Prologo

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Ora, una sera

Jules si era innamorato della vita quando ormai era troppo tardi.

O forse aveva iniziato ad apprezzarla un po' di più nei suoi ultimi istanti, fra respiri smorzati e ricordi che si sgretolavano come sabbia tra le dita.

Ma, nonostante potesse percepire ancora il suo corpo -perchè così pesante?- dondolare nel vuoto, allo stesso tempo era come se non fosse più lì, in quel posto -ma dove, di preciso?- a oscillare come un pendolo su una distesa torbida di verde, punteggiata di stelle d'ebano e d'argento.

E proprio quel pendolo di dolore e di noia che ora stava inesorabilmente scandendo i suoi estremi, lamentosi rantoli, continuò a far rintoccare con una straziante agonia quell'orologio che gli martellava senza sosta nella testa.

Quell'orologio che tentava di ricordargli che il suo tempo stava scadendo e che presto non avrebbe più scoccato i secondi, i minuti, le ore per lui.

Quell'orologio che forse voleva sottrarlo alla sua fine, avvertirlo disperatamente che poteva salvarsi, che era in tempo, che poteva ordinare al pendolo di fermarsi e di lasciarlo andare.

Aveva tempo, doveva ancora aspettare -solo un altro po'- e il tempo giusto sarebbe arrivato perché quello non era il suo, di momento.

Tempo tempo tempo tempo tempo tempo tempo tempo tempo tempo.

Ne aveva mai avuto davvero, prima?

Il Tempo lo aveva forse mai aspettato, mai aiutato?

Perché avrebbe dovuto dargli retta proprio adesso, quando di tempo non ce n'era letteralmente più?

E chi -o cosa- avrebbe dovuto attendere se a fargli compagnia erano solo le stelle, la luna e le fronde d'albero che pendevano nel vento con lui?

Lo stava sfidando con una sfacciataggine che lo faceva a dir poco innervosire persino in un momento come quello: non era Tempo a comandarlo e a manipolarlo, a dirgli cosa fare, quando smettere, quando andarsene. Tempo lo aveva preso in giro così tante volte che ormai non se ne stupiva neanche dei brutti scherzi che gli tirava: qualsiasi cosa Jules facesse, Tempo sapeva già-lo avrebbe sempre saputo- come giocare d'anticipo per condurlo al capolinea, mandando in frantumi la sua vita, squarciandola come una tela venuta male, sbagliata, storpia, e giocherellando con frammenti di istanti -i suoi- brevi quanto un battito di ciglia.

Così insignificanti, vero? La gente neanche li considerava mai, gli attimi così. Le piccolezze, i dettagli...non erano elementi coglibili da tutti. Ma Jules ci riusciva.

Per Jules era questo tutto ciò che contava al mondo: le sottigliezze, le cose trascurabili e apparentemente invisibili. E ne coglieva quante più possibile dovunque andasse -che fossero le sfumature dei colori degli occhi, fili di tessuti fuori posto, i giochi di luce, ciò che i volti della gente nascondevano, la disposizione delle stelle nel cielo, una stretta di mano, i portamenti e i toni di voce degli altri- fin da quando ne aveva memoria.

Per lui non si trattava altro che di un gioco che stuzzicava la sua mente ogni volta in maniera del tutto nuova e invitante, proprio come il gattino grigio e dal pelo folto dei vicini che si lasciava ammaliare dai suoi bastoncini colorati e piumati che adorava afferrare.

E che puntualmente allontanava sempre via, ridendo genuinamente ma ammirando la sua tenacia nel perseguire l'obiettivo, non lasciandoselo sfuggire per nulla al mondo.

Jules afferrava ora un po' di questo e ora un po' di quello, immagazzinava e rielaborava come una macchina tutto ciò che osservava e lo rendeva suo soltanto, un segreto che nessun altro avrebbe mai saputo.

Finché non era arrivato qualcuno.

Qualcuno che gli aveva sconvolto la vita e l'aveva rimessa al posto giusto, dove era destinata da sempre ad essere. Che l'aveva riportata in carreggiata quando stava lì lì per deragliare.

Qualcuno che lo capiva e sapeva.
Sapeva cosa c'era che non andava in lui.
Sapeva cos'era.
I casini che aveva combinato.
Le stelle che non era riuscito a cogliere e a riscrivere.
I sogni intrappolati in una gabbia di carta lasciata a marcire chissà dove.
O forse strappata o bruciata.
Ma comunque sparita, stipata nei meandri più bui di quei pensieri e quelle storie a cui aveva dato vita -o morte- fra quelle pagine.

Aveva trovato qualcuno come lui.

Invisibile.

Qualcuno che capiva il suo mondo ed era riuscito in qualche modo a farne parte, a donargli quella luce che mancava.

E che poi si era spenta.

E ora, sospeso tra due mondi, Jules tratteneva il respiro, smorzato e pesante, avvolto nella lana di una sciarpa così calda...così stretta da incendiargli la gola. Il petto. La testa.

E si scuoteva, si dibatteva, scalciava e si agitava come un pesce fuor d'acqua alla disperata ricerca di aria, aria, aria.

Era questione di attimi.

Di secondi.

Eppure, anche se per un solo, misero istante, tra il dolore che si irradiava verso l'alto e lacrime così amare e disperate a pizzicargli gli occhi, a pulsargli tra le palpebre con fremiti frivoli come ali di farfalla e a scorrergli inesorabilmente come pioggia sulle guance riarse e accaldate, Jules ricordó.

O quasi, per quel che la sua mente debole e annebbiata gli consentiva.

Tra i riflessi che lo spingevano a portarsi le braccia al collo e a stringere le lunghe dita sul tessuto morbido - così familiare e dal sentore di casa e sicurezza- per tentare di allentarlo e di liberarsi dalla morsa della morte, a Jules parve di ricordare il calore di quel qualcuno che tanti anni prima gliel'aveva avvolta per la prima volta con una gentilezza che aveva potuto sperimentare solo nei suoi sogni migliori. Poté quasi percepire le mani di quel qualcuno speciale a sfiorargli la pelle delicata come una piuma e a dirgli che...a rassicurarlo che...

Che cosa?

Cos'era che doveva ricordare?

Chi era che doveva ricordare?

Si diceva che in punto di morte o esperienze traumatiche ad essa legate la vita scorresse dinanzi agli occhi come la pellicola di un film.
Ed effettivamente avevano ragione.

Furono poche, però, le cose -le peggiori- che Jules riuscì a vedere in brevi, rapidi scorci, prima di...prima che ritornasse a casa.
La sua vera casa.

Manine strette attorno al gambo di una rosa rossa; le spine a spillarle goccioline di sangue acceso.

Una volpina piena di toppe, cucita e ricucita apposta per lui affinché potesse ancora avere un'amica con cui giocare.

Un quadernino di pelle blu scuro aperto su un pavimento di legno consunto, mangiucchiato dalle tarme...no. Il suo quadernino. Il quadernino dei sogni proibiti -esisteva ancora? Era andato perduto?

Una stanzetta buia e umida, dalle finestre sprangate e dal sentore di polvere, di rancido, di fumo e di vomito.

Una cintura abbandonata accanto a cocci di bottiglie rotte, il loro liquido sparso ovunque, mescolato al sangue e alla cenere di mozziconi quasi spenti.

Sua madre che lo abbracciava così forte da fargli male, che gli sussurrava le ninnananne, che lo carezzava e lo cullava tra le braccia esili e tremanti in quella stessa stanza.

E quella sagoma scura, quel mostro di cui non riusciva a ricordare il viso, ma che sapeva nel profondo della sua anima essere la ragione della sua breve esistenza e della sua altrettanto breve gioia di essere vivo. Di respirare. Di veder sorgere un nuovo sole, l'alba di un nuovo giorno, e di vederlo calare; il tramonto di una speranza perduta ma l'inizio del suo regno costruito dalle ombre e dipinto di stelle.

Quando, però, i suoi muscoli doloranti, in fiamme, tesi come corde di violino, vennero attraversati da un ultimo spasmo, il suo respiro divenne un lamentoso, sofferente rantolo.

Quando, oramai, si sentì defluire via il sangue e il calore e il dolore e la morsa pungente e agonizzante attorno al suo collo, Jules si abbandonó a sé stesso e a quel filo sottile che lo teneva ancorato alla vita.

Si abbandonó all'aria e alla notte.

Lasciò che il freddo si impossessasse del suo corpo, insinuandosi fino in fondo, fin nelle ossa, fin nelle viscere, fino ad un cuore sul punto di esplodere e che non avrebbe più continuato a battere per lui.

Fu così che il tempo, per Jules, si fermò per sempre, cristallizzato in un istante di infinita tristezza e impotenza.
Tempo aveva fallito, stavolta.

E non avrebbe mai, mai più potuto mandare indietro le proprie lancette per riscrivere il passato, un finale diverso.

Un finale in cui il suo corpo non si sarebbe accasciato inerme, la testa ciondoloni e gli occhi spiritati e strabuzzati dal terrore, dalla paura e dal rimpianto.
Una sola lacrima a rigargli una guancia.

E l'orologio si fermò, allo scoccare dell'ora.

Fu così che gli ultimi frammenti di Jules svanirono nel mondo, volteggiando leggeri nell'ombra del vento.

E da qualche parte, su in quell'universo che aveva da sempre considerato il suo rifugio, una stella tremuló, come scossa da quella perdita improvvisa, sconvolgente a tal punto da farla piangere, affranta, e spegnersi nel tormento di un fratello che quello stesso firmamento a cui confidava i segreti più nascosti aveva tradito.

Lo aveva lasciato solo.

E lui aveva capito che non sarebbe mai stato abbastanza, mai all'altezza.

Che non ne sarebbe mai valsa la pena.

Una stella, da quella notte d'aprile, non avrebbe più brillato.

Una stella, da quella notte d'aprile, non sarebbe mai più stata il sogno, la speranza di nessuno.

Una luce era svanita dal mondo soffrendo.

Un ragazzo aveva legato il proprio destino alle stelle e le aveva rese sue amiche, sue sorelle. Ma lui, piccola stella solitaria in un cielo infinito, troppo da sopportare, aveva preferito dissolversi, silenziosa come il buio, con un ultimo, amaro desiderio, in un cuore ormai di polvere ed ombra: trovare finalmente il sole, la pace, laddove la vita gli aveva riservato per la maggior parte le tenebre e uragani di delusione, solitudine e tormento.

Ma qual è il destino di una stella che muore?

☄. *. ⋆ Angolo autrice ☄. *. ⋆

Salve a tutti avventurieri! Mi presento, sono Joelle! Spero di avervi trasmesso un po' di curiosità e che possiate accompagnarmi in questa nuova avventura <3. Tengo molto a questa storia e spero appassionerà anche voi! Se vi va lasciatemi una stellina e...alla prossima!💫♥️

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