(Marco) Non farti pregare

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Le ragazze arrivarono puntuali, con i capelli raccolti, entrambe vagamente profumate di cocco, con indosso i soliti leggins e le solite felpe spaventosamente grandi sui loro corpi. Avevano tanto in comune, comprese le occhiaie scure sotto gli occhi e un sorriso splendente sul viso stanco.

In quelle settimane i loro corpi si erano trasformati e non potei non notare il cambiamento anche su Jennyfer. Erano sempre state toniche, ma avevano oggettivamente acquisito una nuova solidità.

E vista la notevole solidità delle loro natiche, quella sera fui grato dell'esistenza di un indumento comodo e rivelatore quale è il leggins.

Abbracciai Maia e provai, come sempre, quella piacevole sensazione di calore famigliare. Mi baciò con tenerezza sulla bocca e io la baciai tra i capelli. Qualcuno era ormai bianco, ma non gliel'avrei mai detto: la sua incapacità di invecchiare con serenità era più che evidente.

Nel girarmi per tornare in cucina vidi Christian sorridere a Jennyfer mentre le sistemava una ciocca ribelle di capelli dietro un orecchio. Lo avevo visto sorridere in molti modi e con molte persone in quegli anni, ed era sempre una smorfia studiata e finalizzata a uno scopo: suscitare rabbia, desiderio, accondiscendenza, speranza, partecipazione. In quell'occasione sorrise perché non poté farne a meno: era felice.

Maia mi seguì in cucina.

- Ti aiuto, doc. -

- Patatine, birre, pop corn e acqua. Credo di potercela fare da solo. Vai sul divano. -

Mi abbracciò da dietro, si mise sulle punte dei piedi e mi baciò sul collo.

- Credo che un paio di braccia in più possano farti comodo vista la quantità di scodelle e bottiglie che hai preparato. -

Le sorrisi e le allungai le birre.

- Hai ritirato i referti del prelievo? - le chiesi.

- Sarebbe stato difficile dimenticarlo, Marco. Oggi me lo hai ricordato con una decina di messaggi su whatsapp. -

- Brava ragazza. Come sono? -

- Li ho infilati nella borsa, interpretali tu. Io intanto porto la roba di là. -

Presi la busta e niente di quello che lessi mi stupì: il pallore di Maia era stato rivelatore già parecchi giorni prima.

- Allora? - mi chiese lei, distrattamente, mentre tornava per il secondo giro di bicchieri e scodelle.

- La tua anemia ha superato il livello "preoccupante" e passa direttamente allivello "critico". Le condizioni dei tuoi globuli rossi sono tali da far pensare a una microcitemia, ma suppongo tu non rientri in questa condizione congenita: lo avresti scoperto alla prima gravidanza. Sei carente anche sul fronte vitamine. Un quadro generale sul quale, comunque, possiamo intervenire. -

Maia mi fissava con le sopracciglia sparate in alto e un sorrisetto divertito a incresparle le labbra.

- Non hai ascoltato una parola, vero? -

- Falso. Ti ho ascoltato fino a "livello critico". Poi mi si è annebbiato il cervello. Forse perché sono anemica? -

- Forse perché sei una carogna? -

Mi fece la linguaccia e tornò in sala.

Mangiammo una quantità esagerata di patatine accompagnata da una quantità smodata di birra. Nessuno parlò per quasi un minuto quando spensi il TV al termine dell'ottava stagione di Scrubs.

- È il finale perfetto - esordì poi Maia con enfasi. - Con la F maiuscola. Il Finale con la F maiuscola della Serie con la S maiuscola. Dovreste essermi grati per aver condiviso con voi questa grandiosità. -

- C'è anche la nona stagione, l'ho vista nel catalogo... - le feci notare.

Maia spalancò gli occhi e la bocca esibendo tutto il suo indignato e ironico stupore.

- Non essere blasfemo, doc! La nona stagione è... è... J aiutami tu, che puoi capire! -

- È una merda -concluse lei, ridendo.

- Io voglio vederla- disse Christian.

- Anch'io - mi accodai.

- Perché volete rovinare la poesia? - chiese con disperato trasporto Jennyfer. - Avete appena assistito alla massima espressione della perfezione televisiva, vedere la nona stagione è come mettere la panna nella carbonara! -

- A me piace la panna nella carbonara - disse Christian, facendo spallucce.

Maia fece una smorfia disgustata. - Allora diciamo che è come mettere l'ananas sulla pizza. E se ti piace anche questo ti sbatto fuori di casa anche se non è casa mia. -

-L'ananas sulla pizza è solo una leggenda, come boogeyman: tutti ne parlano solo per spaventare il prossimo. -

- Allora fingi che la nona stagione non esista, - riprese Maia - che sia una leggenda per spaventare gli sceneggiatori delle serie televisive che pensano che gli spin off siano una buona idea, ok? -

- Forse mi hai convinto. Forse. -

Una mezz'ora dopo le ragazze cominciarono a dare evidenti segni di stanchezza e Christian si offrì di portare a casa Jennyfer, che era arrivata in macchina con Maia.

Lo vidi metterle un braccio intorno ai fianchi, in un gesto protettivo e tutt'altro che provocante: era ormai cotto a puntino anche lui. Erano belli insieme. Mi chiesi se io e Maia facevamo lo stesso effetto.

***

- Scordatelo, Maia -

Mi guardò con il broncio, poco intenzionata a togliere la mano dai miei pantaloni.

-Devi dormire almeno sei ore. Anzi, sarebbero sei ore scarse anche se tu ti addormentassi in questo istante. Quindi, scordatelo. -

Allontanò la mano dalla mia patta ma avvicinò la bocca alla mia.

-Oh andiamo, doc... dormirò di più domani...-

Passò la lingua sulle mie labbra e fui grato che non potesse più sentire con la mano quello che stava accadendo sotto i miei jeans.

- Non è vero, e lo sai. Sei stanca, Maia. Ti stavi addormentando sul divano insieme a Jennyfer. Hai bisogno di riposo. -

Appoggiò la bocca al mio collo e sentii un brivido lungo la schiena mentre il suo alito mi scaldava la pelle.

-No. Io ho bisogno di qualcos'altro...-

Diedi fondo a tutta la mia forza di volontà per scacciare le decine di pensieri sconci che si erano impossessati dei miei neuroni maschi. Presi il volto di Maia tra le mani e la allontanai dal mio eccitatissimo collo. Fino a un minuto prima ignoravo la possibilità di avere un collo eccitabile. A quanto pareva la mia laurea in medicina non aveva spalancato le porta a tutte le inaspettate capacità dell'umana anatomia.

- Sei un guastafeste. Uno sfrontato guastafeste. Un antipatico e sfrontato guastafeste. -

Sbuffando allontanò il suo corpo caldo dal mio. Era scocciata e lasciò il divano per dirigersi direttamente in bagno.

Sorrisi, un po' per la frustrazione di averla convinta troppo in fretta e un po' per la soddisfazione di aver fatto la cosa giusta per lei.

Mi cambiai per andare a letto, ma non sarei andato senza Maia, che però non sembrava intenzionata ad uscire dal bagno. Dal quale, tra l'altro, non proveniva nessun rumore.

Mi preoccupai e bussai.

-Maia? Tutto bene? -

-Mica tanto... -

-Ehi, che succede? Fammi entrare. -

Aprì la porta e mi si presentò con addosso una sottoveste blu scuro in tessuto traforato e un reggiseno a balconcino che avrebbe risvegliato anche un morto.

Non provai nemmeno più a tenere insieme i pezzi della mia frantumata forza di volontà.

- Sei una grandissima stronza... -

Maia si illuminò con un sorriso compiaciuto. Decisi di spegnerlo immediatamente con un bacio invadente. La presi per un braccio e la feci appoggiare alla parete del corridoio perché sotto la pressione della mia voglia di lei avevo paura di farla cadere anche solo introducendole la lingua nella bocca.

Infilai le mani sotto il tessuto e la mano di Maia mi bloccò. Mi si spezzò anche il fiato.

Davvero una grandissima stronza.

- Arriviamo almeno fino al letto, doc - mi sussurrò all'orecchio, e sentii il suo tono vagamente di sfida pizzicare il mio ego. Il mio ego, ovvero il vigliacco che in quell'istante si era rifugiato in un angolo ben nascosto della mia virilità. Decisi di portarlo allo scoperto con un calcio nel culo.

- Senti, piccola e sexy canaglia. Se ti porto a letto non sarà per una cosa breve. Non solo non dormirai nemmeno sei ore, ma sentirai suonare la sveglia senza aver avuto la gioia di abbandonarti a qualche minuto di sonno. -

La sua risata cristallina uscì soffocata dalla bocca che teneva premuta contro lamia gola.

- Senti, grande e virile maschio alfa... adesso hai elevato le mie aspettative e voglio le prove di tutta questa capacità atletica che vai vantando in giro per casa...-

Grandissima, grandissima stronza. Già.

La portai quasi di corsa in camera e la distesi sul letto divorandola di baci prepotenti e inarrestabili.

Maia aprì la gambe accogliendo con calore la mia mano che, stavolta, non incontrò ostacoli né divieti.

Spostai di lato il tessuto morbido degli slip e finalmente le mie dita ritrovarono la piacevole e ospitale intimità di Maia.

Da quanto tempo non facevo l'amore con lei? Non meno di due settimane. Era stata un'impresa titanica lasciarla dormire accanto a me in tutte quelle notti senza cedere alla voglia di abbracciarla e accarezzarla; ma sapevo di dover essere io a mantenere un minimo di autocontrollo, Maia si scioglieva facilmente sotto il mio tocco.

Avevo così voglia di lei che dovetti calibrare i gesti per evitare di far finire tutto in dieci minuti: sarebbe stato un peccato sfilarle quel gioiellino blu notte per un prestazione così poco celebrativa.

Maia, invece, non calibrava un bel niente: si contorceva sotto di me e il suo abbandono al piacere era, come di consueto, assoluto. E non c'era niente di più appagante di quello spettacolo di carne e delizia che bramava qualcosa di più, da me.

Persino il pallore del suo viso si accese di un colore rosato: era bellissima.

Sfilai la mano dagli umidi lidi di Maia per liberarla dalla sottoveste.

Aveva fretta, la ragazza, e mi aiutò sebbene non ce ne fosse alcun bisogno.

Frenai i suoi voraci istinti premendole i polsi sopra la testa, prestando attenzione a non fare troppa pressione con le mani e a non farle male.

- Ti ho detto che non sarebbe stata una cosa breve - le dissi in un orecchio. Maia mugugnò la sua rimostranza e spinse il bacino contro il mio a dimostrazione del suo disaccordo nell'allungare oltre i tempi del raggiungimento dell'apice del nostro piacere.

Non la assecondai.

Nell'ammirarla nella penombra della camera cercai di ricordare se le avessi mai detto che il blu scuro era un colore che mi piaceva particolarmente indossato da una donna. Indossato da lei era una favola. Mi guardò e vidi una muta supplica nelle sue pupille lucide: pensai che sfilarle quegli slip pregiati sarebbe stato quasi un peccato.

Il suo ventre piatto e pallido spiccava come una luna piena incorniciato dall'intimo scuro. Era troppo presto, troppo presto per liberarla da quei pochi centimetri di stoffa che valorizzavano a pieno il suo corpo.

Scesi a baciarle la pancia pur sapendo che il contatto con la barba le era difficile da sopportare, ma era una tentazione alla quale non avevo intenzione di resistere. Non appena la sfiorai ritrasse i muscoli addominali con un lamento che aveva annientato il confine tra il fastidio e il godimento. La trattenni per i fianchi affondando la bocca e la lingua nella sua pelle e nel suo ombelico: la sentii irrigidirsi e stringere le lenzuola tra le dita: doveva essere una tortura insopportabilmente piacevole per lei.

Più ritraeva i muscoli in un riflesso condizionato per sfuggire al tormento, e più desideravo nutrirmi di quel contatto.

Quando decisi che la bilancia si stava spostando più sul tormento che sul piacere abbandonai il suo ventre e mi dedicai con altrettanta soddisfazione al suo seno, ancora prigioniero del reggiseno. A malincuore dovetti slacciarglielo per poter agire in piena libertà. Maia non parve affatto dispiaciuta di liberarsene, e lo lanciò senza riguardo ben al di là del letto.

Non gustavo il sapore della pelle di Maia da troppi giorni, e sapevo che non mi sarei stancato di lì a poco. Ad avere una fretta quasi ingestibile, era lei.

Lei che, con sfrontata insistenza, inarcava la sua schiena slanciata per avvicinare il suo bacino al mio, in un esplicito invito che con altrettanta ostinazione declinavo in favore di un minuzioso studio del resto del suo corpo.

La illusi per qualche secondo quando mi sfilai la maglietta, ma lo feci solo per sentire la sua pelle sulla mia: non mi tolsi altro.

- Oh, doc, non vorrai farti pregare... non ce la faccio più. -

Le sorrisi, la baciai sulla fronte, le passai la mani tra i capelli.

Quando le mie dita tornarono a spostare il suo slip avvicinai la bocca all'orecchio di Maia.

- Te la sei cercata, stronzetta. -

Affondai le dita dentro di lei e Maia ebbe il suo primo orgasmo di lì a pochi minuti. Non che fosse quella, la mia intenzione iniziale, ma mi arresi all'evidenza di non poter davvero avere l'assoluto controllo su tutto ciò che riguardava il suo piacere.

L'ingordigia di Maia, però, non conobbe pace. Voleva di più.

Quando decisi che anche io non potevo più aspettare entrai dentro di lei con delicatezza e piacevole lentezza. Era un momento che mi piaceva prolungare il più possibile. Poi, non ce la feci più: iniziai a muovermi dentro Maia e il suo piacere si fuse con il mio, portandolo a livelli esponenziali.

Non chiusi gli occhi perché vedere Maia sopraffatta da tutto quello che potevo darle rendeva ogni spinta un'ondata di infinito piacere e profonda soddisfazione.

Ebbi il mio orgasmo con gli occhi aperti, mentre Maia si aggrappava al mio corpo quasi temesse di poter essere portata via da una corrente impetuosa. Ebbi il mio primo orgasmo quando Maia, a occhio e croce, ne aveva già avuti non meno di due. Ne seguirono altri. Il giorno seguente sembrava essere infinitamente lontano.

***

Ma il giorno seguente arrivò poche ore dopo, annunciato alle 4 in punto dal suono della sveglia. Maia non si era nemmeno presa la briga di indossare qualcosa ed era ancora nuda tra le mie braccia, la testa appoggiata alla mia spalla.

Non si mosse e spensi la sveglia.

Che suonò nuovamente alle 4.10.

Poi alle 4.20.

E alle 4.30.

La spensi per la quarta volta ma spostai con delicatezza il corpo di Maia dal mio. Lei se ne lamentò apertamente, poi si girò dall'altra parte. Sorrisi ma insistetti.

- Maia, farai tardi in palestra. -

Si girò a pancia in su, sbuffando disperatamente. Si stropicciò vigorosamente gli occhi e con uno slancio inaspettato si alzò dal letto.

L'ultima cosa che vidi prima di riaddormentarmi fu il suo sedere tondo e... come lo avevo definito la sera prima? Ah sì... solido.

**** FINE PRIMA PARTE******

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