So il tuo nome

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-Come va? -

Tenevo il cellulare tra spalla e orecchio, le mani occupate da due sacchetti contenenti avanzi di pasti mangiucchiati e abiti da lavare.

-Sono a pezzi - risposi con sincerità. - Gli antidolorifici non fanno granché effetto, ha pianto tutta la notte. -

Salii sulle scale mobili dell'ospedale che mi avrebbero portato al piano terra. L'idea era di evitare di cadere facendo le scale con le mani occupate, ma rischiai una rovinosa franata lo stesso. In qualche modo rimasi in piedi, senza proiettare il contenuto dei sacchetti al piano di sotto insieme al cellulare.

-Oddio, mi dispiace - cercò di rincuorarmi Jennyfer, amica, compagna di sventure e collega in affari fin dai tempi un cui per "affari" s'intendeva lo scambio delle Brooklyn in favore delle Big Babol (rigorosamente panna e fragola).

-Mi chiedo se non l'abbiano svegliato troppo presto. -

-Il primario che dice? -

-Quello della rianimazione o quello della chirurgia? -

-Uno vale l'altro, sempre dottori sono. -

Giunsi al piano terra e nell'abbandonare le scale mobili rischiai nuovamente di finire in ortopedia anziché nel parcheggio.

-Tutti quelli che sono passati dicono che è normale. Una giovane dottoressa mi ha spiegato che le prime ore dopo il risveglio sono più complesse e che non possono esagerare con gli antidolorifici, perché gli spasmi intestinali sono un buon segno. Ha parlato di una roba chiamata peristalsi, che credo abbia a che fare con la parola preferita di Lucas. -

- Deve scorreggiare. -

- Credo proprio di sì. - Sorrisi.

Uscii dalla struttura ospedaliera. Era tornata l'estate. Così, all'improvviso. Mi bastarono pochi passi per rendermi conto che non avevo idea di dove avessi lasciato la macchina il giorno prima. Una notte sulla una poltrona del reparto di rianimazione, e già ero più in coma dei pazienti.

-Che c'è? - La capacità di J di captare i miei stati d'animo era sbalorditiva.

-Non trovo la macchina. -

-Sai che novità. - Mi strappò un altro sorriso. - Ehi, vedrai che stanotte andrà meglio. Ora vai a prendere Mattia? -

-Esce da scuola alle 18, ho il tempo di farmi una doccia a casa. E magari una lavatrice non guasterebbe. -

Decisi che probabilmente avevo lasciato la macchina in un qualche punto non ben identificato sulla sinistra rispetto all'entrata dell'ospedale. Ero talmente sudata che il cellulare mi si stava sfilando dall'incavo tra spalla e orecchio.

-Sempre che tu riesca a tornare a casa con la tua auto... -

-Quanta simpatia stamattina! - ironizzai.

-Vuoi che ti venga a prendere? -
Diceva sul serio. J era così, trovava soluzioni improbabili a qualunque problema e non aveva incertezze nel metterle in pratica.

-Tranquilla, la trovo. -

In realtà non la stavo trovando. Sentivo la chiazza di sudore allargarsi sotto le ascelle. Un vero schifo.

-Va bene. Ma attendere la notte affinché si vuoti il parcheggio non è una soluzione. Chiamami se hai bisogno, ok? -

-Ok, grazie J. -

Fortunatamente riagganciò lei. Io, con le mani occupate, non sapevo nemmeno come raggiungere il cellulare con un dito. Mi ritrovai sotto un sole impietoso, sudata, appiedata, con un inutile cellulare appiccicato all'orecchio, due sporte per le mani e una prematura quanto inutile disperazione pronta a conquistare ogni mia cognizione.

Constatai alla fine che non ero nelle condizioni psicofisiche giuste per uscire da quella banale situazione.

Risoluta (rassegnata), feci marcia indietro e tornai all'interno dell'ospedale. Seguii la freccia che indicava la mensa. Erano quasi le tre del pomeriggio ma ero certa che almeno la postazione bar mi avrebbe offerto una speranza.

Dopo un paio di minuti trovai due cose: la mensa e la convinzione che mi sarei persa anche nel cercare di nuovo l'uscita.

La sala non era brulicante di vita umana, ma nemmeno poi così vuota. Camici bianchi e abiti civili erano sparpagliati tra il bancone e i tavoli. Trovai un posticino accanto a una colonna. Sentivo il bisogno di un piccolo riparo dal resto dell'umanità. Appoggiai (lanciai) i sacchetti sul tavolo, dove cadde rumorosamente anche il cellulare, ormai viscido di sudore. Mi abbandonai sulla sedia di metallo, con lo schienale appoggiato alla colonna, una parete azzurra sul fianco sinistro, una parete bianca di fronte, il resto del mondo sulla destra.

E lì la sentii avvolgermi, poi coprirmi, infine sopraffarmi: era la stanchezza. Anzi, era la Stanchezza, con la S maiuscola. La Signora di tutte le stanchezze: regina indiscussa delle tensioni muscolari, imperatrice del mal di testa, sovrana della cervicale, dittatrice di ogni mente annebbiata. La Puttana preferita del Signore dello Stress post traumatico.

Vaffanculo. Mio figlio è in rianimazione.

Sentii improvvisamente il dovere e il diritto di scoppiare a piangere lì dov'ero, sciogliermi tra i singhiozzi, rigarmi il viso con moccio e lacrime. E trovavo assolutamente fuori luogo, irrispettoso e snervante che intorno a me la gente non comprendesse, non sparisse, non abbandonasse silenziosamente ma frettolosamente quella sala per consentirmi di ridurmi a uno straccetto singhiozzante appoggiato a una colonna, con una parete azzurra sul fianco sinistro, una parete bianca di fronte, il nulla sulla destra.

Qualcuno, pochi passi più indietro rispetto alla colonna, si schiarì la voce. Chiusi gli occhi sdegnata, nel tentativo di non rispondere con maleducazione a una eventuale cameriera. E nel tentativo di non traumatizzarla scoppiando a piangere.

Mi voltai senza riuscire a sorridere ma riuscendo a trattenere sdegno e lacrime.

Non era una cameriera. E d'altra parte la mensa dell'ospedale è self service, non ci sono certo camerieri. Non so che espressione lesse lui sul mio volto. Il suo non tradì nulla.

-Oh, dottore - dissi, senza sapere bene come si aspettava di essere salutato. E d'altra parte ero certa che avesse richiamato volutamente la mia attenzione, e che quindi volesse dirmi qualcosa.

-Spero di non arrecarle disturbo. -

Arrecarle disturbo? Ma chi parla ancora così da quando hanno abbattuto il muro di Berlino?

-E' successo qualcosa a Lucas? Ero in rianimazione fino a pochi minuti fa...- Venni di nuovo colta dall'insulsa vergogna di non essere stata presente in un momento cruciale.

-No, ho appena aggiornato suo marito... -

-Ex marito -
Precisazione che mi uscì dalla bocca senza prima passare al vaglio del cervello. La reazione del primario fu un'alzata appena percettibile di sopracciglio.

-... ex marito, delle condizioni stabili e soddisfacenti di Lucas. -

-E' stata una notte difficile. Ha sofferto. -

-Lo so, e per questo ho ritenuto fosse utile farle sapere che l'ho visitato e che tutto procede come da aspettative. I dolori sono normali, ma cercheremo di tenerli sotto controllo nelle prossime ore. Ho dato disposizioni per modificare la somministrazione degli antidolorifici. Stanotte Lucas resterà in rianimazione, domani mi confronterò con i colleghi di quel reparto per valutare il trasferimento in chirurgia pediatrica. -

Gli fui grata. Ero insabbiata nella mia convinzione che quell'uomo non amasse ripetersi, ma aveva deciso di farlo con me, pur avendo appena conferito con Ale. E lo aveva fatto in quello che, presumibilmente, era uno dei suoi rari attimi di pausa.

Non resistetti alla tentazione di abusare della sua presenza.

-Lucas non parla. Da quando si è svegliato avrà detto forse 5 parole in tutto. -

-Tutto normale - fu la solita sbrigativa risposta.

Sorrisi. Era chiaro che non aveva intenzione di soffermarsi su dettagli del tutto irrilevanti nel quadro clinico. Se quell'uomo diceva che era normale, dovevo accettare quella realtà così come lui me la offriva: scarna.

-Doveste decidere di trasferirlo, vorrei essere presente - dissi, decisa a continuare ad abusare della presenza del primario.

-Disporrò il tutto affinché siate avvisati con anticipo, così da organizzarvi di conseguenza. -

Si congedò con un cenno della testa e feci in tempo a fare solo due cose, quasi contemporaneamente: salutarlo, e leggere il suo nome sul cartellino.

L'uomo che ha salvato mio figlio si chiama Marco Mancini.

***

-Qua c'è scritto che ha 44 anni e che ha preso la specializzazione a Milano dove ha lavorato fino a pochi mesi fa...

Aggiunsi due cucchiaini di zucchero al caffè che mi aveva preparato J. Alla fine la macchina l'avevo trovata, ma dopo la doccia avevo abbandonato l'idea della lavatrice e abbracciato quella di una visita a casa della mia amica. Anche la sua bambina era ancora a scuola.

-Non fare la stalker - la redarguii, ma senza convinzione.

-Mi sto solo assicurando che Lucas sia in mani affidabili. -

-Sono mani affidabili, tranquilla. Mi ha subito dato l'impressione di uno che sa il fatto suo. -

-Da quando le tue impressioni hanno la valenza di un curriculum vitae?-

Feci spallucce. Tutto sommato non mi dispiaceva cercare conferme alle mie impressioni.

-Ah guarda... è genitore anche lui! -

J continuava a scrollare la bacheca del suo cellulare con uno sguardo avido.

-Quindi è sposato - dedussi.

-Qui non fa riferimento a niente del genere. - La mia amica alzò lo sguardo dal piccolo monitor. - Perché ti interessa saperlo? -

-Non mi interessa saperlo - risposi, per nulla turbata.

-Ma hai appena chiesto se è sposato. -

-Non ho fatto nulla del genere. Ho solo constatato che se ha dei bambini...-

-Un bambino -

-Un bambino... allora probabilmente è sposato. -

-Gli hai visto la fede? -

Stavolta mi scandalizzai.

-Cosa? No... -

-Quindi non ce l'ha! -

-No... cioè... non lo so. Non ci ho fatto caso. Ma sei pazza? Ti sembra il momento? -

J sorrise.

-Ha un curriculum degno di un primario d'eccellenza. Stabilito questo, possiamo valutare anche l'uomo, oltre che il medico, non trovi? -

Capii le sue intenzioni. Staccare un attimo dalla serietà della condizione di Lucas non era necessariamente un male. Ma mio figlio era in rianimazione, e io non riuscivo a pensare ad altro.

-Per quel poco che ho potuto constatare è un uomo che preferisce essere considerato per il suo lavoro più che per qualunque altra cosa. E francamente è esattamente quello di cui Lucas ha bisogno ora: un eccellente chirurgo. Concordi? -

J appoggiò il mento sulle mani, dopo aver abbandonato il cellulare accanto alla sua tazzina di caffè.

-Credo tu abbia bisogno di riposare prima di andare a prendere Mattia da scuola. Sdraiati un po' sul divano. Andiamo insieme poi a ritirare le pesti da scuola, e guido io. Così tu non perdi la macchina. Di nuovo. -

Sì, ne avevo bisogno. Non avevo bisogno di stare a casa da sola, a riposare. Avevo bisogno di stare con lei, a parlare di quello che stavo vivendo senza sprofondarci dentro fino a scomparirci. E poi, avevo bisogno del suo caffè, dei suoi tentativi di farmi sorridere, delle sue insinuazioni in merito al primario di chirurgia pediatrica e del suo divano lilla.

Fu così che mi sdraiai...

...E mi svegliai 2 ore dopo. J aveva prelevato da scuola anche Mattia.

-Mamma! Come sta Lucas? Quando torna? Torna domani? -

Gli diedi un bacio sulla fronte che lui fece finta di cancellare con la mano. Baciai anche Bianca, la bimba di J, che invece mi sorrise soddisfatta.

-Cos'ha Lucas? Ha male alla pancia? - domandò la piccola.

-Ciao bimbi! Lucas ha ancora un po' di mal di pancia, e il dottore ha dovuto fargli un buchino per sistemargliela dentro. Tornerà tra qualche giorno, ma non domani.-

Mattia si rabbuiò. Dall'alto dei suoi 8 anni, "qualche giorno" era un'attesa inaccettabile. E chi ero io, per giudicare la misura percepita del tempo? Non avrei mai, mai , mai scordato la durata di un minuto dilatato.

-Ma uffa! Cosa fai in ospedale? Gli fai i disegni? - volle sapere.

-Guarda i cartoni? - aggiunse Bianca.

-Niente di tutto ciò, Lucas è troppo stanco, prende delle medicine e non può neanche mangiare. Per ora non può fare nulla. Ma presto starà meglio e lo faremo divertire anche in ospedale. -

I bambini parvero soddisfatti, anche se non entusiasti, della risposta.

-Pane e nutella? - propose, dalla cucina, J. Mattia e Bianca strillarono il loro consenso alla proposta, e andai in cucina con loro.

Guardai il cellulare dove trovai qualche aggiornamento da parte di Ale, che avrebbe fatto la notte in reparto. Io sarei salita a dargli il cambio il giorno seguente dopo pranzo.

-Che dice? - chiese J, contenendo a stento la tensione.

-Che Lucas ha avuto diverse ore di riposo, sta meglio. Appena lo muovono o gli cambiano le medicazioni o le flebo sente dolore, ma è comunque un'evoluzione della sua condizione, se consideri che stanotte non ha avuto molta tregua dal male. - Così come i nostri figli un attimo prima, J parve soddisfatta ma non entusiasta della risposta.

-Dormite da noi stanotte? -

I bambini strillarono nuovamente il loro consenso alla proposta.

-Mattia, non possiamo, devo passare da casa a preparare la valigia da portare domani all'ospedale. -

Mio figlio non ebbe il tempo di ribattere, ci pensò la mia amica.

-Puoi farlo domattina. -

-Non abbiamo nulla qui per dormire. -

-Puoi andare a casa, prendere quello che serve e tornare. -

-Non ti voglio disturbare. -

-A questa non mi prendo nemmeno la briga di rispondere. Mattia, vuoi dormire nel letto in alto o in quello in basso? -

Così, mentre Lucas trascorreva la seconda notte in rianimazione, io mi accingevo a dormire in un luogo pieno di vita, di allegria e di sincera amicizia.

Prima di addormentarmi chiesi aggiornamenti ad Ale che mi rispose subito, rassicurandomi sul fatto che il dolore di mio figlio ora sembrava sotto controllo, e che il bambino non era ancora del tutto vigile.

Un po' più serena, mi concessi il lusso di pormi un interrogativo davvero frivolo.

Chissà se lui ha idea di quale sia il mio nome...


SPAZIO AUTRICE
Eccoci, abbiamo conosciuto anche Jennyfer (sì, con la y), un'amica speciale.
Trovate credibile il dialogo tra lei e Maia?
Io vi confesso che per la nostra J ho un debole, la trovo cinica al punto giusto: piena di difetti apprezzabili che non dovrebbero mancare in nessuna donna.


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