2. La Cantastorie e L' Astronauta

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Il giorno dopo, Jules non si presentò a scuola.

Neanche quello seguente.

E neanche quello dopo ancora.

Trascorse così un'intera settimana, ma del piccolo cavaliere non vi era alcuna traccia.

Furono molte le chiamate che ricevettero lì nel castello -prigione- infestato, ma la sua regina si era limitata a liquidarle in fretta, con voce quanto più salda e disinvolta possibile, facendo riferimento ad una brutta influenza che lo aveva colpito e che lo aveva fatto stare molto male.

Bugie.

Ma Jules, appartato dietro una parete e silenzioso come le ombre che portava con sé, poteva avvertire con chiarezza il tono spezzato e lievemente tremolante di lei, che stringeva la cornetta del suo telefono rosso (il suo preferito, che non aveva mai voluto buttare né cambiare nonostante di quel tipo non se ne usassero ormai più. Diceva sempre che era stato un regalo, uno di quei ricordi indelebili che le facevano battere forte il cuore non per la paura, ma per l'amore che provava verso l'anima custodita in quell'oggetto e la persona che l'aveva protetta -chissà, forse un angelo custode?) come se fosse un'ancora di salvataggio e non volesse più abbandonarla.
In questo la capiva fin troppo bene: faceva lo stesso con Lily, dopotutto.

Le nocche sbiancate, il viso arrossato e i piedi che dondolavano incessantemente, però, poteva vederli solo lui. Dall'altro capo, invece, appariva sicuramente tutto normale.

La donna sorrideva smagliante, quasi per autoconvincersi che fosse una giornata qualunque e una semplice madre con un figlio veramente ammalato. Ma quel sorriso era tutto tranne che sincero: era sbagliato, sbilenco e forzato. Non la riconosceva mai in quei tipi di momenti: come riusciva a trasmettere così tanta sicurezza quando lei stessa non si sentiva sicura per niente?

Bugie.

Quatto quatto e con una zampina di Lily stretta in una mano, continuò ad origliare i borbottii e i bisbigli frettolosi al telefono. La volpina, ancora parzialmente scucita ma con un po' di imbottitura in più, strusciava sul pavimento, in ascolto nonostante la sua immobilità. Alle sue orecchie e ai suoi occhietti non sfuggiva proprio nulla, anche se rotti.

"Signora Shimmer, sicura vada tutto bene?" disse una voce femminile alquanto squillante, ma preoccupata. Era la maestra Hannah! Jules l'avrebbe riconosciuta dappertutto, persino in una terra straniera inesplorata o in un mare buio e sconosciuto: era buona e gentile con tutti, ma urlava sempre quando parlava. Non lo faceva con cattiveria -questo lo sapeva e lo capiva da...dalle esperienze che aveva avuto e che aveva ancora- semplicemente nessuno la stava mai ad ascoltare ed era costretta ad alzare la voce per mantenere l'ordine.

Il suo viso pieno e abbronzato gli trasmetteva sempre simpatia e non si accartocciava mai, neanche quando si arrabbiava. I suoi capelli rosa come lo zucchero filato, poi, lo facevano impazzire di gioia e lei glieli lasciava sempre toccare e sistemare: sembravano proprio nuvole, soffici e morbide! Lui ci si catapultava con il suo casco da astronauta ben indossato e con un razzo guidato da Lily, in missione per la ricerca di nuovi regni spaziali.

Hannah lo trattava sempre con delicatezza e con lui non alzava mai la voce, anche se le veniva naturale parlare a voce alta: lo beccava sempre in un angolino della classe da solo, con le mani sulle orecchie, la testa rivolta verso il basso -verso la sua volpina stretta in grembo- chiuso in se stesso e in attesa di qualcosa che aveva paura potesse arrivare e colpirlo. Ma con lei non sarebbe mai successo.

Allora gli si avvicinava e, dopo aver riportato gli altri bambini al silenzio, gli accarezzava la schiena con lenti ma rassicuranti cerchi, gli sussurrava parole dolci e infine lo invitava a giocare con lei in un posto più calmo e silenzioso. Era bassina, robusta, forte e generosa proprio come lo poteva essere una fatina delle fiabe: lei lo comprendeva, lo tranquillizzava in un'aula vuota (ma non meno colorata e piena di giochi della sua) e poi lo riportava in classe , dove il caos regnava sovrano e i suoni parevano perforargli i timpani, sotto forma di fischi acuti che gli causavano seri mal di testa e che sconvolgevano il suo ordine.

Se anche un solo frammento di lui non fosse stato in ordine...

Non se lo poteva concedere.

No.

Doveva essere tutto perfetto. Tutto al suo posto.

"Certo signorina Hannah, potete stare tranquilla, ve lo giuro!"

Bugia.

La mamma non stava bene. Per niente.

La mamma soffriva in silenzio e si medicava le ferite di nascosto.

Poi piangeva e si asciugava occhi che non riuscivano più a sopportare fiumi di lacrime, rideva e rideva e rideva e poi si lasciava andare ad un lungo, tremendo silenzio, con la schiena poggiata ad una parete o alla vasca da bagno e la testa che ciondolava come un fiore appassito, con occhi spenti e capelli tagliuzzati, circondata dal suo giardino di forbici, bende, caramelle colorate e rivoli di rosso che lasciava scorrere o cercava di tamponare e coprire .

Jules detestava il rosso.

La mamma lo adorava.

Ne erano circondati sempre più spesso e quasi continuamente da tanto, troppo tempo.

Lui cercava di essere coraggioso e di trattenere le ondate di emozioni in combutta nel suo corpo che erano sempre sul punto di coglierlo e travolgerlo nei momenti meno opportuni, ma la vista di quel colore non solo lo faceva impazzire. Lo faceva ricordare.

E Jules non voleva ricordare.

No no.

I pastelli che usava per colorare erano rossi. Le rose del suo giardino e quelle custodite con cura o spezzate e dimenticate nei loro vasi erano rosse. I pomodori dell'orticello dei vicini erano rossi. Le fragole erano rosse, proprio come le ciliegie che il mostro adorava snocciolare. Il sangue che sgorgava da loro era rosso. Il telefono all'entrata era rosso. Il suo mondo era rosso.

"Jules ritornerà a scuola lunedì, non sta più nella pelle! È da tutta la settimana che non fa altro che ripetermi di voler viaggiare con voi su un nuovo pianeta" disse, ridacchiando e agitando una mano in aria per poi riagganciarla in fretta al filo a molla della cornetta, rigirandoselo convulsamente fra le dita.

"Hey Lily" sussurrò lui, portandosi la volpina arancione vicino al viso. "Ma perché la mamma continua a raccontare tutte queste cose? È da tanto tempo al telefono con la signorina Hannah... le sta ripetendo le stesse frasi da millemila ore!"

Lily lo squadrò con i suoi intensi occhietti neri, poi abbassò il musetto bianco e incrociò il suo sguardo indagatore. Jules se l'avvicinò ancora di più all'orecchio e annuì energicamente.

"Beh, non hai tutti i torti...anzi, hai sicuramente ragione. Tu hai sempre ragione, sai? Ecco perché sei la mia fedele consigliera. Sicuramente è colpa di lui" pur di non pronunciare il suo nome-quello del mostro- calò la voce così tanto da dover ribadire più volte il concetto alla sua amica, chiudendo inoltre a coppa una mano sulla bocca.
Non poteva mica farsi beccare, neanche dalle ombre o dal vento.

"Meglio prevenire che curare" affermavano gli adulti: meglio essere cauti e prestare attenzione per evitare di cadere in trappola.

"Le avrà ordinato di fare la brava, proprio come fa sempre con noi: se disubbidisce la riempirà di nuovo di botte, di graffi e di rosso..." Jules rabbrividì e le gambe per poco non cedettero ai suoi tremori.

"Stupide gambe! Dovete stare ferme!" frustrato, batté i piedini nudi sul tappeto di un grazioso blu scuro nel tentativo di risvegliarle e non farle addormentare.
Anche loro cadevano nel Vuoto, ogni tanto. Avvertiva prima un'orda di formiche arrampicarsi su di lui a partire dalla pianta dei piedi, poi semplicemente il fastidio diveniva così insopportabile da costringerlo a dibattersi o a graffiarsi nella speranza di mandarlo via ma, alla fine, aveva la meglio, costringendolo a rimanere bloccato per terra senza la possibilità di muoversi per diversi minuti.
E, come se non bastasse, quel continuo tremare e barcollare...non ne poteva proprio più.
I suoi compagni lo prendevano sempre in giro chiamandolo agnellino dalle gambe storte.

Era un agnellino, fragile e indifeso, lasciato in pasto al lupo cattivo.

Fortunatamente le formiche si dispersero e Jules poté ritornare alla conversazione, ignorando le ginocchia ancora sbucciate, le crosticine, i lividi violacei e i graffi infiammati sparsi un po' dovunque sulla sua pelle lasciata scoperta dai pantaloncini e dalla sua maglietta con i dinosauri e gli asteroidi.
Ma ce n'erano altre, di ferite, che teneva ben nascoste, sul suo corpo e nel suo cuore.
Non tutto poteva essere colto dagli occhi degli altri: più copriva, meglio era.
Il suo dolore doveva rimanere un segreto.
E Jules, da bravo custode di segreti, non ne avrebbe mai parlato con anima viva, né le avrebbe mostrate.
Erano la sua punizione.
Era stato cattivo.
Se le meritava.
Un'ondata di fitte gli trafissero il petto, la testa e, ancora, le gambe come lame del ghiaccio più affilato, ma si sforzó di non badarci, concentrandosi sul suo respiro e sui suoi polmoni dolenti mentre inspirava ed espirava.

Male.
Faceva male.
Troppo male.

Respira respira respira respira.

Così, strabuzzando gli occhi e chiudendosi a riccio per non lasciar trapelare alcun suono ed evitare di spezzarsi completamente in due, semplicemente qualcosa, o meglio, delle immagini, bussarono alle porte della sua mente.

Vetro.
Vuoto.
Mamma.
Mostro.
Pugno.
Vuoto.
Vetro.
Rosso.
Rosso.
Gambe.
Muro.
Schiaffo.
Vuoto.
Stanza.

E vide scorrere dinanzi ai suoi occhi quel vortice di frammenti sparsi, confusi e sfocati che non riusciva a mettere al loro posto -o forse non voleva- da giorni.
Da quando...

Da quando lui lo aveva rinchiuso nella Stanza.
Da quando lui gli aveva offerto quel collo di bottiglia e gli aveva ordinato di fare alla madre le stesse faccende (come le aveva definite) di cui si era sbrigato poco prima.
Jules ricordava poco niente, solo parole appese precariamente alla sua memoria, intrappolate in una sottile ma salda ragnatela che non capiva se stesse aiutando lui o il mostro.

Aveva combattuto? Si era arreso?

Evidentemente, considerato come e dove si era risvegliato, si era rifiutato di obbedirgli ed aveva fatto il cattivo.

Ricordava vagamente le proprie mani esitare e tremare come foglie prima di afferrare l'oggetto e dirigersi, spinto dal mostro, verso la madre dall'abito bianco zuppo di sangue, lacrime, sudore e chissà cos'altro ancora.

Ricordava Lily distesa sul pavimento, inerme come lui, ad assistere ad un'altra di quelle scene che le avrebbero fatto visita nei suoi incubi.

Ricordava gli occhi verdi della madre, nei quali non riusciva più a scovare quella particolare scintilla che li rendeva vivi. Che gli assicurava che la sua regina sognava. Che era ancora lì con lui e non se n'era andata, ma sopportava e combatteva.

Infine, ricordava un braccio sollevarsi -il suo o quello del patrigno?- del vetro frantumarsi, una camera vorticante, una forte pressione irradiarsi dal suo petto pronta a frantumarlo e a schiacciarlo, come se sopra ci avessero messo un peso, e, infine, i mostriciattoli del Vuoto che se l'erano portato via ronzando e sghignazzando soddisfatti.

Il resto...era come vagare alla cieca nella nebbia: cos'aveva visto e udito? Era la realtà oppure un sogno?

Il Vuoto, stavolta, gli aveva concesso il favore di tenerselo con sé e badargli per diverso tempo, consentendogli di vagare come un astronauta in uno spazio sì buio, ma senza alcuna stella.  Nonostante tutto, gioiva di quell'assenza di gravità e di pensieri, di quel nulla che lo sbalzava ora qui ora lì, leggero come una piuma e privo di quel peso che tanto lo opprimeva. Si sentiva così felice...così in pace con se stesso. Perché non poteva essere sempre così? La sua testolina doveva per forza tollerare così tante preoccupazioni e rassegnarsi ad una vita fatta di cocci rotti da incollare insieme, di lacrime e pensieri che lo tormentavano come fantasmi? Quanto pregava di rimanere lì solo un pochino più a lungo. Almeno, non avrebbe più avuto paura: le emozioni, lì, erano vuote e sfuggenti, ma questo lo appagava perché era certo che sarebbe stato tranquillo e sereno in ogni momento.

E ne aveva disperatamente bisogno, ora più che mai.

Ad un certo punto, però, aveva intravisto nel buio flebili spiragli di luce. Era un passo dentro e un passo fuori dal Vuoto: qualcuno lo stava riportando indietro? Aveva avvertito il proprio corpo appesantirsi e gli occhi sfarfallare nel tentativo di mettere a fuoco il mondo su cui era atterrato, ma era così stordito da non afferrare ed elaborare completamente ciò che gli stava accadendo. Delle braccia, stavolta più esili e sottili, lo avevano preso in braccio e condotto da qualche altra parte, in una stanza più luminosa (gli occhi gli bruciavano terribilmente e probabilmente aveva iniziato a mugugnare e agitarsi, strofinandosi le palpebre e le ciglia umide: dopotutto, era stato strappato via dal luogo che lo riempiva di gioia); poi si erano librate su di lui, disteso su una qualche superficie solida e dura, e lo avevano...sistemato? Si muovevano in fretta come dei fulmini ma, al contempo, riusciva a percepire la dolcezza e la delicatezza dei loro tocchi.

Più di là che di qua, si era di nuovo addormentato, con il suono di una voce di cui non riusciva a cogliere le parole. Non appena si era risvegliato, si era ritrovato nella sua cameretta, accolto dalle sue stelle e dai suoi pianeti luminosi e fosforescenti incollati sulle pareti e al soffitto.
Aveva anche notato, come seconda cosa, che non riusciva propriamente a muoversi e che i muscoli gli urlavano di stare fermo se non voleva procurarsi altri danni.
Terzo punto: Lily dormiva accanto a lui, avvolta nel caldo e confortante tepore delle coperte, bendata e rattoppata laddove prima cedeva.
Quarto punto: Jules stesso si era risvegliato pulito, bendato e con indosso il suo pigiama preferito (ovviamente blu, con le costellazioni, gli asteroidi e piccoli caschi da astronauta. Il suo casco da astronauta -quello vero- era invece appollaiato sul suo comodino).

Respira.

La voce nella sua testa lo riportò alla realtà, seppur con l'affanno, il cuore galoppante e la pelle velata di un sottile strato di sudore.
Il dolore fortunatamente pareva essersi ritirato, eppure quella sensazione continuò ad aleggiargli intorno come una nube velenosa pronta a coglierlo di nuovo in uno stato di fragilità.
Doveva prestare molta più attenzione se non voleva divenire una vittima degli stessi tranelli della sua mente.

Recuperata un'apparenza di normalità, si sporse leggermente dalla parete per sbirciare la madre che, con un ultimo, profondo sospiro, salutò frettolosamente la maestra per l'ennesima volta e mise giù la cornetta.
I suoi occhi erano stanchi e solcati da profonde occhiaie mentre le spalle erano flosce, ma comunque tese quel tanto che bastava per rimanere in stato d'allerta.
Il pericolo si acquattava sempre dietro l'angolo e, in quel caso, se ne stava beatamente disteso con le braccia sulla ringhiera delle scale dirette al piano superiore.

Il piano della Stanza.
Il piano del Vuoto.
Il piano prediletto dal mostro.
Ma anche il piano delle storie e delle stelle, degli abbracci stretti e disperati, dei baci dolciastri e dei sogni dipinti sulla parete della sua stanzetta con brillanti azzurri, blu, neri, bianchi e gialli.

Come poteva essere tutto così bello e terribile al tempo stesso?
Ogni cosa gli ricordava lui.
Ma ogni cosa gli ricordava anche lei.
Come tenebre e luce si azzuffavano per ottenere in premio il dominio sulla sua mente e la chiave per la sua anima ma, come spesso purtroppo accadeva, non era il bene a vincere e a salvarlo da un'inevitabile rovina che lo avrebbe condotto alla follia.

Jules a volte si sentiva talmente triste da non proferire parola per un giorno intero, rintanato in qualche suo rifugio a disegnare insieme a Lily.
Ma si trattava di qualcosa di più rispetto alla semplice tristezza: avvertiva un pozzo senza fondo dentro di sé, una mancanza che non riusciva proprio a colmare.
Né lui né la sua mamma.
Lì subentravano allora i sensi di colpa, la rabbia e l'irritazione.
E piangeva, rideva, poi troncava le sue stesse urla e infine piangeva e rideva di nuovo, ma si sentiva così forzato e fuori controllo da cadere in un baratro di continue crisi.
Allora si estraniava, preferendo accucciarsi immobile insieme alla sua volpe e vagando in lungo e in largo per quelle distese infinite di rocce e crateri che la sua testa gli presentava come via di fuga, fino a quando non riprendeva pienamente coscienza e la sua "anima" ritornava al proprio posto.
Nel suo corpo.
Altrimenti, rimaneva intrappolato in un universo tutto suo e a sua completa disposizione: se gli fosse successo qualcosa nel mondo reale, probabilmente neanche se ne sarebbe accorto.

Forse più tardi avrebbe dovuto provare una della caramelle della madre; dopotutto, dopo che le prendeva, ritornava felice e tranquilla.

Chissà se era a conoscenza del fatto che Jules l'avesse scoperta più volte, di nascosto, a comportarsi esattamente come lui e a rifugiarsi, specialmente la notte, in bagno, in cucina e persino sul balcone, dove, tra le vesti svolazzanti che mostravano le sue cicatrici, osservava la strada, il giardino e l'oscurità incombenti dinanzi a lei, sporgendosi dalla ringhiera debolmente illuminata dalla luna. Per molto, molto tempo.

Lui poi sgattaiolava via in silenzio (era molto bravo a non fare rumore) e ritornava nella sua cameretta cercando calore e conforto fra le zampette morbide di Lily che, prontamente, lo abbracciavano e rassicuravano. Dopo la sua mamma, rappresentavano la sua seconda casa.

Non aveva il coraggio di disturbare la sua regina o di farsi scoprire: cosa sarebbe accaduto, altrimenti, se l'avesse tagliato fuori e gli avesse nascosto episodi del genere? Come avrebbe potuto tenerla d'occhio? Provava un forte impulso di correre da lei e sottrarla al freddo pungente, di rimboccarle le coperte e dirle che sarebbe andato tutto bene, di raccontarle una storia come faceva sempre lei con lui quando stava male, di fare la brava guardia e proteggerla dal mostro che sperava con tutto il cuore di sconfiggere, un giorno.

Sii forte, sogna e combatti.

Il piccolo cavaliere avrebbe raggiunto il suo lieto fine e reso davvero orgogliosa la donna che si era presa cura di lui in ogni momento, bello o brutto che fosse. Ma soprattutto in quelli peggiori. Jules sapeva quanto lei sarebbe stata restia nel farsi aiutare, ma anche i guerrieri necessitavano di aiuto e non dovevano essere costantemente costretti a lottare. La sua mamma negli ultimi giorni era così stanca e abbattuta da faticare ad uscire dal letto, eppure gli sorrideva sempre, gli preparava la colazione e provava a giocare con lui, evitando prontamente i tocchi indesiderati del mostro e le sue false attenzioni. Continuava a regalarle fiori o dolcetti dopo gli "incidenti di percorso", ripetendole quanto la amasse e scusandosi per la sua irascibilità; rincuorandola poi con amabili e bugiarde paroline, baci veloci ma intensi e "carezze" che presagivano ben altro che amore.

"Giuro che non accadrà mai più, te lo prometto" assicurava, avvolgendola con quel suo corpo tozzo e massiccio di cui avevano saggiato la potenza e i limiti. E poi corrompeva Jules, o meglio, Julian, con un'infinità di giocattoli e libri illustrati che sarebbero poi stati gettati in un baule della sua camera, ben chiuso a chiave.

Non avrebbe mai e poi mai accettato regali da parte di un bugiardo violento, distruttore di promesse proferite dalla sua bocca molesta. Tutto ciò che diceva era inconsistente come l'aria: bastava poco, una mera scintilla, per appiccare in lui un fuoco incontrollabile e ridurre in cenere quelle speranze -false- di cui tanto parlava. E purtroppo a quelle speranze ci credevano veramente. Quanto potevano essere disperati da dimenticare momentaneamente, in cambio di un pugno di pace, gli orrori che erano costretti a subire giorno e notte?

"Finalmente hai finito di parlare, Miriam" la voce tonante del mostro lo riscosse dal suo flusso di pensieri e Jules, con Lily al suo seguito, tese bene le orecchie per non perdersi neanche un minimo dettaglio.

"Chi era? La scuola?" aggiunse subito, con fare sospetto e inarcando un folto sopracciglio.

"Sì...era la maestra di Jules. Chiedeva di lui e del perché si fosse assentato tutta la settimana...era molto preoccupata" rispose lei, contenendosi e mostrandosi quanto più calma possibile. Posò la cornetta rossa, soffermandovisi un po' più del solito e sfiorandola leggermente con le dita; poi, incrociò le braccia e si voltò verso due occhi glaciali che parvero scavarle l'anima.

Si passò una mano sulla barba ispida, annuendo pensoso e scendendo gli ultimi gradini per posizionarsi di fronte a lei. Inutile ribadire il modo in cui la torreggiava, fasciato nelle sua camicia inamidata e nei suoi pantaloni scuri che indossava per il lavoro, perfettamente ordinato ed elegante dalla testa ai piedi, con tanto di gel sui capelli ben curati e cravatta rossa.

Rosso. Ancora rosso.

Studiò la compagna con un'attenzione tale che a Jules sembrò più un giudice in attesa di emanare un verdetto che un uomo d'ufficio e d'affari. La contrapposizione tra i due non poteva essere più evidente e...triste, agli occhi del piccolo e della sua amica.

Lui, un uomo tutto fascino e muscoli che fingeva di essere serio, di buon animo e un gran lavoratore; il classico cattivo che la faceva franca con il suo viso attraente -da traditore e manipolatore- e i modi pratici ma fini, curati nei minimi dettagli. Per non parlare del fatto che tutti credessero che fosse un patrigno fantastico e amorevole, un gentiluomo d'altri tempi incapace di far del male persino ad una mosca o di sfiorar altri -ma soprattutto altre- nemmeno con un fiore.

Bugie.

Con quei dannati fiori, quelle dannate rose rosse, lui non solo faceva del male. Lui uccideva. Lui torturava fino all'ultima goccia di sangue spillato da un corpo tempestato di rovi e di spine.

Lei, una donna semplice, intelligente, bella e dal cuore grande, grondante di magia; una regina ridotta ad esser serva, tenuta lontana persino dal sole. Lei, nascosta sotto felpe, maniche lunghe e pantaloni larghi, doveva celare i segni indelebili delle sue battaglie e del nemico che, ebbro di vittoria, non esitava nel marcare le sue conquiste con entusiasmo, pelle dopo pelle. Lei, che non poteva dare nell'occhio in alcun modo o agire come di consueto. Lei, che non poteva mangiare o indossare quello che desiderava. Lei, a cui era proibito alzare il tono di voce e liberare quei demoni che la stavano consumando giorno dopo giorno, tra lacrime amare e silenzi assordanti. Lei, a cui non era consentito ribellarsi quando la notte il mostro le tappava la bocca e le si muoveva sopra con forza, bloccandole ogni via d'uscita e facendo persino cigolare il letto.

Semplicemente lei, una madre invisibile alla disperata ricerca di un lieto fine, di una chiave per sfuggire dalla gabbia e volare via, libera nel vento, verso quelle stelle che tanto auspicava di raggiungere, proprio come Jules.

Jules che era la sua unica voce in un mondo privo di suoni, muto. Un mondo che viveva di dolci ed invitanti bugie. Un mondo che soffocava. Un mondo che pugnalava alle spalle. Un mondo senza amore. Un mondo senza sogni né storie scritte sulle pareti del proprio cuore.

E il piccolo provò solo ed unicamente un profondo ribrezzo nell'osservare il patrigno toccare la madre, anche se questa volta solo con le sue luride mani su spalle gracili e scheletriche come il resto del suo corpo, annegato in abiti che illudevano quello spazio che in realtà mancava. Spazio che avrebbe dovuto riempire in modo sano. Quanti altri vuoti albergavano in lei?

"Beh, il problema non si poneva fin dall'inizio, no?" disse suadente, passando le dita sui capelli sciolti di lei, fluenti come una seta prodotta dalla notte stessa.

Se avesse potuto, gli avrebbe tagliato le mani. Anzi, si sarebbe fatto aiutare anche da Lily. Le volpine mordevano bene se istigate abbastanza.

"Jules è stato male, tutto qui. Dopotutto sai com'è tuo figlio, se la prende per ogni cosa e si comporta da idiota con quella sua volpe del cazzo. Dovresti educarlo meglio sotto questo punto di vista, non mi sembra il caso di aggiungere ulteriori problemi tra di noi, vero? Ah e a tal proposito...legati i capelli, dopo".

Jules si pietrificò. E così la madre che, con la scusa, si allontanò impercettibilmente, allentando la presa di lui che, nel frattempo, aveva scrollato le spalle e alzato le mani in aria, come in segno di resa.

"Una volpe del...cazzo?" pensò, per poi rivolgersi a Lily, mortificato. "So che è una brutta parola. La ripete spesso. Ma tu sei una volpina bellissima, la migliore del mondo! Non essere triste e non ascoltare quello che dice. È cattivo, lo sai. Mi ha appena detto che sono un idiota...e questo non è niente, pensa. Almeno non mi ha chiamato figlio...non ce l'avrei fatta, altrimenti" asciugò delle lacrime dagli occhietti della volpe -erano vere o era la sua immaginazione?- ma si rese presto conto di essere lui quello a star piangendo. Ma non troppo. Non doveva sembrare stupido.

"Jules non è un idiota, Killian!" ribatté decisa la sua regina, puntandogli contro un dito. Stava osando, e non poco! Sperò che non venisse punita per questo suo gesto di sfida. "Jules è solo un bambino. Un bambino! E sai bene anche tu quanto sia intelligente e capisca molto più degli altri. E la sua piccola Lily non è una volpe del cazzo..." sputò quelle parole con un'amarezza pregna di nostalgia. "Lui ci è nato con quel peluche. Il loro è un legame che non potrai mai comprendere. Mai." alzò i suoi occhi verso quelli del compagno, umettandosi le labbra screpolate e sforzandosi di non lasciar trasparire neanche un minimo tremore.

Nonostante non riuscisse propriamente a scorgerli da dietro la parete, sapeva per certo che ardevano di rabbia ed emanavano scintille che presagivano l'inizio di qualcosa di più. Di un fuoco. Di un incendio.

"Lily! Lily! Hai sentito?" esclamò Jules con una giravolta. "Te l'avevo detto che sei super!" Lily parve sciogliersi fra le sue braccia, accoccolandosi contro il petto del suo padroncino.

Il mostro ridacchiò, poi le agguantò un dito e lo strinse appena, abbassandolo con una lentezza glaciale. La madre storse il naso e si tese come una corda di violino, ma non si smosse.

"Pff" sbuffò, spolverandosi i vestiti immacolati. "Julian..."

"Jules" puntualizzò lei, incenerendolo con lo sguardo e sostenendosi al tavolino con sopra il telefono. Stava resistendo alla grande, andando incontro ai suoi limiti pur di proteggere lui. Suo figlio. La sua ancora. La sua stella.

"Julian" insisté, facendo finta di non averla minimamente sentita. "È un tantino viziato e anche un po' pazzo. Credo ti convenga metterlo in riga come faccio io: hai notato anche tu come funzionano i miei metodi. È un uomo e deve capire che la forza è tutto ciò che conta in questo mondo se non vuole farsi calpestare dagli altri, non tutte quelle tue storielle che lo confondono e lo fanno impazzire. Sembra proprio un deviato, certe volte."

La madre boccheggiò, attonita, scuotendo la testa come per mandar via quelle assurde bugie.

O forse lui era davvero così...così...

"A Jules non manca proprio niente. Niente." urlò la madre, ormai un fascio di fiamme. "E non merita di essere picchiato a morte così e gettato in gattabuia ad arrovellarsi nel dolore per colpa tu-"

"Bada a come parli, Miriam" la interruppe, avvicinandosi a lei con una singola, ampia falcata. Cadde un silenzio tombale, saturo di una tensione che avrebbe potuto scatenare su di loro una tempesta di fulmini. "Le mie sono solo...particolari visioni educative".

La donna si paralizzò, parandosi istintivamente il viso con le braccia e digrignando i denti.

Al mostro questo atteggiamento piacque. Ma non le parole successive.

"Infatti si vede proprio quanto tu sia così dannatamente cieco! Comprati un paio d'occhiali, pure due, e poi ne riparliamo".

Jules sbiancò.

Come...come era riuscita a...rispondergli così?

L'uomo, di conseguenza, iniziò a ribollire, chiudendo le mani a pugno e distorcendo quel volto austero e compiaciuto in una maschera di pura furia.

Eccolo il mostro dai mille volti.

"Non. Osare. Parlarmi. Con. Questo. Tono." scandì bene ogni singola parola, affilandola come una lama pronta ad essere calata sulla testa della sua rivale. "Non ti è bastato l'altra volta, eh? Gradiresti un trattamento ancora più esemplare? Sei proprio cattiva..."

"Io non sono cattiva, Killian" la madre, deglutendo visibilmente, si mantenne salda nonostante la sua evidente ansia crescente e il respiro accelerato. "Io sono una sognatrice. E credo fermamente che l'amore sia la cura ad ogni male del mondo. L'amore è di gran lunga più potente dell'odio: rappresenta la salvezza laddove regna la disperazione. Io...darei la mia stessa vita pur di salvare mio figlio. Tu...tu sei la causa di ogni nostro problema. Sei il nostro veleno..."

In un arco di tempo talmente breve per essere colto, il mostro le scoccò due schiaffi che risuonarono nello spazio fra loro come l'eco di una bomba. La madre si portò entrambe le mani al viso arrossato, inerme. Agli occhi di Jules lei non aveva perso...aveva vinto. Aveva compiuto un piccolo passo nella sua marcia di guerra. Era inevitabile, però, che il suo cuore si stesse frantumando in mille pezzi. Quegli schiaffi...

Non riuscendo proprio a trattenersi alla vista della sua guerriera umiliata in tal modo, abbandonò il suo nascondiglio dietro la parete e si fiondò fra i due, proprio mentre il patrigno alzava di nuovo il braccio, pronto per un nuovo attacco.

"Mamma! Mamma!" gridò disperato, per poi rivolgersi al mostro, ora immobile e palesemente forzato a trattenersi. "Ti prego, basta! Basta!"

Sospirando profondamente, lo guardò inferocito, disgustato dalla sua vista. Poi semplicemente spalancò la porta d'ingresso e intimò, indicandoli con dei cenni della testa: "Fate i bravi, tutti e due". Quegli occhi di ghiaccio li trapassarono da parte a parte, illuminati dalla luce soffusa del sole tardo-pomeridiano. Jules si sentì svenire, ma era fiero e consapevole del fatto che aveva appena salvato la sua amata regina.

"Ringraziate il cielo che starò via per qualche giorno, poi faremo i conti più in là...tesori miei. Tutto ciò che faccio è solo ed esclusivamente per voi e non siete neanche in grado di apprezzare una persona che dice le cose come stanno e che vi mantiene più che dignitosamente. Perché non capite quanto vi amo?"

E alla fine sparì, avvolto in una luce che inghiottì le sue tenebre.

"Oh, Jules mio...mio piccolo eroe...mi dispiace" singhiozzò la sua mamma, ancora sotto shock, stringendolo forte e accarezzandogli la schiena e i folti capelli, scuri come i suoi. "Mi dispiace tantissimo..."

"Non ti devi preoccupare, mamma" disse Jules, con le lacrime a solcargli silenziosamente le guance scavate. "Ti prometto che saremo felici e che andrà tutto bene. Lo pensa anche Lily!"

"Ma certo, sì...andrà tutto bene...tutto..."

Tra pianti e sospiri liberatori si accasciarono a terra, soli al mondo e avvolti in un abbraccio che racchiudeva ogni parola e ogni sogno che non erano mai stati in grado di salvare dal buio.

Qualche ora dopo, al levar della luna, Jules decise di farsi coraggio e di sgattaiolare al piano superiore, lasciando la madre intenta a sistemare alcune faccende.

Erano rimasti abbracciati a lungo, respirando l'uno i pensieri dell'altro e aggrappandosi ad ogni centimetro di tessuto o di pelle per assaporare la sensazione di essere finalmente uniti, senza alcuna barriera a dividerli.

Fu immenso il senso di liberazione che aveva allentato le catene dei loro cuori dopo che il mostro si era sbattuto la porta alle spalle. Li aveva abbandonati lì, accucciati su un pavimento chiaro e lucido come uno specchio (grazie alla madre, naturalmente. In quella "casa" persino gli angoli dovevano brillare), mentre piangevano, si sfogavano e dondolavano come se si fossero incontrati per la prima volta dopo anni ed anni.

Non aveva avvertito neanche il dolore alle ginocchia sbucciate o alle crosticine che si staccavano, aprendogli le ferite. Tutto ciò su cui si era concentrato era la sua mamma, che oggi era stata più forte che mai. Le aveva accarezzato le guance umide e vi ci aveva stampato due baci, semplici e veloci, sussurandole teneramente che l'aveva guarita con la sua magia e che non avrebbe dovuto temere alcun male, né dalla sua bua né da nessun altro. Poi era toccato a Lily darle delle lievi pacche sulle spalle e sui capelli, assicurandosi al suo collo e facendole il solletico.

Lei, ancora un po' rigida e nervosa, era riuscita comunque a ridere e mostrare un bellissimo sorriso che la rendeva semplicemente unica nonostante l'aspetto trascurato e trasandato. Non tutti gli eroi indossavano una corona o ostentavano una snervante perfezione, dopotutto. Esistevano, infatti, eroi la cui corona consisteva nel semplice fatto di aver compiuto ciò che il cuore comandava, sacrificando di ogni pur di salvare le persone che amavano. Ad ogni costo.

Subito dopo i suoi occhi avevano ripreso a brillare come non mai, e non solo per colpa delle lacrime. Erano occhi colmi di gioia e di sollievo, che l'avevano portata ad allentare, seppur minimamente, quella tensione accumulata fino ad allora. Jules aveva potuto ammirare una nuova sfumatura di colore: "verde nebbioso". O forse era meglio definirlo "verde nebuloso", proprio come quella nebulosa da cui, con un'esplosione, sarebbero nate le stelle. Il suo sguardo, infatti, tradiva  un velo di paura, preoccupazione e tristezza ma, una volta levato, era stato in grado di contemplare quella distesa infinita di campi -la sua anima verde speranza- da cui le migliori storie prendevano vita.

"Non voglio che tu mi veda...così, piccolo mio" aveva detto, indicando se stessa con una mano venata di cicatrici biancastre. Jules le trovava affascinanti perché le ricordavano le scie della Via Lattea o quelle lasciate dalle comete. Come poteva, nella sua mamma, esserci qualcosa di brutto o sbagliato? La trovava comunque strepitosa nonostante i demoni che si trascinava giorno dopo giorno, contro i quali lottava nei "momenti di luce"(quando era abbastanza lucida da conservare forze ed energie) o che faceva finta di evitare, come se non esistessero, nei "momenti di buio" (quando sembrava stesse per impazzire e collassare seduta stante, ansante e intenta a strapparsi i capelli e a squarciarsi una pelle sottile come carta, sfigurata già fin troppe volte).

Tutto ciò che desiderava davvero, però, era che la madre fosse sul serio se stessa. Felice. Libera e luminosa come una stella.

Jules era consapevole delle maschere che indossava per garantirgli quella normalità che tanto sognava. Si trattava comunque di bugie forzate, vero, ma si sforzava di crederci e di convincersi che stesse bene perché, se lei avesse saputo che in verità non era così, avrebbe toccato il fondo. E non sarebbe più risalita.

Proprio quella madre che fino a qualche giorno prima barcollava con gambe tremanti e pesanti e si tamponava le ferite come poteva, disorientata nella sua stessa dimora, ora aveva medicato le ginocchia con un disinfettante pungente, coronando il tutto con delle bende e dei cerotti colorati. Ovviamente si era occupata anche di Lily! L'aveva tappezzata di cerottini, proprio come lui!

"Io ti vedo, mamma" aveva poi risposto,  a bassa voce, per abitudine a non dover essere udito. "Ti vedrò sempre. Tu sei speciale e lo sarai per tutta la vita e oltre! Il mostro prima o poi la pagherà cara...ma devi essere te stessa. La tua anima conosce la verità" .
Un singhiozzo gli scosse il petto, portandolo a stringersi la maglietta per resistere dall'imminente caduta in mille pezzi. "Mammina...io non voglio più bugie! Io...io..."

Incapace di concludere la frase, lei lo aveva preso in braccio e cullato con una tenerezza tale da placare momentaneamente il suo animo in subbuglio, riempiendolo di una melodia che lui solo aveva l'onore di ascoltare.

"Voglio che noi siamo felici. Voglio che lui se ne vada via. Non voglio più la Stanza né vedere te soffrire. Tu sei una regina ed eroina magnifica! Io invece...è colpa mia se ti fa del male e lo fa anche a me. Ma me lo merito, quindi va bene...sono cattivo e stupido!"

E quel suono così soave che lo stava allontanando dal suo senso di impotenza e sconforto improvvisamente si era arrestato. Il suo cuore aveva saltato un battito. Forse due. Al terzo battito mancato, non era più riuscito ad avvertire il peso della sua volpina nella mano.

"Jules! Ma che stai dicendo?!" la madre lo aveva fatto riatterrare sul pavimento gelido dell'ampio salotto, inginocchiandosi e scrollandogli le spalle ossute. Stava...gridando?

"Come...come...no...no che non è colpa tua. Non lo sarà mai. Perché dovresti assumerti colpe che non sono tue?"

"Ma lui dice..."

"Non importa un accidente di quello che lui dice! Tu sei tu e sei anche mio figlio, non suo. Se si comporta così è solo perché è un pazzo maniaco ma...dovremo aspettare ancora un po' prima di...sbarazzarci di lui. Al momento, non posso. Non posso fare niente né per te né per me né per nessun altro! Niente! Finirò per impazzire...oh...la testa..."

Se l'era racchiusa fra le mani proprio come Jules faceva in quei momenti di stress e disperazione o quando, come prima, si sentiva implodere, divorato dal Vuoto o da un terrore crescente e incontrollabile che prendeva possesso di ogni minima parte di lui.

"Mamma...?" aveva tentato di prenderla per mano o di gettarsi fra le sue braccia per coccolarla un po', ma lei si era abbandonata a delle urla distorte -di panico e dolore- e ad una risata isterica che l'aveva spinta a graffiarsi con forza la testa e a scompigliarsi e tirarsi via intere ciocche di capelli che, nel frattempo, cadevano silenziose sul pavimento.

Stava avendo uno di quegli episodi. Un "momento di buio".

Aveva serrato forte gli occhi e battuto pugni sul proprio petto, tentando invano di ricacciare indietro il suo di mostro incontrollabile. Senza dirgli una parola, lo aveva spinto via ed era scappata di sopra, probabilmente da quelle sue caramelle riposte in un armadietto del bagno, collocato proprio accanto alla Stanza, al centro del lungo corridoio tappezzato di foto e cornici sostituite o riparate alla bell'è meglio, da vasi nuovi e occupati ancora da rose rosse e da mobili di legno scuro sbeccati che riportavano i segni di unghie che, affrante, li avevano solcati.

Jules non l'aveva fermata e non aveva osato ribattere dinanzi a quella scena. Non avrebbe retto la vista della sua regina in quello stato, mentre rischiava di causarsi e di causargli del male.

"Scusami Lily, forse ho detto qualcosa di sbagliato." l'aveva raccolta da terra e poi ripulita come poteva dai capelli che si erano annidati sul suo corpicino peloso. "Mi dispiace se sei stata costretta a vedere anche questa scena dopo tutto quello che è successo prima. Non te lo meriti".

"E neanche tu!" sembrava avesse detto, confortandolo con lo sguardo.

Quando la madre era ritornata, pareva già molto più calma. Si era cambiata e aveva indossato una tuta verde scuro, con i capelli legati in una stretta treccia. Ma gli occhi...gli occhi non erano lucidi. Erano stremati e spossati. Spenti.

"Jules...tesoro...mi dispiace per prima io...non era mia intenzione spaventarti. Sono solo un po' stanca" la voce era strascicata. Triste. Troppo triste.

"Non ti preoccupare, mamma" aveva risposto, stringendo Lily per supportarsi. "Non è colpa tua, so che hai bisogno di riposarti".

Lei aveva sorriso, piano e con compassione, poi gli aveva scoccato un bacio sulla fronte e su quella della sua volpina, per poi ritirarsi in cucina.

Ma a portarlo lì, nel bagno del secondo piano, era stato proprio quello sconforto che aveva iniziato a montare dentro di lui e che scalpitava di ridurlo ad una pozza di ansia, nausea ed indifferenza. Il Vuoto fatto a persona. Come avrebbe dovuto proteggersi, d'altronde?

Jules prese uno sgabellino posto vicino alla vasca da bagno e ci salì sopra, riponendo la sua volpina sul lavandino. Lui era più alto rispetto ai suoi compagni, eppure non abbastanza da raggiungere l'armadietto con le caramelle.

Riflettendosi nello specchio vide un bambino smunto e dalle ossa spigolose, quell'agnellino e quello scheletro che erano divenuti la sua etichetta. Era debole e affamato non solo in senso letterale (anche lui doveva seguire delle regole), ma anche d'aria e di voglia di vivere. Di felicità. I suoi ricci scuri gli ricadevano sul viso come la chioma di un alberello e, scostandoli, poté concentrarsi sui suoi occhi color del miele che, in un' altra situazione e in un'altra vita, sarebbero stati baciati dai raggi del sole e non da cerchi violacei, né tantomeno avrebbero suscitato così tanta paura. Oltre ad essere un agnellino ed uno scheletro, a detta degli altri, era persino un vampiro succhiasangue, pallido come la morte e dallo sguardo incavato, penetrante e indecifrabile.

Senza alcuna emozione.

Quanto avrebbe voluto ridurre quello specchio in mille pezzi...non sopportava la sua vista. Era così...sgradevole. Distolse immediatamente lo sguardo e prese un bel respiro, lasciando che l'aria si facesse largo nei suoi polmoni e tenesse a bada quel brulichio che lo stava divorando dall'interno.

Concentrati, devi agire in fretta!

Jules si districò ben bene prima di allungarsi quanto più possibile nel tentativo di giungere al pomello dell'anta dell'armadietto bianco. Si mise allora in punta di piedi e, dopo svariate prove, saltellando un po' e facendo stridere il legno sulle piastrelle (rumore che lo fece rabbrividire), ecco che riuscì nella sua impresa: lì dinanzi a lui, ad attenderlo, si trovava il famoso barattolo arancione, per sua fortuna ancora piuttosto pieno.

Il piccolo esultò gioioso, emettendo un sospiro di sollievo e massaggiandosi le braccine doloranti per lo sforzo.

Ora dovette passare alla seconda fase della sua missione: recuperare le caramelle disperse tra altre scatolette, bende e disinfettanti e mangiarne in abbondanza. Solo così quella sensazione sarebbe andata via...giusto? Con la mamma funzionava, quindi dovevano essere sicuramente magiche! Ma allora perché non le aveva condivise con lui?

Prima che i dubbi iniziassero a peggiorare la situazione, si fece leva sul ripiano e, aiutandosi con Lily, trascinò via il barattolo, assieme a tutto il resto. Nel fare ciò, però, non si rese conto di essere in bilico sullo sgabello che, pericolante, cadde con un tonfo sonoro. Al suo seguito si unirono Jules, la volpina, più della metà del contenuto dell'armadietto e il barattolo arancione che, nello schianto, si aprì, spargendo sul pavimento celeste una miriade di caramelle rosse, bianche e blu.

Fallendo nell'aggrapparsi al lavandino, riuscì ad attenuare la caduta vorticosa coprendosi con le braccia e la mani, ma il suono delle sue ossa che avevano assorbito e inasprito l'impatto e che avevano iniziato a scricchiolare in maniera inquietante lo fece esplodere in un pianto incontrollato che liberò tutte quelle emozioni da lui tanto relegate nel fondo del suo cuore.

In quel frangente non si sentì più lui. Seppe sì di esplodere, ma dopo niente. Il nulla.

Gli sembrò di guardarsi dall'esterno e di assistere alla scena come se si stesse osservando attraverso uno schermo o il vetro plastificato del suo casco da astronauta.

La sua  anima aveva staccato la spina e se ne era andata via, orbitandogli intorno ma abbandonandolo ad urla strazianti -di puro dolore e disperazione- e a mani che, a tentoni, agguantavano le caramelle e le infilavano in una bocca resa aspra dalle lacrime, una ad una.

Vide un bambino disteso su quel mare di rotoli, scatoline e caramelle come stelline colorate, afflitto e ansante, con una mano stretta attorno alla gola e un corpo che, in preda agli spasmi, perdeva sempre di più il controllo, incapace persino di strascicare o di aprire gli occhi.

E poi avvertì dei passi. Passi rapidi, veloci come un razzo.

E poi una figura che si fiondava nella stanza, in volto lo shock totale.

E poi altre urla che sapevano di un dolore ben più profondo di quello fisico e di un terrore primordiale che la spinse a sollevare quella cosa rotta, inerme, spezzata nel corpo e nello spirito, a scuoterla e a infliggerle vigorose pacche sulla schiena.

Quanto poteva far male la ricerca della felicità?

Le caramelle fuoriuscirono poche per volta, alternate da colpi di tosse.

Una.

Due.

Tre.

Quattro.

Cinque.

La figura, bianca come un cencio e resa spettrale dalla luce fredda che inondava lo spazio, pianse come un fiume in piena mentre cercava di formulare parole che non riusciva bene ad udire e, scossa e atterrita fin nel midollo, tastava nervosamente quel corpo dalla testa ai piedi. Dall'esterno sembrava tutto così...distante. Irraggiungibile. Confuso.

Poi, all'improvviso, la cosa smise d'agitarsi come un pesce fuor d'acqua e il suo colorito bluastro svanì, sostituito da un lieve rosato sul collo e sulle guance. Madida di sudore, sollevò leggermente le palpebre e riprese a respirare piano, resistendo al Vuoto. Non riusciva ancora propriamente a muoversi ma, tremante e con fatica, alzò una mano verso il viso della figura femminile che lo stringeva fra braccia altrettanto instabili, boccheggiando alla ricerca di frasi che fuoriuscirono raschiandogli la gola riarsa.

Fu così che l'anima ritornò al proprio posto e Jules, sconcertato, spalancò improvvisamente gli occhi, ruotando il capo a destra e a sinistra e stringendosi forte il petto che, d'altro canto, rilasciò una scarica di dolore che lo immobilizzò di scatto.

"Perché...perché...perché...perché..." sussurrò la madre, completamente distrutta alla vista di lui che si stava inghiottendo una manciata di...

"Ma...ma..." tentò di spiegarsi. Tentò di ricordare. Per un breve lasso di tempo, si era estraniato di nuovo?

"Piccola stellina mia...oh! Ti prego, non...non lo fare mai più. Ti prego, non..." scoppiò in intensi singulti che la colpirono dritta in un cuore che, Jules constatò, si frantumò irreparabilmente. "Come hai fatto piccolino? Oh! Andrà tutto bene piccino, ok? Non temere, la mamma è qui". Nonostante la nebbia che gli offuscava la vista, percepì i suoi tocchi caldi, delicati e spaventati, il suo sollievo, i suoi capelli a solleticargli il viso, le lacrime cadergli addosso come pioggia da occhi invasi da una marea di emozioni che glieli fecero brillare come stelle sul punto di spegnersi. "La mamma sarà sempre qui. Sempre."

Gli baciò i capelli. La fronte. Le guance. Lo accarezzò e lo cullò come se fosse stata sul punto di perderlo per sempre. Ma era riuscita a trovarlo e a salvarlo in tempo.

"Io...volevo...essere..." biascicò, umettandosi le labbra secche. Tossì. Il sangue defluì dal volto di sua madre. "Felice..."

"Jules..." rantolò.

"E... le... caramelle..."

"Jules!" esclamò lei, sconvolta. "Quelle..." indicò con una mano il caos di caramelline colorate. "Quelle non sono caramelle. Quelle sono pillole. Medicine. Ma perché mai avresti dovuto pren-" ed ecco che una fascio di fredda consapevolezza la travolse come un'onda di un mare in tempesta.

Jules si sentì morire. Soffocare.

"Tu..." riprese, stringendolo ancora più forte a sé. "Tu le hai prese perché mi hai vista? Pensavi che...che ti avrebbero reso felice e ti avrebbero fatto star bene? Perché così non avresti dovuto temere quei mostriciattoli che vogliono sconfiggerti e che continuano a tormentarti e a farti venire gli incubi?"

"Mamma..." in quel momento non seppe proprio come reagire. Era stato scoperto. Si accasciò fra le sue braccia e spense l'interruttore che, nella sua testolina, gestiva le emozioni e il contatto con gli altri e la realtà. "Mi dispiace tanto...non volevo fare il cattivo".

"Tu non sei e non sarai mai cattivo, Jules caro" le nocche rugose gli scostarono i riccioli umidi e disegnarono il contorno dei suoi tratti spigolosi. Il volto di lei era come pietra ma, come Jules ben sapeva, dietro si nascondeva vetro, al contempo forte e fragile. "Ricordati che...che la felicità si può raggiugere in altri modi. Tu, ad esempio, sei la mia, e sei arrivato quando più ne avevo bisogno".

Lo fece sistemare seduto per terra, con la schiena poggiata ad una parete. Poi, con una tovaglietta imbevuta d'acqua, gli tamponò il sudore e lo rinfrescò, facendolo sentire già un pochino meglio. Lo ricontrollò ancora una volta in più punti, tastandogli quei lividi che avrebbe guarito con del ghiaccio. Per fortuna non parve esserci nulla di rotto e non aveva neanche battuto la testa, ma l'impatto, lo spavento e la sua costituzione debole avevano certamente fatto il loro dovere e aggiunto nuovi colori alla sua tavolozza.

La madre raccolse Lily, scivolata vicino la vasca, e la agitò con fare allegro davanti al suo volto. "Terra chiama Jules! Sono il capitano Lily e sono qui per avvisarti che sto benissimo! Ho avuto un piccolo incidente all'interno dell'astronave e sono sbalzata via nello spazio, ma ce l'ho fatta e sono ritornata indietro sana e salva!" la vocina buffa riuscì a strappargli un sorriso appena accennato, ma si sentiva così stanco da chiudersi nel suo mutismo e in espressioni impassibili e distaccate, nonostante lei gli avesse appena detto che era riuscita a trovare la felicità proprio grazie a lui. Lasciò che quelle parole si cucissero sul suo cuore e sulla sua pelle, andando a formare uno scudo pronto a difenderlo da ogni male.

Ora, però, voleva solo riposare ed esplorare il suo mondo di stelle e pianeti, lontano dal Vuoto e dai mostriciattoli che, nel frattempo e per fortuna, avevano annunciato la loro ritirata.

"Cavaliere ed astronauta Jules" annunciò solennemente la sua regina. "Dopo un bel riposino, tieniti pronto!"
Lo prese in braccio, facendolo volteggiare insieme alla volpina, e iniziò ad avviarsi verso la sua stanzetta. Ora non piangeva più, ma continuava a tentare di tranquillizzarlo e riportarlo alla realtà.

Quanto la amava! E quanto si sentiva in colpa perché non riusciva ad esprimere come si sentiva in quel momento! Se solo quel qualcosa non lo costringesse a non parlare perché doveva fare silenzio...

Non appena lo adagiò sul letto e gli rimboccò le coperte, gli adesivi spaziali presero a brillare, come per accoglierlo a casa. Alla sua vera casa. Il suo casco da astronauta, paziente come sempre, lo aspettava sul comodino. Lo stava chiamando.

Ma furono poche quelle parole che gli infusero speranza prima che chiudesse gli occhi e iniziasse un nuovo viaggio nel buio.

"Dopo vorresti che ti raccontassi una storia?"

Jules, stranamente, dormì senza avere incubi; anzi, sognò sentieri illuminati da rose incandescenti e contornati da meravigliosi alberi le cui fronde risuonavano come campanelle, guidandolo verso una nuova radura. Lily, ovviamente, lo seguiva con una frizzante energia e si accoccolava continuamente attorno alle sue caviglie.

Quando si risvegliò, la prima cosa che fece fu cercare la madre che, sollevata di trovarlo in piedi e in condizioni decisamente migliori rispetto a prima, gli aveva già preparato un bel piatto di spaghetti al pomodoro. Si sentiva ancora indolenzito, vero, ma l'apatia di qualche ora prima era stata sostituita da una calda gioia: seduto con la sua regina al tavolo riccamente intagliato della cucina, poté finalmente gustare una bella porzione di uno dei suoi cibi preferiti assieme alla persona a cui voleva più bene al mondo, senza dimenticarsi ovviamente di Lily e della maestra Hannah. In genere ad entrambi era proibito mangiare troppo ma, quella sera, erano finalmente liberi. Risero, chiacchierarono e giocarono come se per loro fosse la normalità ma, anche se non era così, si dimenticarono di ogni doloroso evento passato.

In quel momento esistevano semplicemente e soltanto loro. Tempo gli aveva regalato un dono enorme e prezioso, e Jules sperò che non volesse nulla in cambio.

Dopo essersi acchiappati per tutta la casa ed essersi solleticati sul pavimento, rotolando insieme, si abbandonarono al suono di risate pure e cristalline.
Un suono che raramente avrebbe potuto udire di nuovo.
Jules si assicurò che divenisse un ricordo felice, uno di quelli che ti ricordavano quanto fosse bello vivere perché al mondo esisteva sempre qualcosa per cui valeva la pena combattere, anche nei momenti più oscuri, dove il cervello ordinava di arrendersi mentre il cuore pregava di lottare.

Regina, cavaliere e cucciolo si distesero così su una coperta nel loro giardino, raggomitolati l'uno all'altro, ad ammirare una maestosa luna piena ed un'infinita distesa di stelle.

Jules si sentiva così piccolo nei confronti di tanta vastità: si immaginava proprio come una stellina dispersa in uno spazio troppo grande per lei. Ma le stelle non erano sole. Mai. Avevano amiche e sorelle che si aiutavano a brillare e a farsi strada in quel buio che avrebbe potuto inghiottirle in un solo boccone.

"Wow!" esclamò, muovendo poi la bocca per formare una "o".  La notte non smetteva mai di affascinarlo!

"Eh già, tesoro! Non è magnifico tutto questo?" disse la madre, carezzandogli la schiena. Stranamente indossava un vestito a fiori che le lasciava scoperte le braccia e le gambe al di sotto del ginocchio. Si riuscivano a vedere chiaramente i segni -o disegni- delle sue battaglie ma, in quel luogo e in quel momento, sembrava non importarle. Non l'aveva mai vista così tranquilla.

"Puoi dirlo super super forte!"

Ma lei non stava osservando il cielo. Stava ammirando lui.

Nonostante fosse la fine di marzo, all'aperto la temperatura era mite. I due lasciarono che la brezza notturna li accompagnasse nei loro discorsi e nei loro racconti, rinfrescandoli e al contempo trasportandoli in una nuova dimensione.

"Mamma" iniziò Jules, concentrandosi sugli occhi di lei, luminosi come le stelle sopra di loro. "Ma secondo te perché nel cielo ci sono così tante stelle?"

"Beh, Jules mio..." continuò, aggrottando la fronte concentrata. "Il cielo è come una tomba".

"Una tomba?! Non è possibile!" spalancò la bocca e levò le braccia al cielo, un po' intimorito ma anche molto incuriosito.

"Il cielo è la tomba delle stelle, Jules. Ma non è una cosa cattiva, sai? Non preoccuparti" gli scoccò dei bacetti sul collo, cosa che lo fece contorcere dalle risate e dal solletico. Le si aggrappò come un cucciolo di koala e inspirò il suo delicato profumo di rose fresche. Quanto si era fatta bella, stasera! Quella sì che era la sua magnifica regina! Una guerriera libera dalla sua impenetrabile armatura. Non poté che essere più felice di così e pregò di poterla vedere ogni giorno sfoggiare la sua luce senza paura di se stessa e degli altri.

"E allora perché dici che è una tomba? È un po' come un cimitero, vero? Lì ci stanno i morti. E a volte fa anche paura!"

"Stellina mia, quelle che vedi vegliare su di te sono le anime di valorosi avventurieri, collezionisti di storie rubate e di sogni mai realizzati. Insieme, uniti dalla notte, si riuniscono e fanno sì che noi, sulla Terra, possiamo portare avanti il loro compito e far avverare ciò che più desideriamo. Io sono la loro Cantastorie, sai?"

"Davvero?" chiese stupito, estasiato dalle sue parole. La sua voce era come un canto ipnotizzante, capace di catturare l'attenzione in meno di un secondo. "E io, invece?" speranzoso, sperò che anche lui ricevesse una bella risposta e potesse continuare le missioni degli avventurieri come la madre.

"Tu sei l'Astronauta, ovviamente! E Lily la tua fedelissima compagnetta. Lo spazio è la tua casa e il buio la tua meta, affronti ogni male e riesci a risplendere proprio grazie a quel vuoto che ti spaventa e ti fa crollare. Ami viaggiare ed esplorare, sei curioso e coraggioso e ti auguro con tutto il cuore che un giorno, anche tu, riesca a raggiungere casa". Indicò il mondo celeste spiegato sulle loro teste con un tocco di commozione e nostalgia. Jules notò che si era rattristata dalle labbra piegate verso il basso e dagli occhi socchiusi.

"Mamma, tu hai mai conosciuto un altro avventuriero come te?" le strinse forte le mani, con Lily a dargli manforte.

"Certo che l'ho conosciuto, tesoro mio" disse, esitante. Poi, dopo un bel respiro, continuò, anche se ancora  insicura. Cos'era che la fermava? "Quell'avventuriero...era tuo padre."

Con suo stupore, Jules non si sorprese. Anzi, in cuor suo era consapevole che esistesse un legame ben più profondo con quel cielo, quelle stelle, quella voglia di catturare i bei sogni e quella volpina che non aveva mai abbandonato.

Forse la madre, data la leggera tensione che l'attraversava, attendeva una reazione diversa, ma lui sorrise sinceramente e disse: "Papà doveva essere un uomo davvero magico! Non è da tutti essere degli avventurieri, vero?"

Una lacrima solitaria solcò il volto di lei, chiaro e coronato dai sui lunghi capelli d'ebano, fluidi come come un fiume. Jules gliela asciugò con una manina e la madre gliela baciò, intrecciando le sue dita alle sue.

"Hai ragione, Jules, non è da tutti. Solo a coloro che possiedono un cuore puro è riservato l'onore di portare avanti la tradizione. Ci pensi a come sarebbe un mondo senza sogni? Senza speranza? Io racconto storie affinché il vento possa condurle da chi ne ha più bisogno, mentre tuo padre era un esploratore che è riuscito a scovarmi esattamente quando alle storie non riuscivo più a credere. Tu credi che le storie siano tutte bugiarde?"

"Beh...non tutte, almeno." affermò, temendo però di deluderla. La sua regina, però, continuò ad ascoltarlo prestando molta attenzione, rilassata contro il suo corpo. "Nelle favole vincono sempre i buoni, mentre qui i cattivi hanno sempre la meglio. Non è giusto! Anche io vorrei sconfiggerli e salvare te e il mio reame, ma non ci riesco proprio! E poi non ci aiuta nessuno..."

"Arriverà il tuo momento, mio piccolo cavaliere.  Dopo la pioggia c'è sempre l'arcobaleno, ricordalo bene! La vita non è mai facile e tu hai dovuto sopportare fin troppo, ma...sei un bambino spettacolare, più forte di quanto tu creda. E sono più che certa che anche tu troverai la persona che ti guiderà verso la luce. Lily è stata il regalo di tuo padre per la tua nascita. La tua prima compagna di viaggio. Il cielo ti ha donato un'amica per la vita. Un'amica che non ti tradirà mai e resterà sempre al tuo fianco, sconfiggendo ogni tuo incubo e custodendo ogni tuo sogno. Ogni storia racconta un pizzico di verità; non è mai solamente finzione. È grazie alle storie, infatti, che ho ascoltato il mio cuore e lasciato che il destino facesse il suo corso. Così, in un tiepido giorno di primavera, conobbi sotto il salice di questa cittadina quell'uomo che mi tese la mano e mi rialzò prima che..." deglutì, inondata da ricordi che riportarono a galla frammenti di lei che il mostro aveva tentato invano di distruggere. Con lui c'era riuscito, in parte. Con lei no. L'abbracciò quanto più forte poté, trasmettendole ogni briciolo di amore e supporto. Certi ricordi facevano male e lui lo sapeva bene.  Ma altri, invece, valevano quanto un tesoro inestimabile, persino di più. Niente e nessuno avrebbe mai potuto spazzarli via. "Prima che mi lasciassi andare per sempre. Lui, tuo padre, mi ha dato una possibilità quando nessun altro credeva in me. Ero sola e fragile e cercavo il mio posto nel mondo, ma sotto quell'albero magico la mia vita è cambiata per sempre. Ho voltato pagina e camminato fianco a fianco insieme a lui finché...finché non ha ricevuto la sua chiamata ed è ritornato a casa, tra le stelle e i suoi compagni avventurieri."
Cercò di sopprimere i singhiozzi, ma Jules continuò a coccolarla e a dimostrarle quanto valesse per lui il fatto che stesse condividendo la sua storia.

"Quando ricevette la chiamata io espressi un desiderio che affidai a coloro che vivono su nel cielo. Vi cucirono una nuova stellina e, dopo tanta attesa, ebbi l'onore di crescere te, la mia stella più bella e la mia salvezza più grande. Come ben sai, il tuo secondo nome è Aslan. Sai cosa significa?"

Jules scosse la testa, avvertendo il proprio cuore sciogliersi dall'amore contenuto in quelle parole. Quanto avrebbe voluto vivere in quel frangente per sempre! Pregò le stelle di cucire un desiderio anche per lui.

"Significa leone. Non  è un nome comune ma tuo padre, essendo stato un esploratore proveniente da un'altra terra, desiderava che tu lo portassi e che fossi forte proprio come il re della savana. Un vero sovrano padrone della propria vita e del proprio destino e protettore indiscusso. Hai anche i suoi stessi occhi... "

"È magnifico, mamma! Non sono proprio forte forte, però sono sono davvero davvero contento che tu mi stia raccontando questa storia! E mi sento fortunato perché così papà, attraverso i miei occhi, continua a vivere in me e a vedere e proteggere te! Ti voglio tanto tanto bene!"

"Anche io piccolo mio. Anche io. Siete i miei due angioletti" e i loro corpi si unirono, incastrandosi come un puzzle completo dopo tanti sacrifici. Quei brevi momenti d'amore non erano mica scontati per gente dimenticata e prigioniera come loro.

"Ma dimmi un'altra cosa" aggiunse, curioso.

"Tutto quello che vuoi"

"Anche tu riceverai la chiamata? E anche io?"

"Quando la cornetta del telefono rosso sarà alzata, significherà che quel momento è finalmente arrivato. La chiamata arriverà per tutti e la sentiremo nella nostra anima; forse sarà persino tuo padre a chiamarci dato che il telefono è stato un suo regalo. Il suo ultimo. Continueremo a vivere tra pianeti e galassie e cuciremo, scriveremo, racconteremo e scriveremo le nostre avventure e i nostri viaggi. Ma ci vorrà ancora un bel po' prima che accada."

Cantastorie e Astronauta si distesero sulla coperta a braccia aperte, lasciando che l'erba solleticasse la loro pelle ricamata da cicatrici e che la notte ascoltasse quelle parole a loro proibite e quei segreti inascoltati che solo loro avrebbero potuto comprendere fino in fondo.

Prima di cadere in un sonno profondo, la cantastorie gli narrò di una donna vestita di stracci e con in grembo un bambino, di un misterioso villaggio sempre in festa, di cuori puri e cuori di pietra, della ricerca della felicità e di una ragazza nata dalle rose, adornata da nastri e campanelle e accompagnata da una volpina proveniente dal firmamento stesso. Non riuscì  propriamente ad udire il resto della storia perché la madre, vedendolo stanco, si interruppe e promise di continuarla un altro giorno. Fu una in particolare, però, la frase che lo colpì mentre lei lo prendeva in braccio, cullandolo e conducendolo nel suo mondo di asteroidi, galassie e pianeti:

"Per ora, facciamo in modo di realizzare la nostra storia per le stelle."

Quando Jules tornò a scuola venne accolto caldamente dalle maestre di altre classi e da qualche altro bambino che continuava a riempirlo di domande a cui preferiva non fornire risposta.

Era una giornata calda e soleggiata e si sentiva così felice da aprirsi un po' di più con il mondo.
Stava finalmente bene. E anche Lily.

Quella mattina si era alzato con le farfalle nel petto e una bella tazza di latte con biscotti al cioccolato, accompagnato dagli sguardi teneri e luminosi della madre, svolazzante nei suoi abiti setosi e leggeri. Portava i capelli sciolti e le sue guance erano colorite, segno che anche lei si stava riprendendo.

Non avevano più ripreso l'argomento caramelle e Jules le era decisamente grato per questo. Lei sapeva sempre ciò di cui aveva bisogno. E viceversa.

Con il casco da astronauta in una mano e Lily nell'altra, corse ad abbracciare la maestra Hannah nell'aula dipinta con arcobaleni e animali di ogni genere, tutti allegri e intenti a giocare. I tappetini erano morbidi e possedevano forme diverse (stelle, triangoli, cerchi, quadrati, leoncini...), mentre gli scaffali traboccavano di pastelli, fogli, giocattoli e zainetti.

"Ma guarda chi c'è, il mio astronauta preferito!"

A Jules erano proprio mancati i suoi capelli rosa e la sua infinita bontà, così come il suo sorriso caldo e smagliante. Dopo averlo visto, era al settimo cielo! E ovviamente anche lui!

"Mi sei mancata tantissimissimo maestra!" disse squillante, cosa che stupì la donna. In genere si manteneva solitario e taciturno, evitando di parlare ad alta voce o di entrare in contatto fisico con qualcuno.

"Sono lieta che tu stia meglio, piccolo Jules! Ma mi rende ancora più che felice il fatto che oggi sembri più tranquillo e a tuo agio, così come Lily" le diede una pacca sulla testolina e lo guidò al centro della stanza, aiutandolo a sistemarsi. "Per qualsiasi cosa, tesoro, io sono qui."
Stavolta glielo disse a bassa voce, ma Jules non aveva intenzione di raccontarle la verità e farla venire a conoscenza dell'inferno di settimana che aveva trascorso, salvo gli ultimi giorni. Doveva comunque prestare attenzione. Sempre. Difatti, i suoi lividi e graffi erano ben nascosti dagli abiti lunghi.

"È tornato lo scheletro muto e spaventoso, guardate!" ripetevano nel frattempo i compagni in coro, sghignazzando e facendo le pernacchie. C'era un motivo, dopotutto, se nessuno voleva essere suo amico.

"Bambini! Attenzione! E non vi permettete a dire certe cose, altrimenti vi metto in punizione!" intimò la maestra Hannah, mettendo a tacere l'orda di bambini che lo prendevano in giro, che correvano di qua e di là, che cadevano, si spingevano e creavano il caos più totale. Questo aspetto a Jules sicuramente non era mancato per niente.

Sull'attenti, si sedettero per terra e stettero ad ascoltare le parole della maestra, vestita come una principessa nel suo abito rosa a balze, pieno di strass e fiorellini.

"Oggi ho una bellissima notizia da darvi!"

Jules e gli altri si fissarono curiosi e ripresero a chiacchierare, cercando di indovinare di cosa potesse trattarsi.

Non appena la pronunciò, scoppiarono tutti dalla gioia come fuochi d'artificio, battendo le mani e chiedendo a raffica domande su domande. Anche Jules si sentì sollevato, ma qualcosa, dentro di lui, si smosse, e il suo cuore fece una bella capriola. Cosa poteva mai presagire quella sensazione?

"Presto, nella nostra stupendissima classe, arriverà una nuova bambina!"

. *. Angolo autrice . *.

Buonsalve a tutti carissimi avventurieri, come state? Cosa mi raccontate di bello?❤️ Eccovi finalmente il nuovo capitolo!🌟So che è un po' lunghetto e vi ho fatti aspettare, però sono piuttosto soddisfatta e mi auguro lo siate anche voi! Presto conosceremo la nostra altra protagonista e non vedo l'ora di presentarvela!🥰
Se siete arrivati fino alla fine, vi ringrazio infinitamente.❤️🌟
Cosa ne pensate finora della storia? Spero di star riuscendo e di riuscire anche in futuro a trasmettervi le emozioni dei miei personaggi!❤️‍🩹
Stavo anche pensando...vi piacerebbe se aprissi un profilo Instagram? Magari per aggiornarvi sulla storia, per parlare, farmi domande e anche conoscerci!❤️🦊🌟
Se il capitolo vi è piaciuto lasciatemi una stellina e, se vi va, esprimete i vostri pensieri e le vostre opinioni🌟💕❤️
Statemi bene!🌈 Alla prossima!🦊🌟❤️‍🩹

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