(Marco) Solo se è reciproco

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Dormii poco, ed era la prima notte tormentata accanto a Maia. D'altra parte in quell'occasione non sarebbe stato in alcun modo possibile scacciare i miei fantasmi.

Anche Maia, con l'avvicinarsi del mattino, iniziò ad agitarsi nel sonno. Probabilmente le stava risalendo la febbre.

Ricominciò a lamentarsi del freddo prima dell'alba, quando non era ancora del tutto sveglia.

Mi sfilai da sotto il suo corpo troppo caldo e le preparai un bicchiere d'acqua e una tachipirina. Misi il tutto su un vassoio che trovai dopo aver aperto una mezza dozzina di scaffali in cucina, accompagnando la pastiglia a un paio di fette biscottate.

Quando tornai incamera Maia era seduta sul letto, con un cuscino sotto la schiena, il viso più pallido del lenzuolo, gli occhi arrossati e due occhiaie profonde.

- Ho fatto troppo rumore - ammisi. - Ma non posso non chiedermi se hai scelto deliberatamente di nascondere i vassoi in anfratti misteriosi e oscuri della tua cucina. -

Un sorriso tirato diede un po' di luce al suo viso provato da una notte faticosa.

- Sei stato bravo a trovarne uno. Io non sapevo nemmeno di averlo. -

Le appoggiai il vassoio e il suo contenuto sul comodino. Sembrava incerta.

- Non so se ho fame- mi spiegò, con una mano sullo stomaco.

- Prova. Anche solo un paio di morsi. Meglio non assumere medicinali a stomaco vuoto. -

La osservai masticare e inghiottire mezza fetta biscottata.

Seguì subito l'assunzione della tachipirina.

Poi si afflosciò sul cuscino come se avesse fatto una maratona.

Le tastai la fronte: era calda, ma la febbre non era alta quanto la sera prima. Da lì a un paio d'ore il principio attivo sarebbe stato al suo apice e Maia sarebbe stata molto meglio.

- Vai a casa Marco, mica puoi presentarti in ospedale in queste condizioni... -s'interruppe, forse fuorviata dalla mia espressione poco convinta. -Non fraintendermi eh...sei comunque il primario più figo del reparto e forse dell'intera struttura. Ma qualcuno potrebbe pensare che sei reduce da qualche festino illegale. -

- Sono in ferie. -

- Tutto il giorno? -

- Tutta la settimana. -

Maia mi guardò, sembrava volermi studiare, come se avessi scritto sulla faccia la risposta ai suoi interrogativi. Mi avvicinai e la baciai sulla fronte. Lei mi prese il viso tra le mani impedendomi di allontanarmi troppo.

- Ti ascolto - mi disse.

- Devo partire per Milano. -

Vidi la sua espressione assumere decine di sfumature in pochi secondi: un po' di panico, seguito da una dose generosa di frustrazione poi scacciata da un velo spesso di preoccupazione... poi mi persi nel suo sguardo e non seppi più interpretare quello che vedevo. Cercai di portare un po' di chiarezza su quanto stava per accadere.

- Solo per qualche giorno. Poi torno. -

- Torni per restare? O torni solo per rimandare di un po' la tua partenza definitiva? -

- Torno per restare.-

Maia cambiò posizione per abbracciarmi più comodamente. La strinsi cercando di trasmetterle un po' della sicurezza di cui aveva bisogno.

- Quando parti? -

- Stasera. -

Maia mi baciò sul collo, ricambiai appoggiandole le labbra tra i capelli profumati.

- Torno tra quattro giorni, salvo imprevisti. -

- E' successo qualcosa di brutto? -

Riflettei sul modo corretto di definire la situazione a Milano.

- Non ancora. Sta per succedere. -

Maia si allontanò da me, tornando ad appoggiarsi al cuscino. Mi strinse una mano.

- Mi dispiace. -

Sembrava sincera. Appoggiai i gomiti alle ginocchia, lasciando la sua mano e fissando il pavimento. Probabilmente era ora di vuotare il sacco; non potevo partire per Milano senza spiegare a questa donna cosa ci andavo a fare, e perché.

Sentii la mano di Maia tra i capelli, le sue braccia intorno alle spalle, la sua infinita voglia di farmi sentire al sicuro, in pace. Appoggiò la guancia sulla mia schiena, poco sotto la spalla, e sentii il suo respiro sul collo. Era rassicurante. Tutto in lei, lo era.

- Vorrei poter affrontare per te tutto quello che ti aspetta là. Mi preoccupa vederti così. -

Le presi la mano che mi aveva appoggiato sul petto e gliela baciai.

- Vorrei poter non andare a Milano. Ma non per il motivo che fino ad ora mi ha tenuto lontano da quella città. Ora non ci voglio andare perché voglio stare con te, in quest'altra città. Quello che troverò là mi preoccupa, ma ad abbattermi sono le conseguenze che tutto quello che non sai potrebbe gettare sul nostro rapporto. -

Maia cambiò di nuovo posizione, la sentii mettersi in ginocchio sul materasso, alle mie spalle, senza sciogliere il suo abbraccio, e appoggiare il mento sulla mia spalla.

- Tutto quello che non so di te fa parte del passato. Credi che in questi quattro giorni sia possibile porre fine almeno in parte a quel capitolo? -

- Credo che anche volendo, non avrò scelta. Un capitolo sta per chiudersi. -

- Questo ti ferisce?-

- Sì, avrei auspicato un finale molto diverso Maia. Ho lasciato che gli eventi agissero al posto mio. Una scelta vigliacca ed egoista. E adesso è troppo tardi. -

- Forse non puoi cambiare il finale, Marco. Ma se hai deciso di essere presente al suo verificarsi, allora fai in modo che ne sia valsa la pena. Puoi rendere quel finale più sopportabile, anche senza cambiarlo. -

Era più o meno quello che speravo di fare, pur senza aver alcuna idea sul come mettere in pratica quell'intento.

- Farò del mio meglio. Finora non sono stato un buon protagonista per quella storia.-

- Finora hai fatto del tuo peggio, in quella storia. O sbaglio? -

- Non sbagli. -

- Bene, allora fare del tuo meglio è già un modo per rendere il finale meno peggio. -

Avrei voluto bastasse davvero così poco. Avrei voluto bastasse la volontà di fare meglio di prima per sistemare un ventennio di indifferenza e tradimenti.

D'altra parte non avevo altro da offrire, ed era più di quanto avessi mai offerto.

- Mi chiamerai? - mi chiese, ma non ebbi il tempo di rassicurarla che proseguì: - Solo per dirmi come stai, Marco. Non voglio sapere della tua vita di Milano, davvero. Voglio solo sentirti. Solo sentirti. -

Alzai il gomito dal ginocchio e posai il braccio sulla nuca di Maia. Girai il collo di lato e la baciai. Aveva le labbra calde, non stava ancora bene.

Drizzai la schiena lentamente per darle il tempo di adattarsi alla mia nuova posizione.

- Certo che ti chiamerò. Anzi, se non mi senti o non ti scrivo per più di due ore di fila puoi darmi direttamente per morto, perché non c'è nient'altro che possa tenermi lontano da te per più tempo mentre sono a Milano. -

Maia sorrise e fu un sorriso sincero.

- Va bene, doc. Io ti scriverò soltanto, non ti chiamerò per evitare di farlo in momenti non opportuni. Non dimenticarti di farti vivo, ti prego. -

- Non esiste alcuna possibilità che io me ne possa dimenticare. -

Mi presi qualche attimo di vuoto, limitandomi ad accarezzarle i capelli. Poi decisi che era giusto nei suoi confronti, farle una domanda davvero ovvia.

- Vuoi sapere perché vado a Milano? -

Anche Maia si prese qualche attimo.

- Mi basta sapere che tornerai. Per restare. Il resto... è di minor importanza. -

- Non è esattamente una risposta. Vuoi saperlo, Maia? Che tornerò per restare è una garanzia che ti ho già fornito. Quello che non ti ho fornito, è una spiegazione. Hai il diritto di averla. -

- Sì, mi piacerebbe avere una spiegazione. Vorrei sapere così tante cose di te, Marco. Ma arrivati a questo punto, voglio conoscere anche il finale. Avrò la mia spiegazione al tuo ritorno. Così da Milano tornerai con un'ombra in meno e io potrò amare di più quelle che ti resteranno e che forse imparerò a conoscere meglio. -

- Vorrei tenerti al sicuro dalle mie ombre, a dir la verità. -

- Oh, doc... ti ho già detto che amo anche quelle. -

- Perché non le conosci. -

- Perché fanno parte di te. -

- Spero non facciano più parte di me. -

- Qualcuna farà parte di te per sempre. Impara a conviverci. E' quello che farò anche io, te lo prometto. Niente di quello che mi dirai mi farà cambiare idea su di te. -

In quel momento non potei far altro che sperare davvero che Maia avrebbe imparato ad accettare l'idea di essersi innamorata di un uomo che era stato un marito assente e un padre inesistente. Un uomo che aveva distrutto un altro essere umano e il cui rimorso, latente seppur presente, non aveva scalfito la sua smania arrivista e la frenesia lavorativa. Avevo una cazzo di dipendenza dalla mia carriera, ero un tossico e lo ero stato per anni. Maia era stata la mia riabilitazione. Perché lei fosse riuscita là dove Michela e Daniele non mi erano bastati, non sapevo dirlo.

Forse è così che funziona l'amore: guarisce, ma solo se è reciproco.

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