(Maia)MammaDiMerda

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Fu un attimo, ma vidi un cambiamento in lui. Non saprei dirlo nemmeno ora se il cambiamento lo avevo colto nella sua espressione, nel suo atteggiamento o in entrambi. Ma lo avvertii in Marco. Come se una delle tante corde che lo tenevano ancorato al fondo avesse ceduto e ora potesse, di tanto in tanto, mettere il naso fuori dall'acqua e respirare, e se ne fosse reso conto solo in quel momento.

In quello stesso istante i dubbi colsero nuovamente me.

Era un atteggiamento inedito, il mio. Stavo dando il mio consenso a un uomo che conoscevo appena. Sì, aveva salvato mio figlio. Sì, era un professionista. Sì, mi piaceva. E infine no, non aveva l'aria di un serial killer.

Bastava così poco per flirtare così spudoratamente con lui?

Ma in fondo, a chi dovevo rendere conto del mio onore se non a me stessa?

E io, dopo due anni da single incallita, avevo fatto una scelta. Mi ero addentrata nel mio quarto decennio di vita da una quantità di tempo sufficiente a farmi propendere per una relazione basata quasi esclusivamente sull'istinto.

Quindi risposi con convinzione.

- Oh sì. Dovresti. Senza ombra di dubbio. -

Inghiottii a vuoto senza abbassare lo sguardo, cercando in Marco Mancini la nascita di un segnale di sollievo e distensione. Passarono attimi che parvero ore senza che fossi in grado di interpretare i pensieri che probabilmente si stavano scontrando dietro gli occhi azzurri di quel chirurgo. Finchè piegò le labbra in una smorfia combattuta tra la resa e una genuina incredulità, si strinse nelle spalle e liquidò la faccenda con un lapidario ma significativo:

- Va bene. -

Non trattenni una risata, scuotendo la testa.

- Oh Gesù, doc... è una risposta piuttosto scarna, ma mi accontenterò. Come ho sempre fatto con te, anche quando nel tuo reparto avrei voluto fiumi di parole per spiegarmi cosa accadeva a mio figlio e non andavi oltre le... quante? Cinque sillabe? -

- Che pretendi da un uomo di scienza, tesoro? - sentii dire da una voce famigliare.

Nel mio campo visivo ricomparvero J e Christian, spuntando con il bicchiere nuovamente pieno dall'arco a vista della cucina.

Mi chiesi se fino a quel momento si fossero defilati allo scopo di concedere a me e Marco qualche minuto di privacy. Ad ogni modo, ne fui grata. Così come lo fui della loro tempestiva ricomparsa. A preoccuparmi, piuttosto, fu l'ennesimo bicchiere di vino tra le mani della mia amica: eravamo arrivate con la sua macchina.

- Ha scritto manuali da 800 pagine, J, sono certa che qualche parola in più potrebbe anche concederla al suo pubblico, ogni tanto - le risposi, con tono leggero, distogliendo lo sguardo da quello di Marco.

Mi alzai e mi diressi verso la mia amica.

- Facciamo che questo lo finisco io, ok? - proseguii, cercando di rubarle il bicchiere dalle mani. J però non collaborò, allontanando il braccio e facendo il broncio. Era dannatamente uguale a sua figlia Bianca, in quelle occasioni.

- Maia Damiani, non fare la guastafeste! Reggo l'alcool molto meglio di te. -

- Jennyfer Rossi in Cairoli, anche un bambino reggerebbe l'alcool meglio di me. Ma se io non nutro alcun dubbio in merito alla tua capacità di stare alla guida dopo tre o quattro bicchieri di questo buon vino rosso, è possibile che una pattuglia della stradale possa sollevare un paio di obiezioni sulla questione. -

Vidi J alzare le pupille di lato e piegare il viso nella stessa direzione, imitando una bimba che finge di riflettere.

- Non credi che potrei appellarmi a qualche attenuante?-

- Francamente no! - replicai, prendendole il bicchiere e scolandolo in fretta.

J mi guardò sconvolta e infine scoppiò a ridere.

- L'avete vista? - si rivolse a Christian e Marco, che nel frattempo si era alzato e si era unito a noi. - Dovrebbero trovare un nome anche per questo reato! -

- Furto di ubriachezza? - buttò lì, divertito, Marco.

- Furto? Il furto è un reato minore! Questa è usurpazione! Occupazione impropria! Tradimento! Non escluderei lesioni gravi con conseguenze permanenti sulla mia persona! -

J sembrava di buon umore, ma i suoi occhi, con il passare delle ore, si erano fatti più rossi e lucidi. Pensai dapprima alla stanchezza, ma in quel momento mi presi qualche istante per studiare la sua espressione. Notai un leggero tremore del labbro, e aveva iniziato a stringersi le mani l'una nell'altra non appena le avevo preso il bicchiere.

Era stata silenziosa lungo il tragitto che ci aveva portate fino a casa di Marco, ma durante la cena l'avevo vista rilassata e tranquilla. Mi resi conto che forse, impegnata a fare voli pindarici su un futuro di passione da romanzi Harmony con Marco, avevo sottovalutato il suo stato d'animo.

- Potrei farmi perdonare guidando al posto tuo -risposi, con il chiaro intento di porre fine alla serata e scambiare al più presto due chiacchiere in auto con lei.

- Dopo il bicchiere che ti sei appena scolata? - commentò, non del tutto fuori luogo, Christian.

Avvampai all'istate. Aveva ragione. Ma sapevo che se avesse guidato J avrebbe accampato la scusa del buio per concentrarsi sulla strada e racchiudersi di nuovo in quello strano mutismo.

Boccheggiai un paio di secondi in cerca di una risposta mentre lo sguardo della mia amica diventava sospettoso e diffidente nei miei confronti.

- Possiamo riaccompagnarvi noi - disse Marco, con il tono di chi ha appena risolto tutto con tre parole che non possono sollevare nemmeno l'ombra di un'obiezione.

- Non posso lasciare qui la macchina. E non serve, sul serio. Sto benissimo - disse J, lanciandomi uno sguardo infuocato mentre pronunciava l'ultima frase. Avevo perso il controllo della situazione e non sapevo nemmeno il perchè, né di quale cazzo di situazione si trattasse.

Era il caso di spegnere l'incendio.

- Concordo con J - dissi, rassicurando tutti. O almeno così sperai. - Dato che l'ultimo bicchiere è finito dritto nel mio stomaco, credo che potremo tornare a casa senza rischiare né la vita né il sequestro del mezzo. -

Lo sguardo della mia amica si addolcì. Poi Marco fece una proposta inaspettata.

- Beh, io per non rischiare farei passare ancora qualche minuto prima di salire in macchina. Sapete giocare a Scarabeo? -

Vidi J sogghignare. Ero campionessa indiscussa di Scarabeo dai tempi delle medie.

***

- Xerocitosi?? - mi indignai. - No, dico... Xerocitosi? -

- Esiste. -

- Confermo - intervenne Christian, sogghignando.

Io e J ci scambiammo uno sguardo. Scossi la testa, osservando la parola Xerocitosi sul tabellone dello Scarabeo, quasi aspettandomi che le tessere prendessero vita e fuggissero dalla stanza.

- Non vale! - si lamentò lei, ironica.

- Preferisci Xeroderma? - replicò, divertito, Marco.

- Brutti stronzi, la prossima volta giochiamo a Twister!- sbottai, sorridendo.

- Oh oh, qua abbiamo qualcuno che non sa perdere! - mi prese vistosamente in giro Marco.

- Non abbiamo ancora perso, dottore. -

- Esatto, non ancora. -

Con la parola Camptodattilia la mia pazienza iniziò a vacillare. Con Leiomiomatosi iniziò a vacillare quella di J. Con Telangectasia non trattenni uno sbuffo che spostò qualche tessera sul tabellone. Con Zigodattilia J scatenò l'ilarità dei due medici con un commento particolarmente volgare. Quando Christian compose la parola Sfingolipidosi pretesi di verificarne l'esistenza sull'enciclopedia medica di Marco.

Christian decretò la sua vittoria con la parola Talassemia, l'unica malattia riesumata con il gioco di cui io e J non ignoravamo l'esistenza.

- Ragazze, siete un disastro - commentò Marco, guardandoci con un sorriso irriverente.

- Hai perso anche tu! - gli feci notare.

- Sì, ma non malamente quanto voi due. -

- Avete abusato della vostra formazione scientifica - sostenne J, con il naso all'insù e le braccia incrociate sul petto.

Sì, uguale a Bianca. Adorabile.

- Concordo. E stanotte mi girerò miliardi di volte nel letto avvertendo tutti i sintomi di malattie che probabilmente potrei prendere solo cibandomi di animali vivi in una foresta tropicale dopo aver nuotato in una palude infestata di parassiti! -

- Se sono sintomi psicosomatici, Christian frequenta il personale di psichiatria. In caso contrario, ti metto direttamente in contatto con un medico legale per stabilire quale malattia tropicale ti avrà uccisa entro domattina. -

Finsi di restare sconvolta portandomi la mano al petto e spalancando gli occhi.

- Dottore! Contavo sulla sua competenza in materia per salvarmi la vita! -

- Bah! E' un chirurgo Maia - intervenne Christian, indicando il collega con un gesto sbrigativo della mano. - La chirurgia è più simile all'ingegneria che alla medicina. Fidati di me. Io sì che sono un medico! -

- Vogliamo approfondire il tasso di mortalità che vanta il tuo reparto, Christian? - lo provocò, sorridendo, Marco.

- Touché - rispose l'oncologo, con un'alzata di spalle.

Scambiammo ancora qualche battuta, sistemando le tessere nel sacchetto. Quando lo Scarabeo tornò nello scaffale da cui era stato evocato, era chiaro che si era fatto tardi e che io e J dovevamo tornare a casa.

- Bene, ragazzi - esordii. - È stata una serata piacevole, anche se ci avete fatto intenzionalmente bere troppo per poter vincere a Scarabeo senza difficoltà. -

- La prossima volta non sarete così fortunati- proseguì J.

La prossima volta?

Non ero certa che la mia amica avesse colto le implicazioni della frase che aveva appena pronunciato.

- Buona notte - concluse poi.

- Vi accompagniamo alla macchina, fuori è buio - si affrettò a dire Marco.

- Non serve, abbiamo parcheggiato qua di fronte. -

- Probabilmente potete vederci salire in macchina dalla finestra - spiegai.

Christian volle constatare quella possibilità e andò a scostare la tenda, sbirciando fuori.

- la Fiesta scura o la Yaris bianca? - chiese.

- La Fiesta - rispose J.

Un paio di minuti dopo, accanto allo sportello dell'auto, alzammo entrambe lo sguardo e salutammo con la mano le due sagome affacciate alla finestra del terzo piano.

Salimmo in macchina e J mise in chiaro la questione che più la interessava prima ancora di accendere l'auto.

- Christian mi piace, Maia. Ma di questa situazione parliamo domani. -

***

Ma il giorno dopo non ne parlammo.

La mattina restai a letto fin quasi alle dieci. Alle undici andai a prendere i bambini da casa di Ale e li portai da me.

Cercai di non perdere la pazienza nell'aiutare Mattia a fare i compiti. Urlai troppo, come sempre. Per farmi perdonare e pulire la mia coscienza da MammaDiMerda preparai hamburger e patatine fritte per il pranzo. Avevo invitato J chiedendole di portare Bianca e, all'occorrenza, anche Ricky, ma lei declinò dicendo che avevano già un impegno.

Urlai anche per convincere i bambini a lavarsi i denti.

Riuscii a non urlare quando persi ripetutamente a Memory, ma la mia dignità ne uscì gravemente compromessa.

Iniziai a preparare il mio borsone verso le quattro del pomeriggio, mentre Mattia e Lucas costruivano nuovi mondi con i Lego.

Alle cinque arrivò Ale a riprendere i bimbi, e il salotto era ancora invaso da mattoncini colorati.

- Mettete via tutto prima di infilarvi le scarpe -disse loro, ovviamente senza alzare la voce. I bambini sbuffarono, si lamentarono, ma obbedirono seppur svogliatamente e svolgendo un lavoro quantomeno approssimativo.

- Danno più retta a te che a me - commentai, vagamente risentita.

- E' perché li abituo a svolgere sempre i loro compiti, Maia. Non solo ogni tanto. Non solo quando è indispensabile. Non solo quando abbiamo ospiti. Sempre. -

- Mi stai facendo la predica? - gli domandai, sentendomi ormai ben più che risentita.

- No. Espongo i fatti. -

Pensai che Marco Mancini, al suo posto, mi avrebbe fornito una risposta non molto differente. Due cazzo di egocentrici maniaci del controllo, ecco cos'erano. Marco, però, non era il padre dei miei figli e la sua presenza sarebbe necessariamente stata meno ingombrante.

Il pensiero di poter chiudere fuori da casa mia l'ego del mio potenziale futuro partner mi rassicurò immediatamente.

Sospirai guardando i bambini infilarsi le scarpe, il berretto e la giacca trasformando quelle ordinarie attività in qualcosa di estremamente simile a un'avventura all'Indiana Jones.

Alla fine, in un qualche modo, furono pronti.

Li salutai con un abbraccio, ma niente baci che suscitavano l'orrore di Lucas, accompagnandoli fino alla macchina di Ale. Io, ovviamente, non avevo indossato nulla sopra gli abiti di casa. Ai piedi avevo ancora la ciabatte.

- Stasera a che ora finisci lo spettacolo? -

- Scenderemo dal palco un po' prima della mezzanotte. Poi lo sai, tra la doccia e due bocconi con le ragazze faremo almeno le due di notte. -

Vidi il mio ex marito soppesare la mia risposta.

- Ti passa a prendere Jennyfer? -

- Stasera no, vado con la mia. -

- Preferirei che tu non te ne andassi in giro da sola a quell'ora. -

Sbuffai. Ecco un altro argomento di eterna discussione tra noi due.

- Non me ne vado in giro da sola, infatti. Io vado al lavoro e torno a casa. E' cosa ben diversa. -

- Dove vi esibite? Al teatro in centro? -

- No, siamo a Bologna. -

- Ah. -

- E' solo un'ora di strada - puntualizzai.

Vidi palesarsi nel suo sguardo la voglia di chiedermi altro. Non lo incoraggiai a farlo, ma alla fine sputò il suo quesito.

- E ci sarà qualcuno di tua conoscenza tra il pubblico?-

Capii subito dove voleva andare a parare.

- No, Ale. Non prevedo spasimanti o presunti tali tra il pubblico. -

Incassò la risposta con un cenno della testa, apparentemente soddisfatto.

- Ok. Passi da noi domani pomeriggio? O vieni a prendere i bambini in serata? -

- Se non disturbo vengo nel pomeriggio. -

- Resti a cena? -

Mi presi qualche secondo per rispondere.

- Posso dirtelo domani? Ad ogni modo io e i bambini torneremo a dormire qui. -

- Va bene. Allora fammi sapere. -

Ale si allontanò mentre i bambini mi facevano le boccacce dal lunotto posteriore.

Dopo meno di mezz'ora ero in macchina, verso Bologna.

Spazio autrice

Le nostre amichette non perdono il vizio dell'alcol. Beh, come dar loro torto?
E Jennyfer sembra aver preso anche un altro vizio... Quello di flirtare con Christian.
Che dite? Accadranno cose interessanti allo spettacolo di Bologna? Vi va di scoprirlo?

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