti e innervositi del mio ex marito. Sentivo il suo sguardo accusatore bruciarmi la schiena.

Ero stanca. Frustrata. Stressata.

Sentii salire le lacrime mentre le urla di mio figlio si trasformavano in un suono indistinto e pulsante sullo sfondo della mia coscienza.

Eppure fino a quel momento era andato tutto bene: non avevo sbagliato né dimenticato nulla. Perché doveva finire così? Perché la situazione doveva precipitare proprio in presenza di Ale?

Ma la situazione non era ancora precipitata. Precipitò di lì a poco, quando Lucas scivolò dallo sgabello sul quale lo avevo fatto salire per pulirgli meglio i capelli imbrattati. Mi ero allontanata forse di mezzo passo per prendere l'asciugamano. Un'operazione che può occupare... non so... quanti millisecondi?

Tanto bastò a Lucas per sbattere la bocca contro il bordo del lavandino e vedere scorrere il sangue dalle labbra.

Io sbiancai. Lui pianse. Il mio ex marito imprecò dal salotto come non aveva mai fatto.

Aprii immediatamente il getto dell'acqua fredda e impregnai l'asciugamano, premendolo poi sulla bocca di Lucas.

Iniziò a piangere anche Mattia, inorridito e incuriosito al tempo stesso dal sangue che aveva sporcato la felpa del fratello e il pavimento del bagno. Urlavano tutti. Mattia. Lucas. Ale. Non capivo più niente e se l'acqua del rubinetto era fredda come la morte, le lacrime che mi rigavano le guance bruciavano come l'inferno.

Le voci di tutti e tre avevano raggiunto livelli insopportabili. Lucas ululava come un licantropo sotto alla luna piena. Mattia non faceva che chiedere cos'era successo, Ale... Ale urlava ma non capivo cosa diceva. Urlava e mi guardava e io continuavo a premere l'asciugamano sulla bocca di un Lucas disperato e spaventato e singhiozzante. E Ale urlava, urlava, urlava.... finché non sentii la presa salda della sua mano sul braccio, finché il suo sguardo infuocato incrociò il mio, finché la sue urla acquisirono significato.

- Il ghiaccio, Maia! Il ghiaccio, cazzo! -

Il ghiaccio. Corsi via da quella stanza piena si stress, aprii il freezer e ne tirai fuori un po' di cubetti che avvolsi in uno strofinaccio pulito. Tornai in bagno e Ale me lo strappò di mano.

- Posso... -

- No! - mi interruppe lui. - Hai già fatto abbastanza. -

In quel momento sentii qualcosa spezzarsi dentro di me. Mi parve di sentire un crack assordante, quasi croccante, vibrarmi sotto la carne, tra il cuore e lo stomaco.

Pensai mille cose insieme, accavallate. Pensai che ero una pessima madre. Una moglie inetta. Una donna piccola e insignificante. Una creatura incapace, senza spina dorsale e priva del sangue freddo necessario a reagire alle situazioni appena un po' critiche.

Uscii a ritroso dal bagno, poi mi girai e mi sedetti sul divano, fissano il pavimento e pregando che tutto finisse in fretta. Che il pianto di Lucas si arrestasse, le domande incessanti di Mattia terminassero e i rimproveri di Ale si spegnessero.

Dopo un po' ci fu una specie di silenzio.

- Ma che cazzo fai?- mi chiese Ale.

Crollo, pensai.

Alzai lo sguardo. Lucas aveva il labbro gonfio, ma non sanguinava più. Gli chiesi di tirare fuori la lingua e vidi che era a posto. Si era morso il labbro: un bel taglio, ma niente di grave. Mattia mi guardava in modo strano. Sembrava preoccupato. Per me. Non per suo fratello.

- Domani ti compro i ghiaccioli - promisi a Lucas.

- E per me? -

- Anche per te -dissi a Mattia.

Ale spedì i bambini in camera loro. La cosa mi allarmò: cosa doveva dirmi? Cercai di non crollare davvero. Non ancora. Non davanti a lui.

- Alzati! -

Obbedii. Mi ritrovai ad aver paura. Non di Ale. Non delle sue possibili minacce. Non di qualcosa in particolare. Paura in generale. Delle mie incapacità, forse.

Eppure, iniziai io. Trovai la frase in fondo alla lingua, giunta lì da qualche recesso della mia coscienza. Della mia dignità, per meglio dire. La dissi con voce tremante, anche se nella mia testa l'avevo immaginata come un ruggito.

- Sono cose che capitano, Ale! -

- Ma perché cazzo capitano sempre e solo a te, eh? -

Nel dirlo mi prese per un braccio. Non strinse, non lo avrebbe mai fatto. Ma da quel gesto compresi che la sua pazienza nei miei confronti era giunta alla fine, per quel giorno. E ci eravamo frequentati solo per pochi minuti.

Inghiottii saliva in cerca di altri rifiuti del mio orgoglio ferito da usare per difendermi, ma la mia ricerca fu interrotta da una voce inaspettata. Feci mente locale in qualche secondo, poi la riconobbi.

- Ehi! -

Marco era sulla soglia, gli occhi puntati sulla mano di Ale che ancora mi teneva per il gomito. Non era un "ehi" di saluto. No. Era un "ehi" incazzato.

Lo capì anche Ale e mi lasciò, anche se senza fretta.

- Che cazzo succede?- chiese Marco.

- Niente - mi affrettai a rispondere. Se c'era qualcosa che non avrei potuto sopportare quella sera, era una scenata tra Ale e Marco. - Abbiamo discusso, ma è tutto a posto, davvero. -

- Non mi pare. -

Si avvicinò e il suo sguardo non si sganciò per un secondo da quello del mio ex marito.

- Ha ragione, è tutto a posto. E qualunque idea lei si sia fatto, è del tutto fuori strada. -

La voce di Ale era controllata e decisa. Rassicurò anche me.

- A scanso di equivoci, gradirei non vedere mai più una sua mano addosso a Maia. Così siamo sicuri che le mie idee non sbaglino strada. Che ne dice?-

- Non le farei del male nemmeno per sbaglio - fu la risposta di Ale, che sosteneva lo sguardo di Marco senza nessuna esitazione, nemmeno nella voce. Erano vicini, ora. Troppo vicini. Intervenni.

- È meglio se vai, Ale. Mi dispiace che Lucas si sia fatto male. Se preferisci puoi lasciare i bambini qui, stanotte. -

Ma probabilmente non mi ascoltò nemmeno.

- Ti ho fatte male, Maia? -

- Certo che no -fu la mia risposta sincera.

Ale parve soddisfatto, Marco meno.

- Fossi in lei manterrei comunque l'intenzione di tenere le mani lontane da Maia. In tutti i sensi - disse Marco.

Era una provocazione bella e buona. Ale fece una smorfia, poi posò gli occhi su di me. Non ressi il suo sguardo e mi passai una mano tra i capelli per interrompere il contatto visivo.

- Sì, forse è meglio. Dato che ogni volta che la sfioro risponde con un gemito...-

La mano mi partì senza che potessi fermare il comando partorito dal cervello, e colpii Ale su una guancia. Me ne pentii subito, era un gesto ingiustificabile. Ma non potei fermare nemmeno la lingua, quando anziché chiedere scusa sputò una minaccia.

- Non osare, Ale! Non. Osare. -

Lo guardai furibonda. Lui mi guardò impassibile.

- I bambini dormono da me - rispose soltanto.

Li chiamò. Lucas e Mattia comparvero dalla cameretta. Dalle loro facce capii subito che avevano sentito tutto. Che avevano sentito troppo. Mi vergognai per lo schiaffo che probabilmente avevano intuito.

- Tu sei il mio dottore! - disse Lucas, indicando senza educazione Marco.

Lui gli sorrise.

- Sì, ciao Lucas. -

- Ma oggi non ho mal di pancia. Perché sei qui? -

Scese un breve e imbarazzato silenzio.

- Perché siamo amici - risposi io.

- Ah - commentò mio figlio, facendo spallucce.

- Stai bene, mamma?- chiese Mattia.

- Sì, tesoro. Ora preparatevi per andare a casa di papà. Ci vediamo domani fuori da scuola. -

Non fecero un solo capriccio nell' infilarsi scarpe e giacca a vento. Marco si fece da parte in attesa che la situazione si sbrogliasse con l'uscita di scena di Ale.

Ovviamente il mio ex marito ci fece dono di un'uscita di scena memorabile, girandosi appena prima di chiudere la porta per regalarci le sue ultime frasi.

- Tu sai che ho ragione, Maia. Puoi indignarti finché vuoi. - Dedicò un'ultima occhiata anche a Marco. - E buona fortuna, dottore. -

Nessuno di noi due si prese la briga di rispondergli, ma tirai il fiato non appena si chiuse la porta alle spalle.

Marco mi fece girare verso di lui tenendomi per le spalle.

- Ti ha fatto male?-

- Assolutamente no. Non è quel tipo di persona. -

- È solo stronzo fino al midollo, quindi? -

- Forse un po' più in profondità rispetto al midollo. -

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