Capitolo 25

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Arrivarono a Tomar in una giornata splendida di primavera. Con l'aereo ci impiegarono due ore e 25 minuti. La primavera era nell'aria. La cittadina era molto variopinta e pittoresca con i prati circondati dal fiume Nabao. Il centro storico con la piazza principale a scacchiera e la chiesa davano l'impressione di una cittadina tranquilla.

Fecero una passeggiata per le vie del centro mano nella mano. Assaporavano quella vicinanza, quella condivisione di cose solo loro. Nessun altro ne era al corrente e questo accresceva ancora di più la magia. Ogni tanto si guardavano, le loro mani intrecciate.

Gloria si strinse a lui. Quella cittadina, Tomar, le piaceva. Era molto graziosa e da dove erano arrivati, adesso si intravedeva il Castello dei Templari e il Convento dell'ordine di Cristo.

Si recarono per rifocillarsi nella caffetteria, dove assaggiarono specialità tipiche locali: i dolcetti alla mandorla e di zucca.

Il locale era magnifico. Le deliziose preparazioni dolciarie, le monumentali torte erano uno spettacolo sia per gli occhi che per il palato. Il locale era chic e raffinato e brillava come un diamante.

Si misero a sedere e ordinarono una cioccolata calda guarnita con panna e biscottini.

Le tazze di cioccolato fumante arrivarono portati da un cameriere di bell'aspetto che le posò dinanzi a loro, insieme ai biscotti.

Erano golosi entrambi.

Gloria amava la cioccolata, soprattutto con la panna, che aveva una morbidezza unica e che si scioglieva in bocca.

Gustarono la dolce bevanda, cullati anche dal tepore che si stava sprigionando in quel locale.

Si sarebbero trattenuti un po' di più, se non fosse stato che avevano una missione da compiere.

Presero la strada che portava al castello. Si ritrovarono a percorrere i sei chilometri di acquedotto.

La vista da lassù era spettacolare e spaziava dal verde intenso dei prati e degli alberi al giallo dei campi. Il sole era una palla gialla nel cielo che irradiava una luce lattiginosa forte, rendendo quasi tutto bianco.  

Gloria indossò gli occhiali da sole. Quel riverbero era veramente fastidioso per gli occhi. Le colline a vigne e uliveti si estendevano a perdita d'occhio.

Gloria e Giacomo sentivano tutto il calore del sole sulla pelle; era piacevole perché non era ancora caldo. Il tepore primaverile esplodeva intorno con la fioritura di mille margheritine di campo.

Giacomo pensava a quanto era bello condividere quei momenti con Gloria, una donna che lui stimava e che gli piaceva molto.  

Arrivarono al castello dopo circa un'ora e mezzo di cammino. Rimasero basiti di fronte a questa costruzione per la bellezza e imponenza, ma anche semplicità, con quelle torri tonde e finestrelle quadrate. Aveva rappresentato la roccaforte dei cavalieri templari. Accanto al castello c'era il Convento di Cristo, magnifica chiesa con elementi romanici, gotici e rinascimentali.

L'imponente castello si ergeva a guardiano della città. Vi si arrivava, dopo aver camminato lungo l'acquedotto, tramite un sentiero in mezzo al verde, circondato da siepi curate e alberi d'alto fusto. Percorsero tutto il perimetro, soggiogati dalla bellezza di quel luogo. Già il nome evocava cose grandiose e in effetti gli uomini che l'avevano eletto come loro quartier generale di opere grandiose ne avevano fatte, anche se erano stati cancellati dalla storia, dopo la soppressione dell'ordine.

«Sai perché venerdì 13 porta sfortuna?», chiese Gloria a Giacomo.

«Perché quello fu il giorno, e precisamente il 13 Ottobre 1307, in cui Filippo il Bello dette ordine di sopprimere l'ordine, facendo arrestare tutti i cavalieri templari. È stato furbo. Aveva accumulato ingenti debiti nei confronti dei cavalieri e in un batter d'occhio decise di estinguerli, dando l'ordine di arrestarli con l'accusa di eresia e atti blasfemi nei confronti della religione cristiana e della chiesa.»

«Interessante», rispose Giacomo. «Non sapevo questa cosa. Devo dire che come storica sei fenomenale».

Stavano percorrendo le scale che conducevano all'entrata. L'interno era monumentale. Un lungo corridoio si dipanava di fronte a loro dal quale poi si dipartivano i chiostri: erano otto in tutto con cortile interno, costituito da siepi che formavano labirinti verdi e un alternarsi di archi dove la luce del sole si accumulava, irradiando luce. Qui si respirava un clima di tranquillità e pace, una vera e propria oasi dove ritemprarsi dagli affanni giornalieri. Capitava di vedere scorci di straordinaria bellezza con gli archi in stile dorico poggiati su eleganti muretti decorati, che si affacciavano su cortili semplici, con aiuole di fiori variopinti arancioni, gialli e viola e con alberelli da frutto, che fornivano una cornice deliziosa impreziosita dalle mattonelle blu in ceramica delle aiuole. Altri erano più suggestivi con fontane finemente decorate. Ma ciò che destò in loro una meraviglia destabilizzante fu la chiesa Charola di forma rotonda e riccamente decorata da affreschi a carattere religioso dalle tinte vivaci, raffiguranti episodi di vita religiosa dei Santi.

«Giacomo», disse Gloria. «Questo è il posto indicatoci da Gregorio. Prendiamo di nuovo il libro e guardiamo se ci fornisce ulteriori indicazioni».

Sfogliò le pagine e tornò all'ultima pagina che avevano visionato insieme. La successiva recitava così: "Adesso sei arrivato alla fine del tuo cammino. Ciò che cerchi è qui e ascolta bene le mie parole e lo troverai. Vai nel luogo benedetto della Santa, che nascosta nella torre, maledisse colui che la tradì, trasformandolo in pietra.

Venne poi torturata e quindi uccisa dal crudele genitore, che per tale gesto, venne incendiato da un fulmine".

«Mi sembra evidente che la Santa di cui stiamo parlando è Santa Barbara.»

«Qui, se non sbaglio, c'è il chiostro omonimo», disse Gloria con entusiasmo.

«Sì è vero, hai ragione. Ci siamo passati prima davanti. Torniamo indietro.»

Il chiostro apparve in tutta la sua bellezza. Era piccolo e illuminato da una luce che si riverberava all'interno, conferendo una colorazione arancio. Da questo erano ben visibili la finestra della casa capitolare e la facciata occidentale della navata manuelina.

La finestra era decorata con elementi che richiamavano il mare: ancore, funi, alghe e conchiglie si alternavano impreziosendola e rendendola altamente decorativa.

«Dove cerchiamo?» esclamò Giacomo. «Prendiamo una pala e scaviamo?»

«Mah, non saprei», rispose Gloria. «C'è scritto qualcos'altro nel diario?»

«Proviamo a guardare.»

In effetti sotto la scritta, proprio in fondo alla pagina compariva una scritta rossa minuscola, che la si poteva leggere solo con la lente. Gloria usò l'applicazione lente del telefonino e lesse:

" Viaggiatore ancora non ti sei stancato di cercare e di ascoltare le mie parole. Solleva lo sguardo e osserva tutto intorno. Cosa vedi? Il vecchio e il nuovo sono uniti, uno rotondo e l'altro rettangolare, uniti da un arco, il cui coro subì la distruzione da parte delle truppe napoleoniche. Cerca sotto al coro."

«Che cosa si vede dal chiostro, Giacomo?»

«La finestra e la facciata della navata manuelina della chiesa.»

«Andiamo, bisogna tornare nella chiesa», disse Gloria.

Fecero di nuovo il loro ingresso in quell'edificio, andarono nell'abside, la parte nuova. Al muro c'era una targhetta che spiegava che il coro dell'abside era stato distrutto dalle truppe napoleoniche.

Accanto al coro c'era una porta: era la sagrestia.

«Andiamo a controllare?» disse Gloria a Giacomo.

Non c'era nessuno, quindi decisero di entrare silenziosamente. La sagrestia era piccola. Al centro c'era un cassettone e altri mobili, tra i quali un armadio marroncino chiaro, forse contenente i paramenti sacri.

«Giacomo, ci deve essere un passaggio segreto da qualche parte.»

Si guardarono ancora attorno per vedere se ci sarebbero state eventuali intrusioni.

«Di solito i passaggi segreti si nascondono dietro finte porte oppure si sposta un oggetto e si apre una porta nascosta. L'ho visto in tanti film. Forse Gregorio ci fornisce un'ulteriore indicazione.»

L'indicazione c'era ma di fatto non fornì loro alcun aiuto e diceva così:

Venerabile amico

hai raggiunto il tuo obiettivo

adesso non ti rimane altro che

completare il rito.

«Gloria sta arrivando qualcuno», disse Giacomo che si era messo a fare da guardia alla porta. Videro arrivare un giovane prete in affanno rosso in viso.

«Cercate qualcosa?», domandò loro in francese dopo averli squadrati bene da capo ai piedi.

Gloria e Giacomo non seppero cosa dire e si ammutolirono subito.

Il prete continuò loro a fare domande. Volle sapere da dove venivano e chiese loro che lingua parlassero e quando appurò che erano italiani si rivolse loro in un italiano fluente. Era nato in Italia, ma si era trasferito in Francia all'età di dieci anni. Si chiamava John.

Risposero ma non rivelarono il motivo per cui adesso si trovavano lì.

«Stiamo facendo una ricerca storica su questa chiesa», disse Gloria, che pensò che il prete potesse fornir loro qualche indicazione che potesse essere utile.

Ascoltarono con molta partecipazione la storia della chiesa. Il prete raccontava loro con dovizia di particolari, si vedeva che gli piaceva narrare la storia di quella dimora così particolare. La chiesa Charola era stata costruita dai templari sul modello della Cupola della Roccia e della Basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme.

«Se vi può far piacere vi porto a vedere la chiesa e vi fornisco qualche spiegazione, tanto per ora non ho in programma nessuna funzione liturgica. Questi dipinti che potete ammirare sono opera del pittore Jorge Afonso della Corte di Manuele I. Le sculture sono dell'artista fiammingo Olivier de Gand e dello spagnolo Herman Munoz.

Osservate la vivacità dei colori, la sobrietà delle forme, la geometria perfetta, diceva con gli occhi che gli brillavano dall'esaltazione.

E guardate questi angeli e queste statue. Sembrano veri, non è vero?

C'è una leggenda che aleggia intorno a questo angelo, disse il prete, indicando una delle tre figure alate che reggeva in mano un braciere d'oro.»

«Nell'Apocalisse c'è scritto», continuò il prete, «che l'Angelo prese il braciere, lo riempì con il fuoco dell'altare e lo gettò sulla terra. Seguirono tuoni, lampi, grida e scosse di terremoto.

Tutto ha un senso, disse il giovane prete.

Conoscete le sette trombe dell'Apocalisse? Il significato dei sette sigilli?»

Si avvicinò a quella scultura angelica, ne percorse i lineamenti con le dita, fino a quando la statua ruotò, rivelando dietro una porta segreta che si apriva su un corridoio scuro.

«Seguitemi», disse il prete.

Giacomo e Gloria non se lo fecero ripetere due volte anche se non riuscirono a spiegarsi il comportamento del padre.

«Questo sotterraneo ci porta proprio sotto al coro che è stato distrutto dalle truppe napoleoniche.

Stamani è arrivato un dispaccio da Smirne, una cittadina della Turchia, che mi avvisava dell'arrivo di una coppia di turisti italiani, corrispondenti alla vostra descrizione, e che avrei dovuto rivelarvi "il segreto".»

Gloria e Giacomo si guardarono sempre più stupefatti.

«Eccoci arrivati, questo è il coro. Come potete vedere non è rimasto niente. Questa nicchia si trova proprio sotto l'angelo dell'Apocalisse».

Nella nicchia c'era una porta.

Padre John l'aprì e si presentò dinanzi a loro una scala a chiocciola che scendeva in basso.

Iniziarono a scendere lentamente. A Gloria e Giacomo batteva forte il cuore..

L'ambiente era umido, fetido e puzzolente. Un odore di muffa sembrava insinuarsi nei vestiti.

L'ambiente era illuminato da luci alle pareti che spandevano una luce soffusa.

Arrivarono in una stanza un po' più grande, dove una finestra si affacciava sul chiostro di Santa Barbara.

La stanza era spoglia ad eccezione di un tavolino ed una credenza in legno massiccio. Appeso al muro dentro ad una teca di vetro c'era il quadro: "Una barca, quattordici uomini che lottano contro la tempesta. Cinque di loro cercano di tenere stabile la barca con le corde. Una vela è strappata, una sartia svolazzante. Gesù tra di loro calma le acque".

Gloria si mise a piangere. Non riuscì a trattenere le lacrime che scorrevano giù senza posa sul suo volto segnato dalla stanchezza.

Eccolo il dipinto che era stato l'origine e la causa di tutto e che aveva portato tanta sofferenza. Dentro di sé lo maledì. Il suo amato Gabriel non c'era più e lei aveva attraversato tutto lo spettro delle emozioni umane, riuscendo a cavarsela, riuscendo di nuovo a provare sentimenti di gioia e amore per qualcuno.

Giacomo la abbracciò. Un abbraccio forte, caldo, avvolgente in cui sentì tutto l'amore di cui lei aveva tanto bisogno in quel momento.

Anche lui aveva le lacrime agli occhi.

Il prete consegnò nelle mani di Gloria una lettera che lei riuscì ad aprire, nonostante le mani le tremassero molto.

Venerabile amico

hai raggiunto il tuo obiettivo,

adesso non ti rimane che

completare il rito.

Cerca la rosa nel luogo remoto

dove l'Angelo del Signore parlò

per sette volte

in sette diocesi

e angoli della terra.

Le sette trombe annunciano

catastrofi, i sigilli sono stati aperti.

Manca l'ultimo.

Tocca a te venerabile amico..

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