Campo di grano

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"Non c'è blu senza il giallo e senza l'arancione."

Vincent Van Gogh

"Martijn!"

Apro gli occhi ancora assonnati e mi guardo intorno confuso: chi mi chiama? Rimango in ascolto per qualche secondo, ma non sento più niente. Devo essermelo immaginato. Mi giro sull'altro lato per riprendere sonno, quando sento di nuovo il mio nome, stavolta più vicino. Mi alzo in fretta, tutto agitato: chi è entrato in casa? Ieri sera ho chiuso la porta a chiave come sempre, eppure la voce sembra provenire dalla stanza a fianco. Entro in soggiorno spaventato e mi guardo intorno, ma non c'è nessuno. Le due seggiole di legno sono proprio come le avevo lasciate ieri e a prima vista non c'è niente fuori posto. Controllo nello studio, per assicurarmi che ci siano tutte le mie opere. Le ultime due tele sono ancora sui cavalletti, mentre quelle vecchie sono appoggiate ordinatamente al muro, nascoste da un grande lenzuolo bianco. Tutto normale.

"Martijn! Sono qui fuori!" continua la voce. È un timbro maschile, grave e pacato, ma non mi ricorda nessuno che conosco. Ritorno in sala, prendo la chiave dal tavolo e abbasso la maniglia della porta. Quando la apro, il sole alto nel cielo mi abbaglia, inondando di luce la stanza. Anche adesso non vedo nessuno, ma la voce continua a chiamarmi: questa volta il suono proviene da dietro l'angolo della casa. "Arrivo!" urlo. Chi è che mi cerca in modo così insistente? Poteva almeno aspettare fuori dalla porta. Mi vesto, chiudo la porta a chiave e mi ritrovo subito in piazza. Un brusio sommesso mi avvolge, mentre centinaia di persone girano per le bancarelle in cerca di qualcosa da comprare. Non mi lascio distrarre da tutto questo movimento e svolto l'angolo, ma come prima non c'è nessuno ad aspettarmi. Può essere andato solo di qua, penso, mentre proseguo dritto fino al fioraio. Il profumo dei tulipani mi entra prepotentemente nelle narici, facendomi starnutire. La mia allergia è degna di un colmo!

Seguo la voce in mezzo alle stradine tortuose del paese, allontanandomi sempre di più dal centro. Raggiungo la periferia, dove si trovano le lussuose ville estive e i grandi casolari di campagna. Continuo a camminare finché non mi trovo di fronte a una casa preceduta da un portico maestoso. L'architrave del portone d'ingresso risplende al tocco della luce, conferendo una maggior monumentalità all'edificio. Mi fermo davanti alla soglia e batto il pesante battente sul legno scuro. La porta si apre lentamente, facendomi intravedere un immenso salone ricoperto ovunque da lenzuola bianche e alcuni cavalletti vuoti.

"C'è qualcuno?" chiedo, convinto di aver raggiunto la voce che mi cercava.

"Martijn! Finalmente sei arrivato, vieni qui, entra pure." Il tono è accogliente e rassicurante.

Avanzo nel salone guardandomi in giro: la stanza è enorme e le pareti spoglie e bianche la rendono ancora più grande. Dalle finestre filtra una luce leggera e soffusa, che fende l'aria colpendo il pavimento in vari punti. Al centro, lontano da mobili e cavalletti, un telo bianco ricopre un oggetto ingombrante. La forma spigolosa mi incuriosisce e la curiosità inizia a insinuarsi nella mia testa.

"Dove sei?" chiedo perplesso. Perchè qualcuno avrebbe voluto guidarmi qui dall'altra parte della città per poi non farsi vedere?

Non arriva nessuna risposta, ma mi sento osservato. Mi volto in tutte le direzioni in cerca del padrone di casa, ma sono solo. I rumori dall'esterno adesso giungono ovattati, lasciando solo il silenzio a separarmi dalla sagoma coperta al centro della stanza. Il braccio parte quasi inconsapevolmente, la mano afferra il lenzuolo e lo getta lontano. Al di sotto compare una grande tela, completamente bianca, appoggiata su un cavalletto di legno ancora pulito. A fianco giace una tavolozza con i colori già mescolati, come se fosse stata preparata in precedenza e poi lasciata lì, mentre appeso dietro c'è un grembiule immacolato.

Mi rigiro un'altra volta, ma la stanza è sempre vuota e silenziosa. Passeggio lungo le pareti e tra i cavalletti vuoti. Alcuni sono veramente grandi, altri molto piccoli, quasi tutti sono ricoperti da macchie di colore. Sotto due lenzuola intravedo un divano e anche i piedi di un tavolo. Continuo a camminare intorno, ma il mio pensiero ritorna sempre alla tela posta al centro della stanza.

La luce che filtra dalla porta colpisce il pavimento sotto il cavalletto. Il mio sguardo si posa sulla tela e senza accorgermene me la ritrovo a pochi centimetri dal naso. Indosso il grembiule, prendo la tavolozza, ma non trovo nessun pennello. Non riesco a reprimere il desiderio di sporcare quel bianco immacolato, per cui lascio che le dita si muovano da sole. Si immergono nel colore oleoso e si spostano sicure sulla tela, colorando di celeste la parte superiore. Il vento mi soffia sulla faccia, mentre sento in sottofondo i rumori della campagna: il frinire delle cicale, il cinguettio dei passeri, il vento tra gli alberi. Il sole mi scalda le spalle in un abbraccio delicato. Riapro gli occhi e mi pulisco la mano destra sul grembiule da lavoro, mentre con la sinistra prendo i pigmenti gialli e cospargo il colore sulla restante metà della tavola. Enormi spighe di grano crescono davanti ai miei occhi e il profumo delle pannocchie si diffonde tutto intorno. Le foglie secche, quasi sbiadite, contrastano con il colore bruno dei chicchi di mais. I fruscii delle foglie mosse dal vento suonano una musica invitante, al cui ritmo le spighe si muovono sinuose. Un pennellino è comparso sul portaoggetti del cavalletto per cui lo prendo e inizio a picchiettare con altri colori per trasformare il celeste e il giallo in sfumature bluastre, ambrate o verdi. Sotto i miei piedi inizia a snodarsi un sentiero, mentre qualche ciuffo d'erba spunta ai lati del campo.

All'improvviso un vento freddo inizia a scuotere con potenza le spighe, mentre il sole si nasconde dietro alle nuvole appena comparse. Mi stringo nei miei vestiti e un brivido mi corre lungo la schiena. Non so perché, ma ho un brutto presentimento. Sento un rumore farsi sempre più vicino e aumentare d'intensità, finché non vedo uno stormo di corvi neri, grandi quanto avvoltoi, volare dritti verso di me. Inizio a indietreggiare, ma inciampo su una radice e finisco per terra. Rotolo su me stesso per sollevarmi, ma quando riesco a rimettermi in piedi non mi trovo più nel campo, ma nel salone spoglio con i teli bianchi e i cavalletti vuoti. Nel dipinto riconosco lo stesso paesaggio in cui i corvi mi hanno attaccato. La tavolozza e le mie mani sono sporche di giallo e blu nelle loro varie tonalità. Mi guardo confuso in giro, ma non c'è nessuno. "Chi sei?" urlo, al limite dell'esasperazione. Di colpo gli scuri di una finestra in fondo alla stanza si aprono e lasciano entrare la luce del sole in tutto il suo fulgore. Mi riparo gli occhi con le braccia, accecato dal troppo bagliore. Mi volto dall'altro lato e quando riesco a rimettere a fuoco la vista mi trovo davanti il mio comodino. Guardandomi intorno realizzo di essere nella mia stanza: un raggio di sole filtra dalle tapparelle e colpisce in pieno il cuscino sul quale ero appoggiato fino a pochi secondi fa. Mi alzo dal letto tutto sudato: sto ansimando e ho il fiatone. Dov'è sparito il campo di grano? E la stanza? E di chi era la voce che mi aveva guidato fino là?

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