Capitolo 4 - Grigio (Prima Parte)

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Il paesaggio di fronte alla giovane la fece ricredere sull'opinione fattasi riguardo a quello precedente. Davanti a lei, infatti, una stanza apparentemente vuota era dipinta totalmente di grigio, con tonalità più scure sulle pareti. La malinconia l'avvolse immediatamente, desiderando con tutta se stessa di poter tornare indietro.

Per la prima volta da quando si trovava là si voltò indietro, dove era sicura ci fosse la porta da cui era appena uscita. Essa era ancora là, spuntava dalla spaccatura delle piastrelle grigio perla, in contrasto con quello simile al pelo del topo dei muri. Si avvicinò lentamente, allungando una mano verso la maniglia. Forse aveva la possibilità di tornare sui propri passi, fino al luogo in cui aveva lasciato Tae. Probabilmente aveva l'opportunità di scappare. Tuttavia, non appena sfiorò con la punta delle dita ciò che avrebbe dovuto afferrare per aprire l'uscio, una scarica elettrica le attraversò il corpo. Istintivamente Verity indietreggiò e cadde a terra, nel contempo che la porta si ritirava e tornava sotto il pavimento. Perfino la crepa si riparò dietro il suo passaggio, come se non fosse mai esistita.

Il respiro era accelerato a causa dello spavento che aveva preso, l'aria entrava e usciva dai polmoni attraverso la bocca. La ragazza tremava leggermente, non essendosi minimamente aspettata un fatto del genere. Com'era possibile che la porta l'avesse elettrificata? Non era collegata a nulla, nessuna presa di corrente poteva aver alimentato la scossa. Non c'era nessuna spiegazione logica in merito. Pensandoci bene, però, nulla di ciò che aveva incontrato sul suo cammino aveva avuto un vero e proprio senso. Perché doveva affrontare le proprie paure? Anche quelle che, oramai, si era lasciata alle spalle? Era una sorta di viaggio di redenzione, uguale a quello di Dante nel suo libro più famoso? Qualcuno l'aveva voluta là con uno scopo ben preciso? Per darle la possibilità di fare che cosa, però? Sentirsi male e rivivere ciò che avrebbe voluto dimenticare per sempre nella sua vita?

A quel punto delle strane immagini, simili a flashback, le passarono per la mente.

Si trovava a scuola e, poco distante da lei, due studenti la stavano osservando da un po'. La guardavano con attenzione, bisbigliando tra loro e ridendo ogni tanto, generandole disagio e sconforto. Anche loro, come le persone della paura precedente, non avevano un viso ben definito. Tuttavia, Verity era sicura di conoscerle. Ma perché, tra tutto ciò che poteva scegliere la sua mente, le aveva mostrato una scena del genere? Era in collegamento a ciò che aveva appena subito?

La ragazza scosse la testa, nel tentativo di scacciarsi di dosso le brutte sensazioni che iniziavano a invaderle il corpo. Si sentiva triste e malinconica, il tutto accentuato dai colori che l'avvolgevano come una morsa. Avrebbe voluto tanto piangere, eppure le lacrime rifiutavano l'ordine di uscire.

Con estrema lentezza la giovane si alzò in piedi, desiderando di poter veramente evadere da tutto quanto. Per quanto avesse tentato, invano, di andarsene da quel luogo, alla fine non aveva trovato alcuna via di fuga.

Si spazzolò i vestiti, un gesto quasi automatico, se non fosse per il fatto che, a causa di questo gesto, si accorse di un cambiamento: la striscia marrone era piena di diverse sfumature, insieme alle tonalità di blu e azzurro. Il processo iniziato nel mondo precedente, in cui anche il terzo colore aveva cominciato a mescolarsi con gli altri, era terminato. Era come se una bomba avesse mescolato tra loro i tre cromi, lasciando intatti gli altri.

Un'idea le passò immediatamente per ma mente, riflettendo anche su che cosa le aveva riferito Hobi poco prima. Se ogni colore, successivamente al superamento della paura, si univa a quelli già superati, voleva dire che le strisce sulla sua maglietta corrispondevano alle paure da dover affrontare, giusto? In tal caso, convinta della sua ipotesi, Verity contò le varie tonalità. Considerando che ne aveva già superate tre, ne rimanevano altre otto da affrontare, comprendendo il mondo in cui era. In tutto era obbligata a superare undici paure.

Ne aveva avute veramente così tante nel corso della sua vita? C'era stato un periodo, in particolare, in cui non era addirittura uscita di casa per i vari timori che aveva. Ma era davvero arrivata a possederne un numero così alto? Non era nemmeno in grado di individuarli tutti.

A un certo punto, la sua attenzione venne attirata da uno strano rumore, poco distante e alle sue spalle. Si voltò di scatto, notando qualcosa che precedentemente non c'era stato nella stanza.

Un bambino, sugli otto anni circa, era rannicchiato in posizione fetale con la schiena contro la parete opposta. Piangeva e anche molto forte. Nonostante non potesse vederlo in faccia, dato il viso premuto contro le braccia, era sicura che i rumori provenienti dal suo piccolo corpo fossero singhiozzi. A dividerli c'era un tavolino di metallo, su cui erano posti quattro oggetti: delle caramelle, una macchinina, molto probabilmente radiocomandata, dei vestiti e dei soldi. Che cosa doveva farsene? Qual era lo scopo di tutto quanto? Verity era più confusa che mai.

In qualche modo tentò di richiamare l'attenzione dell'altro, esattamente come aveva fatto con la ragazza della paura del futuro. Voleva capire se si trattava della stessa situazione, se fosse un modo di dirle che stava per iniziare la sua quarta prova. Anche in quel momento, il bambino non le rispose, pareva che non riuscisse nemmeno a sentirla.

Verity si guardò intorno, in cerca del Guardiano. Di lui, tuttavia, pareva non esserci nemmeno l'ombra. Non sapeva come comportarsi, aveva il timore di poter fare la cosa sbagliata senza una dritta adeguata. Non aveva la minima idea di come agire, continuava a osservare la stanza, girando su se stessa e aspettando che qualcuno le desse un indizio su che cosa fare.

Il cuore iniziò a batterle forte nel petto, il respiro accelerò di nuovo e le pareti parvero volerla schiacciare. Non aveva mai sofferto di claustrofobia, ma in una situazione del genere, dove il panico stava prendendo il sopravvento, la camera sembrò rimpicciolirsi e i muri avvicinarsi secondo dopo secondo.

La ragazza doveva trovare a tutti i costi un metodo per comprendere quale azione avrebbe dovuto compiere per andare oltre, colorare il mondo e far apparire dalle mattonelle la porta. Fece un passo indietro, capendo che era da sola. Per qualche strano motivo, se voleva comprendere come andarsene da quel luogo avrebbe dovuto farlo contando solo sulle proprie forze.

Verity, presa da un moto di curiosità, come prima cosa si posiziono davanti al tavolino, osservando gli oggetti. Anche se aveva qualche dubbio sui soldi, gli altri parevano essere esattamente i regali che un bambino di otto anni avrebbe voluto. Afferrò una maglietta, nel tentativo di capire se fosse della taglia del piccolo, ma una forte campanella la sorprese. Il suono si propagò per tutta la stanza, cogliendola talmente tanto impreparata che l'indumento gli scivolò di mano. Era acuto e fastidioso, apparentemente infinito, dato che scomparì solamente dopo un minuto buono. Dopodiché una voce metallica, indefinibile, annunciò: «Sei sicura che sia ciò di cui il piccolo Joshua ha bisogno? È quella la tua scelta finale? Una volta deciso, non potrai più tornare indietro».

Per quanto assurdo, Verity capì che stava parlando con lei. Oltre al fatto che, tranne il bambino, non c'era nessun altro nella stanza con lei, la voce aveva parlato nel momento in cui aveva avvicinato una mano alla maglietta, afferrandola. Spaventata a causa di quel suono, aveva sussultato ritirandola, come se si fosse bruciata. Era così che si chiamava il bambino, quindi? Joshua? E doveva aiutarlo per superare la prova? Trovare l'oggetto che gli avrebbe fornito un ausilio? Che fine aveva fatto il Guardiano? La sua mente era un turbinio di dubbi e quesiti.

Non aveva alcuna idea di come dovesse comportarsi. Da quello che aveva compreso, o almeno, credeva di aver capito, doveva aiutare Joshua, il piccolo posto contro il muro. Tentò nuovamente di chiamarlo, anche solo per chiedergli che cosa ci fosse che non andava, eppure lui non rispose. Provò a insistere, ma nessun risultato le diede la possibilità di ricavare un indizio.

Si sentiva persa, come se le mancasse qualcosa su cui fare affidamento. Molto probabilmente si era talmente abituata a cercare sostegno nei Guardiani, date anche le loro parole, che ritrovarsi da sola di fronte a una sua paura, che stava ancora cercando di capire, le causava una moltiplicazione dello spavento che già le circolava in corpo.

Si guardò per l'ennesima volta intorno, ma invano. C'erano solo loro due e la possibilità di scegliere uno di quattro oggetti. Mentalmente, Verity tentò di valutare che cosa sarebbe piaciuto di più al bambino. I soldi li escluse subito. Per quanto potessero piacere, non aveva intenzione di consegnare al piccolo del denaro, se poteva preferiva evitarlo. Si ricordò quando, da piccola, ci rimase male perché dei parenti le avevano regalato una busta con dei soldi invece di un giocattolo, come una Barbie o un bambolotto. Quando si è bambini l'unica cosa che si desidera è un metodo per esprimere le proprie abilità e creatività, si ha la forte necessità di trasferire nel gioco tutto quello che la nostra mente non è in grado di contenere. Per quanto potenti fossero i soldi, sicuramente non avevano quella capacità. Per tale motivo, Verity si avvicinò alla macchinina, allungando le mani per afferrarla.

Ancora una volta si propagò nell'aria la medesima voce di prima, comunicando la stessa identica cosa. Era gracchiante, fastidiosa e con un ronzio di sottofondo. Pareva che qualcuno si fosse impegnato affinché fosse talmente irriconoscibile da causare solo disagio in chi la potesse ascoltare.

Per la seconda volta, la giovane ritirò le mani, insicura della propria decisione. E se al posto del gioco avesse solo bisogno di vestiti? Affilando lo sguardo, la ragazza notò che i pantaloni erano sporchi in alcuni punti, mentre la maglia aveva uno strappo sulla manica. Sembravano usurati e trasandati, come se li stesse indossando da mesi ormai. Ancora una volta, Verity tentò di afferrare la maglietta, ma si ritirò subito, per la terza volta, non appena la voce metallica le parlò di nuovo.

E se fossero state le caramelle la soluzione? Magari aveva bisogno di un po' di zuccheri, poteva aver rovinato gli abiti e averli sporcati dopo un pomeriggio di giochi con i suoi amici, in cui aveva perso e, probabilmente, essere stato preso di mira per questo. Solitamente, lo zucchero aveva il potere di risollevare il morale, soprattutto ai più piccoli.

Per la milionesima volta, il suono di avvertimento si propagò nell'aria, portandola a tirarsi indietro di nuovo. Un dubbio le apparve nella mente: sarebbe accaduta la stessa cosa con i soldi? La risposta, affermativa, arrivò non appena le dita sfiorarono la carta delle banconote, portandola a indietreggiare di un passo.

Che cosa doveva fare? Qual era il bisogno che più premeva Joshua? Necessitava di zuccheri, giochi o vestiti nuovi? Come poteva lei capirlo, se l'altro non le dava alcun indizio?

Verity inspirò profondamente dal naso ed espirò dalla bocca, nel contempo che chiudeva gli occhi e rifletteva. Lentamente nella sua mente stava comprendendo di quale paura si trattasse: quella di sbagliare. Aveva talmente tanto il terrore di scegliere l'opzione errata, che qualcosa le impediva di prenderla e tentare. Non voleva ferire in alcun modo il bambino, l'unica cosa che volesse veramente fare era aiutarlo. Tuttavia non aveva in mente il come, neanche una singola idea. E se avesse preso più cose insieme? Magari aveva la possibilità di portare con sé la macchinina, le caramelle e i vestiti, senza la possibilità di decidere una singola cosa. E se fosse bastato un solo oggetto sul tavolo?

«Sei sulla buona strada» le sussurrò una voce alle sue spalle.

Il cuore iniziò a batterle forte nel petto, lo sentiva all'altezza delle orecchie, nel frattempo che spalancava gli occhi di fronte a sé. Non aveva ancora visto chi ci fosse alle sue spalle, tuttavia aveva già una mezza idea su colui che si sarebbe ritrovata davanti, non appena si fosse voltata.

Lentamente fece mezzo giro su se stessa, osservando attentamente la figura di fronte a lei. Poco più piccolo di un paio di centimetri, un ragazzo la stava guardando con un sorriso dolce e gentile, il quale illuminava ulteriormente le iridi grigio tempesta. I capelli, tendenti al nero, erano spettinati e un ciuffo gli ricopriva la fronte, sfiorando gli occhi di molto poco.  Il viso aveva i lineamenti leggermente duri e spigolosi, con un accenno di barba e baffi. Nonostante il colore della peluria, non dimostrava più di trent'anni.

Non ci volle molto perché la ragazza capisse chi era: finalmente aveva incontrato il Guardiano di quella paura.

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