(Marco) La mia posizione non è in alcun modo discutibile

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Il pomeriggio fu impegnativo per entrambi: Christian mi mandò le cartelle cliniche di due nuovi pazienti. Già prima di partire avevo pensato di averne troppi da seguire, a quel punto ne ebbi certezza. Sprofondai comunque nello studio dei due casi.

Quando fuori era ormai buio, avevo concluso che la situazione dei bambini non era poi così sconfortante come mi aveva fatto credere Christian. Ne fui sollevato.

Alzai lo sguardo dal mio monitor per scoprire che Maia, invece, era ancora parecchio assorta dal suo portatile. Trovai sorprendente che una ballerina potesse lavorare così assiduamente con un Mac.

Abbandonai la mia postazione e mi sedetti accanto a lei, incuriosito.

- Che fai? - le chiesi.

- Non salvo la vita a nessuno - disse, stringendosi nelle spalle e senza staccare gli occhi dal monitor.

- Questo non puoi saperlo. -

Maia si voltò per regalarmi uno dei suoi sorrisi. La baciai e poi sbirciai il Mac.

Stava visionando le foto di un marca di integratori per cui la crew aveva posato qualche giorno prima, mentre ero a Milano. Ma aveva almeno altre tre finestre aperte.

- Come sono venute?- le chiesi.

- Non me ne intendo granché. Ma credo mi abbiano ingrandito le tette con photoshop. Guarda che roba! -

Ingrandì il particolare di uno degli scatti.

- Forse è solo un gioco di luci e ombre. I fotografi ci sanno fare. -

Maia scoppiò a ridere.

- Bel tentativo, doc. -

In effetti Maia era meno prosperosa nella realtà. Decisamente meno prosperosa.

- Lo scopo degli integratori è quello di ingrandire le tette? -

- No, sono ricostituenti, principalmente. -

- Allora rassegnati al marketing, almeno non si vendono per quello che non sono. -

- Ma vendono me, per quella che non sono. -

- Puoi impuntarti sui ritocchi fotografici? -

- Non lo so, forse avremmo dovuto fare chiarezza su questo punto prima di firmare l'accordo. - Si prese un attimo per riflettere. - Beh, credo che a breve sarà lo staff di Falchi a pensare per me a questi cavilli. -

Liquidò la questione con un'alzata di spalle.

- E nelle altre schede? A cosa stai lavorando? -

- Abbiamo posato anche per un altro catalogo, stavo aprendo i file. In realtà volevo rivedere tutte le coreografie ma mi pianto sempre, Marco. Non riusciamo a scegliere la terza coreografia. Mi dai un parere tu? Le foto erano solo un pretesto per rimandare la decisione. -

- Posso vedere anche le foto? Posso fornire un parere più autorevole su quelle, credo. -

Maia mi guardò sospettosa.

- Perché vuoi vedere le foto? -

Risposi con una smorfia disinteressata, come se la cosa non mi importasse poi più di tanto.

- Marco, Marco, Marco... - cantilenò Maia. - Qua abbiamo un chirurgo preoccupato per la merce esposta? -

Forse preoccupato non era la parola giusta. Indispettito? Ma quel corpo non era mio, senza contare che sapevo da un pezzo che lavoro faceva Maia.

- Ho motivo di essere preoccupato? - chiesi, al solo scopo di evitare di rispondere alla domanda.

- No. Sono foto ed è parte del mio lavoro. Se vuoi le guardiamo insieme, ci siamo tutte, come sempre. -

- Ed è un catalogo di...-

- Bikini - concluse con prontezza Maia, ghignando.

- Bikini? In questa stagione? -

Il ghigno divenne una risatina. Si stava divertendo, la piccola bastarda.

- In Australia è estate, doc. E comunque questo è il catalogo della nuova collezione. Allora? Vuoi vederlo? O passiamo alle coreografie? -

- Foto. Decisamente prima le foto. -

Maia parve più divertita che a disagio. Anzi, direi esclusivamente divertita e nient'affatto a disagio. Aprì il file e vidi decine di anteprime sullo schermo, tutte insieme.

- Ma siete su una dannata spiaggia? -

- Ma figurati. È tutto artificiale. Avevamo uno sputo di sabbia ai piedi e un telo verde dietro. Ma ci è capitato di posare su spiagge bellissime sulle nostre isole. Con tanto di soggiorno pagato. -

- Ho sbagliato mestiere. -

Mi baciò sulla tempia, con le labbra piegate in un mezzo sorriso.

- Clicca questa -le chiesi, indicandone una che mi pareva ritraesse lei e Jennyfer. Avevo ragione. Lo schermo si riempì della loro allegria espressa in uno sguardo complice e brioso. Era una foto deliziosa, nella quale Jennyfer, di poco più alta di Maia, le sfilava un berretto con visiera dalla testa. Non c'erano ritocchi in quella foto, o comunque nulla che io potessi cogliere. Maia era solare in un bikini fucsia e Jennyfer splendente in uno verde smeraldo.

- Ti piace? - mi chiese.

- Molto. -

- Anche a me. Jennyfer sta recuperando un po' di buon umore. Lunedì vado con lei a vedere un appartamentino non lontano da casa mia adatto alle sue tasche e alle sue esigenze. C'è posto anche per Bianca. E in assenza di Bianca, qualche vuoto lo riempie Christian. -

Mi schiarii la voce. Christian mi preoccupava. Supposi che anche io dovevo aver preoccupato lui, anche se in misura diversa, all'inizio della mia storia con Maia.

Inizio che, tra l'altro, era ancora in corso.

Ma J stava ancora preparando le carte per la separazione, la sua era una situazione ancora in evoluzione e forse Christian non era la persona più indicata in un momento così delicato.

Maia dovette aver indovinato qualcuno dei miei pensieri.

- Stanno bene insieme, Marco. J sa bene con chi ha a che fare, ci sta andando con i piedi di piombo. Anche lui. Fa un po' il sostenuto figlio di puttana, ma sotto sotto si sta ammorbidendo. -

Aggrottai le sopracciglia, decisamente poco convinto. Christian non si sarebbe ammorbidito nemmeno infilandolo in un silos pieno di acido.

- Non ci contare troppo, Maia. Spero non facciano un macello, quei due. -

- Lasciali stare, sono carini insieme. -

Carino? Christian? Gesù.

- Quando ti saresti fatta quest'idea sdolcinata della nuova inedita coppia? -

- È venuto a prenderla una volta dopo l'allenamento. E il giorno dopo è rimasto a guardare una delle coreografie. Si vede che non è abituato a concedere grosse attenzioni a una donna. Ma ci mette del suo. È molto apprezzabile. -

- Devo scambiare due chiacchiere con Christian - commentai, divertito.

- Non far danni, mi raccomando. -

- Promesso. -

- Vuoi vedere le altre foto? -

Maia tornò alla cartella con le anteprime.

- No. Guarderò il catalogo quando sarà pronto. Ho già visto quella che credo essere la foto migliore. -

- Passiamo alle coreografie? -

- Passiamo alle coreografie. -


***

- Guano Apes, Open your eyes. E senza ombra di dubbio - sentenziai, per la terza volta, un'ora e mezza dopo.

Non mi ero schiodato da quella convinzione nemmeno per un secondo, eppure Maia continuava a cercare il modo di smontarla. Ci teneva, com'era ovvio, a portare la performance che con maggiori probabilità poteva offrire alla crew la vittoria.

Ma mi era parso lampante già dopo la prima visione: l'idea del naufragio sulle note di quella canzone graffiata mi aveva conquistato. Non capivo i dubbi di Maia: secondo me già così, senza nessuna scenografia a supporto, era una coreografia riuscitissima.

Avevo apprezzato anche l'altra in lizza, ma impallidiva se confrontata con quella dei Guano Apes.

- Sicuro? Abbiamo già gli Offspring, non saremo troppo ripetitive? -

- No, per niente. Sugli Offspring avete scelto acrobazie molto più aggressive, dal carattere decisamente impetuoso. Ma con Open your eyes portate la disperazione, il panico, la sensazione di essere travolte e di non avere i mezzi per farcela. È un'esibizione molto toccante, nonostante la voce graffiante della band. Forse dal punto di vista tecnico è più complessa quella su Ricky Martin... -

- Confermo la tua impressione. Quella coreografia ha tempi molto stretti, è davvero complessa.-

- Ok, ci credo. Le altre due che già avete scelto da portare alla serata sono tecnicamente impegnative quanto quella di Ricky Martin? -

- Una è forse un tantino più difficile. -

- Bene, allora perla terza coreografia puoi puntare sull'emotività. Fidati, Open youreyes. -

Il volto di Maia si distese in un'espressione di compiaciuta rassegnazione.

- Mi fido. Dò la notizia a Jennyfer. -

Maia andò a prendere il cellulare per chiamare l'amica. Io ripresi a guardare la performance della crew.

Nelle movenze dei teli che ora rappresentavano onde furibonde e ora un vento implacabile, nei movimenti sinuosi dei corpi delle ragazze e nelle espressioni di profonda partecipazione alla danza presenti sui loro volti, colsi l'essenza del talento di Maia e delle sue ballerine.

Quello non era solo spettacolo: era arte, e non era del tutto vero che non salvava vite.

***

Preparai la cena mentre Maia parlava incessantemente con J al cellulare. La sentivo confabulare sugli accostamenti cromatici di teli e costumi, sulla disposizione della scenografia e sulla distribuzione degli spazi sul palco. Aveva sparpagliato schizzi e appunti sul tavolino del salotto e quindi apparecchiai in cucina.

Improvvisai un paio scaloppine al limone e qualche pomodoro, certo che Maia prediligesse una cena leggera.

Quando l'interminabile telefonata con Jennyfer conobbe la sua fine con un saluto appesantito da uno sbadiglio, era già tutto in tavola.

Maia non si scompose nel trovare la cena pronta, si sedette e apprezzò la cena come se quel quadretto appartenesse alla nostra quotidianità.

Quando mi convinse a preparare le mie cose e a seguirla da lei, pensai che la giornata era stata particolarmente lunga, e che dormire nel suo letto potesse essere un finale interessante e un inizio carico di positività per il weekend alle porte.

Non andò secondo i piani.

Quando mi sedetti sul divano a casa di Maia crollai in un sonno profondo.

Mi svegliò lei, non so quanto tempo dopo. Aveva i capelli bagnati e indossava una tuta che avrei definito sfatta più che comoda.

- Ehi, doc, mi sa che è ora che ti metta a nanna. -

Gli occhi arrossati e due occhiaie scure erano buoni indizi che una certa stanchezza era calata anche sul corpo di Maia.

Ma il suo cellulare iniziò a squillare prima ancora che potessi alzare il culo dal divano. Vidi subito l'agitazione farsi largo nell'espressione di Maia, che cercò convulsamente il telefono svuotando la borsa. L'agitazione divenne preoccupazione quando lesse il nome del suo ex marito sul display.

- Pronto! - rispose, tesa.

Anche il mio battito cardiaco era accelerato improvvisamente. Visto l'orario, ero più propenso a temere un imprevisto che una telefonata a sfondo romantico.

Non sentivo la voce di lui ma vidi subito gli occhi di Maia saettare verso i miei mentre si portava una mano alla bocca, turbata.

- Ha dolore? Come l'altra volta? - chiese.

Mi resi conto che Lucas non stava bene e schizzai in piedi, affiancandomi a lei.

- Ha vomitato tre volte e si lamenta ma non sembra un dolore lancinante come mesi fa - ripeté, guardandomi, per coinvolgermi e avere il mio parere.

- Colore del vomito- la imbeccai.

- Di che colore era il vomito? - Dopo qualche attimo aggiunse, chiaramente in risposta a un quesito posto dall'ex marito: - Sì, è qui con me. - Mi strinse il polso con una mano, forse per scaricare la tensione. Poi mi trasmise le informazioni ricevute dall'altro capo del cellulare: -Alla prima ha vomitato la cena. Poi roba gialla e trasparente. -

- Niente di verde? -

Maia ripeté la domanda al suo ex marito. - No, niente di verde - mi confermò.

- L'ultima volta che ha scaricato l'intestino? -

- Ale, oggi è si è liberato? Ha fatto la cacca? -

Le si formarono due profonde rughe tra le sopracciglia aggrottate. La sua presa sul mio polso divenne quasi ferrea.

- Due volte - mi disse, quasi confortata, conscia che quella era una notizia più che buona.

- Ok, non sembra nulla di allarmante, ma se mi porti lo visito. -

- Ale, stiamo arrivando per sicurezza, ma i sintomi sono rassicuranti. -

Interruppe la chiamata senza attendere una risposta. Le presi il viso tra le mani per cercare di catturare tutta la sua attenzione.

- Non c'è motivo di cedere al panico, ok? Adesso andiamo ad assicurarci che si tratti di un semplice virus. L'hai avuto anche tu, ricordi? -

- Ma è passato troppo tempo, non gliel'ho attaccato io! -

Iniziò a piangere. Di nuovo.

- No, ma Lucas va a scuola, lo avrà preso lì. Ora andiamo. -

Maia annuì, si infilò un paio di scarpe da tennis e una giacca a vento troppo leggera per la temperatura che sapevo avremmo trovato fuori. Mi preoccupai immediatamente per quei capelli troppo umidi che non ebbe nemmeno il buonsenso di legare e coprire con un cappello. Lasciai perdere: se c'è un esemplare di essere umano irragionevole è proprio il genitore impanicato.

Maia guidò senza dire una parola per pochi minuti: la casa del suo ex marito distava davvero poco.

Dovetti correrle dietro quando parcheggiò e si diresse verso una graziosa trifamigliare.

Trovammo sia il cancello che la porta d'ingresso aperti.

Una volta dentro vidi subito il piccolo Lucas seduto sul divano circondato da asciugamani e con una bacinella sulle gambe.

Non dissi nulla e mi avvicinai a lui. Tutto il resto del mondo scomparve. Eravamo io e Lucas.

- Ciao dottore -mi salutò, con la voce flebile e sfinita.

- Ciao Lucas. Mi hanno detto che non stai bene. -

- Ho vomitato. Mi sento tanto stanco. -

Mi voltai a guardare in faccia il padre del mio paziente.

- Quando ha vomitato l'ultima volta? -

- È passata meno di mezz'ora - rispose. Non persi nemmeno un secondo a studiare il suo sguardo. Avrei avuto altre occasioni per capire con chi avevo a che fare. Tornai a girarmi verso Lucas.

- Lucas, adesso sposto la bacinella, ok? Se ti senti male me lo dici, se non fai in tempo a dirmelo non devi preoccuparti. -

- E se ti sporco? -

Gli sorrisi, perché rassicurare i bambini rende i controlli e le visite più semplici: i pazienti risultano decisamente collaborativi se rassicurati con regolarità.

- Non fa niente, sono abituato, sai? -

Spostai la bacinella e lanciai un'occhiata al contenuto. C'era acqua mista a vomito ma non mi parve di vedere della bile. Bene.

Tastai l'addome di Lucas, che si lamentò appena. Era trattabile. Ancora una volta, bene.

Sentii la fronte e non c'era segno di febbre.

Restituii la bacinella al bambino che, diligentemente, se la posizionò sulle gambe.

- Te lo ricordi quanto ti faceva male la pancia prima che ti operassimo, Lucas? -

- Me lo ricordo eccome! - rispose, convinto, seppur indebolito dalla condizione.

- Ti sembra di avere un mal di pancia simile? Senti che il dolore sta aumentando? Senti degli spasmi forti e improvvisi? -

- Non è un mal di pancia come quello dell'altra volta. Però non lo so cosa sono gli spasmi, dottore. -

Lo rassicurai con un buffetto sulla testa.

- Ti vengono delle fitte improvvise? Magari più forti del solito? -

- No. Mi sa che devo vomitare di nuovo...-

E accadde. Acido, ma niente bile. Rimasi vicino a Lucas, che comunque non parve spaventato. Rassegnato, quello sì. Finì in pochi secondi.

- Meglio? - gli chiesi.

- Non tanto -rispose, sincero.

Gli accarezzai la testa e mi alzai, girandomi verso i genitori del paziente. Tornai a rendermi conto che uno dei genitori era Maia solo quando la vidi: mani spremute contro al bocca, occhi spalancati, lacrime sulle guance e capelli non ancora asciutti. Avrei voluto abbracciarla e rassicurarla ma non era quello il contesto più adatto.

Vestii i panni del medico e in quella veste parlai a entrambi.

- Non c'è niente che indichi una recidiva. Sono quasi certo sia un virus, la stagione è quella. Ci sono stati dei casi nella sua classe? -

- Controllo sul gruppo whatsapp dei genitori - rispose Maia.

- Potevi guardarci prima - le fece notare il suo ex marito. Né io né lei sprecammo il nostro tempo offrendogli una risposta.

- Una mamma ha scritto che la bambina sta male, ha vomitato oggi pomeriggio. -

Maia ci aggiornò con sollievo.

- Quando l'ha scritto? - chiese lui.

- Un paio d'ore fa.-

- E te ne sei accorta solo adesso? -

- Ho silenziato il gruppo - si giustificò Maia, imbarazzata e schiacciata dal senso di colpa.

Lui la guardò con rimprovero. Mi convinsi in quell'istante che tra quei due non avrebbe mai più funzionato. Lui poteva illudersi quanto voleva, poteva fornirle una cuccia comoda per ogni sua crisi emotiva, e forse lei avrebbe anche trovato un rifugio accogliente per qualche istante. Ma era, appunto, solo passeggero. La loro storia aveva lasciato una scia, ma era solo il solco di qualcosa che era andato avanti, lasciandoli indietro. Per quanto luminosa, quella scia non portava da nessuna parte.

Sei al capolinea amico, puoi scendere a questa fermata. Maia è salita sul mio treno.

Maia subiva i suoi rimproveri, i suoi sguardi di disapprovazione. Era disagio, quello che provava davanti a lui. Erano stati insieme... quanto? Nemmeno lo sapevo con precisione. Ma lui riusciva ancora, e troppo spesso, a farla sentire fuori luogo. Maia, che si sarebbe sentita a suo agio anche in un covo di giocatori di poker, che avrebbe socializzato anche con un pugno di sassi, non poteva sprecare il suo brio con un uomo che non mancava mai di farle notare le sue distrazioni.

Andai in suo soccorso, ma con discrezione.

- Posso tenerlo sotto controllo stanotte - proposi. Lui non comprese subito e fu Maia a mettere in chiaro l'implicazione della mia offerta.

- A casa mia. Potremmo portarlo a casa mia. Ti terrò aggiornato Ale, e sarà sotto stretta osservazione. -

Lo sguardo supplichevole di Maia mi innervosì. Non era una donna così piena di insicurezze, ma davanti al suo ex marito sembrava dover chiedere il permesso anche per respirare. Supposi che doveva aver vissuto la separazione come una liberazione.

Lo sguardo di lui si posò su di me, e vi rimase per più di qualche istante. Non mossi un muscolo e non mi fu per niente complicato non abbassare il mio. Ero il medico curante di suo figlio e la mia posizione non era in alcun modo discutibile. Detto questo, avevo l'inamovibile convinzione di poter sostenere il suo sguardo anche nella veste del nuovo partner della sua ex moglie. Ma di nuovo, non era quella l'occasione per dimostrarlo.

Avvertii la tensione di Maia, che si liberò con un sonoro seppur breve respiro, non appena lui annuii con la testa, dando il suo benestare. Più a me che a lei, a essere onesti, dato che non la guardò mentre acconsentiva.

Lasciai che fosse lui a prendere in braccio il bambino e ad accomodarlo in macchina. Accanto a Lucas si sedette Maia, cercando di gestire asciugamani e bacinella per le emergenze. Presi posto alla guida dell'auto di Maia.

- Ti faccio sapere come procede - fu l'ultima frase con cui Maia si accomiatò dal suo ex. La totale assenza di un vero saluto da parte di lei non sfuggì al mio ego soddisfatto.

Partimmo e Lucas non vomitò mai durante il breve tragitto fino a casa della sua mamma.

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