Capitolo 2 - Azzurro (Prima Parte)

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Non appena oltrepassata la porta, Verity si trovò davanti a un paesaggio totalmente nuovo. Il colore che dominava ogni cosa, questa volta, era l'azzurro. Le sue sfumature ricoprivano ogni cosa, compreso il mare che si infrangeva sui granelli turchese.

La ragazza si sentiva fortemente triste, gli occhi le dolevano a causa del pianto. Non avrebbe mai voluto lasciare Tae, anzi, avrebbe desiderato passare ulteriore tempo con lui e conoscerlo meglio. L'aveva salvata da una delle sue peggiori paure, guidandola con la sua melodia oltre il buio opprimente che l'aveva intrappolata. Le era subito sembrato un ragazzo dolce e gentile, perfino la voce era stata una carezza calda e rassicurante sulla sua anima.

Il suo tocco, poi, le aveva donato il conforto di cui aveva avuto bisogno in quel momento per lei difficile. Non si era mai sentita come in quegli istanti. Il benessere le era penetrato nelle ossa insieme al gelo dell'oscurità, facendola sentire al sicuro in mezzo al terrore. Il battito del cuore, accelerato dalla paura, si era fuso con quello generato dall'altro, mentre il respiro affannato aumentava e diminuiva continuamente.

Non poteva eliminare dalla mente le sensazioni che aveva provato, esattamente come non era in grado di dimenticare il viso del giovane, i lineamenti dolci. Doveva riuscire a ritrovarlo in qualche modo, non poteva svanire per sempre.

Poi, come faceva a sapere che si sarebbero rivisti? Come poteva esserne così sicuro? Pareva sapere informazioni che a lei erano completamente sconosciute, ma come poteva essere certo al cento per cento delle sue parole?

Nonostante anche la giovane fosse sicura che, prima o poi, si sarebbero incontrati di nuovo, quella percezione non aveva alcun fondamento logico.

Poi, come aveva fatto a vedere al buio? Oltre l'oscurità che l'intenso blu aveva causato? A meno che non avesse posseduto degli occhiali appositi, era impossibile che Tae avesse potuto guardarla in mezzo a quel velo scuro e pesante. Aveva parlato anche di un viaggio, ma quale? Che cos'era che avrebbe dovuto affrontare? Le sue paure? E di che tipo?

Le doleva la testa a causa di tutte quelle domande, addirittura sembrava potesse scoppiarle da un momento all'altro.

Chiuse gli occhi e fece un respiro profondo, massaggiandosi le tempie con l'indice e il medio. Sperava potesse passare il male alla testa, ma i rumori di sottofondo non la stavano aiutando di sicuro. Non appena si concentrò su questi ultimi, volendo capire per curiosità che cosa fossero, Verity spalancò gli occhi. Dei lamenti provenivano poco lontani da lei, simili a dei rantoli.

La giovane si osservò intorno, fino a quando il suo sguardo non si posò su una figura femminile poco distante, vicino le onde del mare. Con cautela e attenzione si avvicinò alla ragazza, la quale pareva avere la sua età, e tentò di capire come poter approcciare.

Chi era? Era l'ennesima figura che la sua mente si era inventata per quel sogno assurdo, totalmente fuori dal comune? Non c'erano altre spiegazioni. Ma perché avrebbe dovuto farlo? Che motivo c'era di creare una donna che si lamentava in riva al mare, in un mondo completamente azzurro?

Non appena l'ebbe raggiunta, la osservò attentamente, sperando di trovarvi una risposta, esaminando da capo a piedi il suo aspetto apparentemente trasandato, trascurato. I capelli biondi e lunghi erano legati in una treccia morbida che arrivava fino a metà schiena, con alcuni fiori che la decoravano. Gli occhi chiari erano simili al ghiaccio, quasi trasparenti, facilmente confondondibili con la sclera. Aveva un viso asciutto e dai lineamenti gentili, giovanili, deformati dall'espressione triste. Indossava un vestito a fiori leggermente mosso dalla brezza gentile che stava accarezzando la spiaggia.

Le sue parole, però, erano ancora incomprensibili. Nonostante si trovasse a soli tre metri, non riusciva a udire ciò che l'altra stava dicendo a fior di labbra, come una sorta di cantilena. Con attenzione, si avvicinò ancora di più, fin quando non le fu a un metro. Niente, ancora soffi mormorati al vento per le sue orecchie.

Verity le si inginocchiò a fianco, desiderando di aiutarla. Non sopportava vedere la gente stare male e soffrire, soprattutto quando non se lo meritavano. Da sempre, la ragazza aveva tentato di allungare una mano a chiunque ne avesse avuto bisogno, nonostante quella persona potesse averle provocato un danno. Nessuno aveva il diritto di soffrire e sentirsi solo, soprattutto nel caso non avesse fatto niente per meritarselo.

«Mi scusi, va tutto bene?» Le domandò un po' incerta Verity, inclinando la testa di lato e guardandole attentamente le labbra, sperando di riuscire a leggerle. Non ebbe risultati nemmeno con quel tentativo. «Signora, mi scusi, è tutto a posto?» Tentò di nuovo, questa volta con voce più sicura e ferma. Ma alcuna risposta provenne dalle sottili labbra dell'altra, che continuarono, invece, a muoversi nella loro stancante e continua cantilena.

A quel punto, la ragazza alzò un braccio e lo allungò nella sua direzione, lentamente, evitando di compiere azioni in maniera troppo brusca. Il suo obiettivo era quello di scuoterla, in modo tale da attirare la sua attenzione.

«Non scuoterla, non funzionerà.» Una voce profonda e maschile, come se l'avesse letta nel pensiero, provenne dalla sua sinistra e la interruppe nel suo intento, facendola sobbalzare e cadere di lato.

Di fianco alle due ragazze c'era un uomo, completamente azzurro tranne la pelle diafana e la bocca leggermente carnosa e rosea. I capelli, lunghi fino alle orecchie e portati da un lato, erano di una sfumatura di ciano, come la barba e i baffi appena accennati, poco meno luminoso delle iridi, composte come da tante pietre preziose. In parte le ricordarono quelli blu di Tae, prima che ogni cosa assumesse colori diversi dalle sfumature del blu. I pantaloncini, lunghi fino al ginocchio, e la maglia a maniche corte erano sulla tonalità della carta da zucchero, vicino al pastello. Rispetto al ragazzo incontrato precedentemente aveva tratti occidentali, con gli occhi piccoli ma attenti.

«Come fai a saperlo?» Replicò un po' scocciata la giovane, storcendo il naso. Chi era e cosa voleva? Era spuntato dal nulla solo per darle ordini? Unicamente per dirle cosa fare e non fare? Perché se quelle erano le sue intenzioni, lei non gliel'avrebbe concesso.

«Non hai ancora capito chi sono, vero?» Chiese semplicemente lui, sorridendo divertito e facendo una piccola risata. Per quanto quella cosa l'avesse potuta infastidire prima, in quell'attimo sembrava quasi dolce.

Il vento aumentò d'intensità, rendendo la pelle della giovane più fredda e scompigliandole i capelli. Istintivamente si guardò il polso, credendo di trovare l'elastico che portava sempre con sé, per ogni evenienza. Quando si rese conto che nemmeno quello era presente con lei nel sogno, fece un sospiro rassegnato e tentò di sistemarsi i ciuffi ribelli dietro le orecchie. Sperava potessero rimanere al loro posto così, ma si sbagliava di grosso, dato che sottili fili biondo scuro le stavano colpendo il volto ugualmente.

«Prendi il mio elastico» le offrì lo sconosciuto, allungandogliene uno celeste. Verity, inizialmente, tentennò e rimase restia nell'accettare quel regalo da parte sua. Era vero, aveva dubitato anche di Tae al principio, quando poi si era rivelato essere la persona migliore di questo mondo. Tuttavia, questo non voleva dire che chiunque avesse incontrato in quella sorta di "viaggio", così definito dal ragazzo del blu, sarebbe stato come lui.

Osservò dapprima l'oggetto tra le mani, per lei grandi, dell'estraneo. Dopodiché spostò lo sguardo verso il suo viso. Qualcosa le diceva che, in quel mondo alquanto strano, le persone che riflettevano il colore del paesaggio in realtà fossero là per aiutarla e guidarla. Esattamente ciò che le aveva detto Tae quando si era presentato la prima volta.

Si stava ancora scervellando di capire quale fosse la paura del regno azzurro, quale timore avesse mai attanagliato la sua anima. Il mare? L'acqua? La spiaggia? L'unica risposta sospettava potesse dargliela o la donna, oppure l'uomo in piedi davanti a lei.

«Sei come Tae?» Gli domandò, nel contempo che l'altro abbassava il braccio e allargava il sorriso, ridendo di nuovo.

«Sei molto arguta, Verity» rispose lui, lasciandola a bocca aperta. Le labbra erano socchiuse per l'incredulità, anche se questa ci mise poco a sparire. Conosceva il suo nome, ma com'era possibile una cosa del genere? Come sapeva chi era lei, se la giovane era sicura di non averlo mai visto in vita sua?

Tuttavia le parole del ragazzo in blu erano ancora scolpite nella sua memoria: «Ti stavamo aspettando». Tae aveva detto che sapeva perfettamente chi ella era e che c'erano altri che erano a conoscenza della sua presenza ed esistenza. Lo sconosciuto era uno di loro? Faceva parte della pluralità di persone a cui il ragazzo aveva fatto riferimento? Se era come lui, allora la risposta poteva essere solo affermativa.

«Come ti chiami tu?» Gli chiese Verity, non distogliendoli gli occhi di dosso. Qualsiasi sua mossa poteva essere improvvisa o fatale per lei, nel caso le sue ipotesi fossero risultate erronee.

«Io sono Liam Payne, ma puoi chiamarmi semplicemente Liam» rispose il giovane, causando nella ragazza mille brividi. Come Tae, in principio, le aveva riferito il suo nome completo, per poi indicarle in che maniera preferiva essere chiamato, anche lui aveva fatto lo stesso.

Poteva fidarsi? Qualcosa le diceva che sì, poteva farlo. Le somiglianze con il giovane in blu erano troppe per essere delle coincidenze. Inoltre, lui era l'unico interamente colorato di azzurro, lei e l'altra ragazza erano di diverse cromature, qualcosa doveva pur significare.

«Posso inginocchiarmi vicino a te?» Le domandò, indicando di volersi sistemare proprio al suo fianco. Verity guardò prima la zona interessata e poi lui. Fece spallucce e gli fece segno con la testa di accomodarsi, ritornando sulla donna. Non sembrava rappresentare un pericolo per lei, non le aveva dato motivo di avere cattive intenzioni. Poi, il fatto che le aveva chiesto di potersi avvicinare le aveva portato alla mente la situazione avuta con Tae al buio. Voleva capire se avevano anche il calore in comune. Quest'ultimo, infatti, si presentò non appena Liam si fu inginocchiato vicino alla giovane, quando uno strano torpore la pervase, donandole sicurezza e calma.

Verity si voltò verso di lui, il sorriso che gli increspava le labbra. Da quella vicinanza poté notare che quello superiore era un po' più sottile di quello inferiore, anche se leggermente. Non seppe perché notò quel piccolo particolare, eppure fu ciò che più di tutto attirò la sua attenzione.

«Hai ancora l'elastico?» Gli domandò la ragazza, un sorriso cordiale si formò sulle labbra rosee e leggermente carnose.

Liam annuì, sfilandolo dal polso e porgendoglielo sul palmo aperto. Verity prese il piccolo oggetto e si legò i capelli biondo scuro in una coda bassa, liberando finalmente il viso da quello strazio. In quell'attimo stava meglio, non c'era più alcun ciuffo ribelle che le finisse negli occhi o in bocca, perché quelli più corti rimanevano diligenti al loro posto dietro le orecchie.

«Posso toccarti?» Gli chiese all'improvviso il giovane, cogliendola di sorpresa. Per quale motivo aveva la necessità di toccarla? Di avere un contatto diretto con lei? Che richiesta assurda era?

Verity gli lanciò uno sguardo confuso, scatenando il lui solamente una risata divertita, dato che l'altra non stava capendo. Non trovava alcun motivo per cui lui dovesse toccarla, non riusciva a scovarne nemmeno uno. Se Tae l'aveva fatto per farle capire che c'era e tranquillizzarla nella situazione orribile in cui si era trovata, il ragazzo in azzurro non aveva motivazioni.

«Purtroppo, non sono io colui che ti spiegherà il motivo del contatto» si decise a spiegarle Liam, scuotendo la testa triste, come se fosse dispiaciuto per non poter colmare questo suo dubbio. «Ho un altro messaggio da riferirti, invece, ma potrò farlo solamente quando avrai superato questa tua paura» concluse prima di alzare una mano, come a riporle implicitamente il quesito.

La ragazza, in quel momento, capì che aveva un ruolo identico a Tae e che non c'entrava affatto il buio o simili, come aveva pensato inizialmente. Era là per aiutarla e guidarla, altrimenti non si spiegava come sapesse, pure lui, che doveva affrontare dei timori a lei ancora sconosciuti. Ogni cosa era troppo simile a ciò che era successo con il ragazzo in blu, fatta eccezione che il buio non c'era e il colore dominante era l'azzurro.

In ogni caso, non aveva idea di come comportarsi diversamente. Di fronte a lei aveva una donna triste, che guardava il mare e sussurrava parole incomprensibili. Magari, se lei si fosse lasciata toccare, il giovane avrebbe poi risposto a qualche sua domanda.

«Mi aiuterai a parlare con questa donna, se per caso ti lascio toccarmi?» Gli domandò infine Verity, osservando il sorriso divertito che, man mano, cresceva sul viso dai lineamenti leggermente spigolosi di lui.

«Certo, sono qui per questo. Non voglio farti del male» rispose l'altro, accettando la proposta e confermando solamente i dubbi della ragazza. Era una delle persone a cui Tae aveva accennato prima che lei se ne andasse, in riferimento al fatto che non era l'unico a conoscerla. Ma chi erano gli altri? Sarebbe riuscita a riconoscerli, oppure sarebbe diventato sempre più difficile scovarli? Erano tutti caratterizzati dal colore del luogo, oppure potevano essere anche delle paure da dover superare? Ma la domanda più importante era: poteva fidarsi di tutti loro? Oppure alcuni sarebbero risultati meschini e contro di lei?

Per il momento era la prima opzione quella corretta, sperava solo che lo sarebbe rimasta per tutto il corso del suddetto viaggio.

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