Capitolo 2 - Off to sea once more

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Marzo 1752, Rockport

Mireille,

Sono arrivata da qualche giorno a Rockport alla Confraternita coloniale e posso dire che abbiamo iniziato col botto! La litigata tra Achille Davenport e vostro cugino mi ha fatto sudare freddo per tutto il tempo, anche letteralmente! A Parigi si ghiaccia d'inverno, ma niente è comparabile al gelo che ho sperimentato qui. A cena mi facevano male i muscoli per quanto avessi tremato!

Sta arrivando la primavera, però, e la neve si sta pian piano sciogliendo, per fortuna sono arrivata giusto in tempo per godermi questi paesaggi meravigliosi! Non riesco a riportare su carta in maniera fedele la bellezza di questo posto e del viaggio che ho affrontato, mi spiace dovrete rivangare nella vostra memoria queste sensazioni.

La vita qui è molto più tranquilla che a Parigi, ma c'è sempre qualcosa da fare! Che sia il camino da pulire, sistemare la banchina delle navi, rispondere a qualche intermittenza, tenere a bada qualche ragazzino dalle mani lunghe. Tutto sommato, però, non mi posso lamentare: Achille e Hope si sono rivelati una piacevole compagnia, vostro cugino Joseph è sempre imbronciato, ma vederlo battibeccare con quel cascamorto di Shay è sempre molto divertente, poi ci sono Liam e Kesegowaase, i più tranquilli di tutti.

Non vi tedio ancora a lungo, Mentor, so che sarete piena di lavoro da svolgere, ma ricordatevi ogni tanto di questa vostra allieva lontana!

Un abbraccio a tutti,

Claudette Dubois.

***

L'impronta della cinquina che gli aveva tirato Claudette in faccia gli rimase stampata sulla guancia come un monito a tutti per due giorni. Non aveva per niente visto arrivare quello schiaffo fulmineo e preciso, che lo aveva colpito senza che lui avesse la possibilità di spostarsi in tempo, era stato come essere colpiti da una frusta. In realtà non gli aveva fatto tanto male, ma il suo orgoglio ne era decisamente tornato indietro ferito. L'unico che sembrava essersi accorto dell'accaduto era Liam che quasi si era strozzato con il vino alla scena e che, appena usciti dal salotto, aveva commentato con un "Te lo sei meritato". Shay dovette resistere dal tirargli un pugno nello stomaco solo perché c'era Kesegowaase alla porta, braccia incrociate e gambe divaricate, che lo stava guardando furioso. Il quarto d'ora successivo era nella lista dei momenti più terrificanti della sua vita.

Nelle due settimane successive non aveva nevicato, al massimo era passata qualche nuvola gonfia d'acqua che aveva fatto piovere e poi se n'era andata, sciogliendo definitivamente la neve. A Shay un po' dispiaceva, tutto quel candido bianco a perdita d'occhio interrotto solo dall'azzurro del cielo e del mare, per molti era uno spettacolo monotono, noioso, ma lui abituato al caos di New York e ai suoi mille suoni e rumori, quei paesaggi gli rinfrescavano l'anima. La neve aveva lasciato posto alla terra brulla, ancora un po' umida e rasa, ma pian piano anche l'erba stava ricrescendo. Gli alberi sembravano stiracchiarsi per bene alla luce del sole di primavera, con piccolissimi boccioli verdi. Gli animali erano più attivi, alcuni avevano visto un orso aggirarsi nei pressi di una grotta, dove probabilmente vi aveva passato l'inverno. Finalmente, qualche timido scoiattolo aveva ripreso a correre lungo i tronchi e i rami degli alberi ancora spogli.

Anche la tenuta sembrava risvegliarsi, sempre più persone passavano il tempo fuori all'aria fresca e frizzantina di marzo. Fuori dalla casa c'era un pigro via vai di persone, tra chi usciva a raccogliere la legna o a tagliarla, chi andava a caccia, chi ad addestrarsi, chi semplicemente al porto a godersi l'aria salmastra del mare o chi si faceva una passeggiata nei boschi. Ed era quello che Shay stava facendo, o meglio avrebbe voluto fare se non fosse stato ancora alle prese con l'ennesimo allenamento. Abbarbicato come un gufo sul trespolo di una montagna, guardava sotto di sé annoiato i due che doveva "uccidere" senza farsi accorgere. Perché Hope continuava ad insistere su quelle lezioni? Va bene, aveva la grazia di un galeone spagnolo in un fiume, ma, accidenti, era anni che svolgeva quel lavoro, non aveva bisogno di ripetizioni!

"Shay, non si finisce mai l'addestramento, si può sempre imparare qualcosa."

La vocina fastidiosa della donna gli sibilò nella testa fastidiosamente, facendogli strofinare l'orecchio sulla spalla. Da quella posizione non riusciva a vedere il mare, la vista bloccata dall'imponente casa di Achille, ma poteva sentire il vento leggero che gli si infilava nel cappuccio della divisa e nei vestiti scuotendolo piacevolmente. Gli piaceva il freddo, lo svegliava, lo rendeva lucido e concentrato su quello che doveva fare, quindi rizzò la testa e si alitò sui guanti strofinando le mani. Prima finiva quell'esercizio banale, prima sarebbe potuto scappare via a combinare qualche altro danno. Si scrocchiò le dita, il rumore era simile a dei legnetti che venivano spezzati, per cui l'uomo che aveva sotto di sé si fermò e si girò nella sua direzione. Shay fu veloce a balzare su un altro albero, più frondoso di quello su cui si trovava, riempiendosi di aghi di pino. Gli finì uno in bocca e lo sputacchiò fuori infastidito, in equilibrio precario, incastrato tra il tronco e il ramo. Sentiva anche la consistenza appiccicosa e maleodorante della linfa sul braccio. Bene, non se ne sarebbe mai andata via dal cappotto!

Mi sono stufato!

Decise di accelerare finalmente i tempi e concludere quell'esercizio fastidioso. Aspettò giusto il tempo per l'uomo di girarsi dall'altra parte e calò dall'albero, nascondendosi tra i cespugli. L'altro continuò il suo giro e Shay lo seguì di soppiatto chinato per non farsi vedere. All'ultimo però cambiò idea: aveva passato mezz'ora appollaiato sugli alberi a spaccarsi la schiena, quindi già conosceva il percorso, che avrebbe portato il suo bersaglio a passare vicino al mucchio di foglie poco più avanti. Con passi leggeri e veloci, si affrettò a sorpassarlo uscendo anche fuori dai cespugli col rischio di essere beccato e di dover far rincominciare da capo tutto quanto. Disperato, una volta vicino al mucchio, ci si lanciò dentro riempiendosi di foglie, alcune gli erano finite negli stivali pizzicandogli i piedi. Prese un grosso respiro per evitare di grattarsi come un cane con le pulci e attese, le orecchie rizzate a captare qualsiasi movimento esterno. Sentiva il fruscio degli alberi, l'aria che passava tra gli aghi di pino, gli scoiattoli nelle loro tane che pian piano si svegliavano oppure delle lepri che saltavano, ma i più importanti di tutti erano i passi, quasi infastiditi, del suo bersaglio. Anche se al buio, quasi riusciva a vedere tutto questo, come una specie di sesto senso.

I passi si fecero più forti, trattenne il fiato inconsciamente attendendo che si avvicinasse abbastanza per poterlo afferrare. Quasi riusciva a vedere l'uomo camminare distrattamente, guardandosi in giro per cercare di vederlo annoiato, desiderando fare altro, ma invece era bloccato lì per l'ennesimo capriccio di Hope. Sembrava completamente ignaro della situazione, il naso ancora alzato verso l'alto, convinto che Shay fosse ancora abbarbicato tra gli alberi. Era ancora a un paio di metri, bastavano pochissimi passi perché Shay potesse acciuffarlo e mettere fine alle sofferenze di entrambi.

Un passo.

Due.

Tre.

Quattro.

Cinque.

Shay si sporse in avanti, le mani leggermente protese per prendere l'uomo e trascinarlo con sé nel fogliame, ma tutto a un tratto sentì qualcun acciuffarlo per il cappuccio e strattonarlo all'indietro facendolo ruzzolare fuori dal suo nascondiglio. Fu accecato dalla luce improvvisa, come un ago che gli veniva infilzato in un occhio, e si portò le mani al volto per proteggersi. L'unica cosa che riusciva a vedere erano le fronde degli alberi che si agitavano pigramente mosse dal vento e un'ombra di qualcuno che si stava sporgendo verso di lui.

«Bonne journée, Shay! Vi ho trovato.».

Solo a una persona poteva appartenere quel fastidioso accento francese che faceva sembrare ogni parola una scatarrata di un marinaio col raffreddore. Aprì gli occhi e distese le braccia, sdraiato per terra come una stella marina, la parte inferiore del corpo ancora nascosta dalle foglie, che nella foga di quel gesto erano state sparse in giro. Ecco, non era stato risparmiato neanche il suo nascondiglio. Guardava rassegnato la ragazza che lo osservava di rimando dall'alto con la testa leggermente inclinata e le mani dietro alla schiena, il sorriso stampato sul volto era quasi fastidioso, ma gli occhi castani, così limpidi e splendenti, non riuscivano a farlo arrabbiare sul serio. Quello che invece lo faceva arrabbiare sul serio era la risata di Liam pochi metri da loro, anche lui arrampicato su un albero ad osservare la scena, quasi cadendo per le scossa delle risa. Insieme a lui si erano uniti anche gli altri due che dovevano supervisionarlo. Decise di ignorarli il tempo necessario per la ragazza di andarsene, poi li avrebbe fatti pagare.

«Howya, Claudette?» gli sfuggì con un sospiro.

La ragazza rise, ma Shay non vi diede per nulla peso, perché gli aveva sporto una mano per aiutarlo ad alzarsi. Lui, senza neanche pensarci, la afferrò subito lasciandosi tirare in piedi anche se l'altra era quasi la metà di lui. Forse era un'esagerazione, Claudette era quasi alta quanto lui, mancavano pochissimi centimetri, ma quanto a stazza... be', Shay con i suoi anni in mare si era irrobustito molto, aveva le spalle larghe e poteva ammettere di essere ben piazzato. Claudette invece aveva le spalle piccole, la vita stretta e le gambe sottili da ballerina, ma di certo un po' di forza l'aveva nelle braccia, visto la spinta con cui lo aveva fatto alzare. Nel mentre anche Liam si era deciso a scendere tra una risata e l'altra, atterrando con la grazia di un vaso che si schianta per terra, beccandosi un'occhiataccia da Claudette.

«Liam, sembravate un elefante che scende da un albero! La prossima volta concentriamoci sui nostri errori e non su quelli degli altri, che ne dite?».

Il ragazzo, un metro e novanta per un metro e mezzo, arrossì di fronte alla frase piccata della ragazza, che gli sfiorava appena il naso. Dopo aver ripreso Liam, si rivolse anche a Shay, cogliendolo in fragrante mentre faceva una pernacchia molto matura all'altro ragazzo.

«Anche voi avete la vostra dose di errori, monsieur Cormàc.».

Negli ultimi giorni Shay si era reso conto che Claudette storpiava alcuni nomi, tra cui il suo allungando la vocale finale come se fosse accentata. Achille era diventato Achillas, poi aspirava troppo l'acca del nome di Hope, alitando in giro, infine ci aveva impiegato diversi giorni anche solo a capire quale fosse il nome di Kesegowaase. Si era dovuto trattenere dal dirle che c'erano nomi ben peggiori di quello del loro Assassino, come Ratonhnhaké:ton o Takanhaké:ton, per non far saltare le ruote del suo cervellino. A parte quello, però, aveva notato che si stava impegnando a migliorare l'accento e la pronuncia dei loro nomi, tranne il suo. Lui era e sarebbe sempre stato monsieur Cormàc e sinceramente? Non se ne lamentava, così aveva sempre un buon motivo per stuzzicarla. Vedere come reagiva era sempre la parte più divertente della giornata!

«Cormac, Claudette! COR- MAC, senza accenti francesi strani dei vostri.».

La ragazza gonfiò le guance indispettita e si appoggiò i pugni sui fianchi, cercando di incutere timore, ma con l'espressione che Shay trovava adorabile non riusciva a prenderla sul serio. Claudette lasciò cadere la questione, rassegnata al fatto che Shay avrebbe sempre trovato qualcosa con cui punzecchiarla per attirare la sua attenzione. Ma non glielo avrebbe concesso!

«Comunque, monsieur COR-MAC, - imitò il modo esasperato con cui Shay poco prima l'aveva presa in giro – siete stato piuttosto bravo finché non avete perso la pazienza. Un occhio più attento di quello di Travis e Frank vi avrebbe notato appena sceso dall'albero. E anche un orecchio più esperto avrebbe sentito il casino che avete fatto spostandovi tra i cespugli. Per non parlare della grazia da alce che avete impiegato per infilarvi nel mucchio di foglie. Bella strategia, ma peccate di tecnica.».

A fine discorso, dopo aver lanciato un'occhiataccia agli altri due uomini che avevano svolto distrattamente il loro lavoro, incrociò le braccia al petto, guardandolo come fa una maestra con l'alunno cattivo. Shay non si fece intimorire dal suo sopracciglio alzato e la scimmiottò incrociando anche lui le braccia, con fare di sfida. Gli occhi di Claudette si assottigliarono ancora di più, tant'è che Liam si allontanò di qualche passo.

«Ah, sì? E "l'occhio attento e l'orecchio esperto" sarebbero i vostri?».

«Di certo, monsieur Cormàc, non appartengono a voi.».

Shay scoppiò a ridere e si abbassò quel poco per avere gli occhi alla stessa altezza della donna. Lei assottigliò ancora di più gli occhi, imbufalita.

«Facciamo una cosa, invertiamo i ruoli: voi vi nascondete e devete tentare di prendermi, mentre io vi devo cercare.».

«Mi state proponendo di giocare a nascondino, monsieur?».

Claudette inclinò la testa e batté le ciglia fingendosi innocente. La ragazza non aveva capito che più lei gli dava corda, più lui avrebbe tirato.

«Avete paura di perdere in un gioco per bambini, mademoiselle?».

Claudette sentì un fuoco di rabbia accendersi nel suo petto e riempirle la testa di fumo, perché si ritrovò a rispondere senza realmente pensare, sibilando tra i denti qualche parola in francese.

«On verra, bouffon.».

Poi si voltò per dirigersi verso un albero. Shay volendo rigirare per bene il coltello nella piaga, o spada a questo punto, le urlò dietro: «Allora io mi giro e inizio a contare! Va bene fino a 10?». Sorrise soddisfatto quando ricevette un "Va te faire foutre!" come risposta, poi chiuse gli occhi e contò. Una volta aperti sembrava che Claudette non fosse mai stata lì, mentre Frank e Travis si erano volatilizzati, lasciando solo Liam che lo guardava scuotendo la testa.

«Cosa?» chiese allargando le braccia. Liam sospirò prima di camminare per uscire dall'area di addestramento.

«Sei un idiota, Shay.».

«Oh, andiamo, sto solo giocando con la francesina!».

L'amico gli lanciò un'occhiata di disapprovazione.

«E allora dovresti pensare quando vuoi fare questi giochetti. Non ti auguro nemmeno buona fortuna, non te la meriti.».

«Io non ho bisogno che me la auguri, Liam! La fortuna me la creo!».

Liam non commentò scuotendo la testa, mentre se ne andava a passo lento e svogliato.

«Ricordati solo che dopo essere stato fatto a fette da Claudette, devi ricomporti per la lezione al poligono!».

Shay portò indietro la testa frustrato. Perché lo trattavano ancora come un bambino?

«Ma se sono più bravo di te, tra un po'!».

«Appunto, "tra un po'", mica lo sei per davvero!».

Con questo il suo migliore amico sparì dalla sua visuale, lasciandolo solo in mezzo alla radura. Il sole splendeva sopra gli alberi, che lasciavano passare pochi fasci di luce luminosa, sebbene facesse ancora un po' freddo. Regnava il silenzio, gli unici rumori erano i rami che venivano spostati con pigrizia da una parte a all'altra e le zampette delle lepri che correvano in giro, insieme agli scoiattoli appena svegli.

Sebbene adorasse quei boschi, a volte trovava inquietante quel perenne silenzio che li avvolgeva, come una nebbia. Per lui l'ideale era il mare con i canti sguaiati dei marinai, gli ordini del capitano, il fruscio delle onde sullo scafo della nave, i gabbiani che stridono: una sinfonia di suoni e rumori totalmente diversi che si amalgamano alla perfezione tra loro. Di notte poi, il mare dava il meglio di sé con una distesa infinita di stelle da guidarti lungo la rotta, a indicarti la via.

Si scosse quando sentì un tonfo vicino a lui: era solo una lepre che aveva fatto un balzo, spaventata dalla sua presenza. Decise che aveva dato fin troppo tempo alla ragazza, quindi si infilò le mani in tasca e iniziò a camminare in giro col naso puntato in alto cercando di captare qualche movimento tra i rami, ma non notò nulla degno di nota, quindi tirò dritto incurante. Se la stava prendendo con molta calma, fermandosi di tanto in tanto per guardarsi attorno o per anche solo per far scricchiolare qualche osso, era pur sempre stato appeso a un albero per mezz'ora.

Fece un giro della piccola radura.

Poi due.

Poi tre.

Passarono 10 minuti.

20 minuti.

30 minuti.

Al quarantesimo minuto e a metà del quarto girò già era stufo. Sentiva le gambe così deboli che tremavano e le braccia di piombo, sempre più a peso morto sulle sue spalle. La schiena gli stava facendo vedere le stelle anche di giorno, quindi non era una buona cosa. Esasperato parlò a voce alta rivolgendosi agli alberi. Si sentiva un pazzo.

«Andiamo, Claudette, hai vinto! D'accordo sono una frana!».

Al posto della ragazza, fu un picchio a rispondergli battendo il becco appuntito contro il tronco di un albero. Fece un verso esasperato e continuo la litania, come un bambino lamentoso.

«Forza, dai! È da tre quarti d'ora che siamo qui.».

Spuntò una lepre da un cespuglio di fronte a lui, si passò le zampette sul muso che alzò nella sua direzione, come a volerlo canzonare, poi corse via. Shay abbassò la testa abbattuto. Non ce la faceva più!

«Dai, Claudette! Basta con questi giochetti!».

Gli rispose ancora il silenzio tombale che invadeva quella parte di bosco. Sembrava che anche gli alberi ridessero alle sue spalle! Spazientito, si diresse a grandi passi verso un tronco pronto a scuoterlo pur di far finire quella pagliacciata, iniziata da lui tra l'altro. Vi ci salì sopra imprecando a denti stretti, maledicendo tutte le persone che gli capitavano a tiro. Era così preso dalle sue lamentale da non accorgersi che Claudette era a pochi metri da lui, sentì solo qualcosa piombargli addosso facendolo cadere di schiena sul terreno umidiccio e pieno di foglie. Il rumore di una lama che scattava era riconoscibile a chiunque avesse mai avuto a che fare con un Assassino e d'istinto cercò di sollevare le sue braccia, ma erano bloccate lungo i fianchi. L'unica cosa che poté fare era cercare di appiattirsi il più possibile contro il terreno e pregare che Claudette fosse abbastanza brava e magnanima da non trafiggergli la gola.

A lui la caduta parve durare delle ore, ma per Claudette furono pochi secondi: spingendosi più forte che poté con le gambe, si era lanciata contro il ragazzo mentre questo aveva il piede sollevato per salire sull'albero afferrandolo per le spalle e facendolo sbattere per terra. Gli si era praticamente seduta sul petto mozzandogli il respiro con il suo peso e la botta alla schiena e bloccatogli le braccia, avendo il tempo necessario per estrarre la lama dalla manica per puntargliela alla gola. Shay sentiva il freddo metallo sfiorargli appena il pomo d'Adamo mentre cercava di riprendere fiato, ma gli risultava difficile visto che la ragazza non gli permetteva di espandere completamente i polmoni. Cercò di alzare le braccia in segno di resa.

«Ok, ho capito. Siete voi quella con "l'occhio attento e l'orecchio esperto"!».

Claudette chinò leggermente il capo in avanti, facendogli premere la lama contro la giugulare, abbastanza per spaventarlo, ma non per ferirlo. 

«E anche la pazienza necessaria, a quanto vedo.».

Non si mosse però dalla sua posizione, facendo agitare Shay come un'anguilla.

«Per quanto mi piaccia questa posizione, non riesco a respirare. Quindi se non volete essere cacciata per non aver rispettato le Leggi, vi conviene spostarvi.».

«Se non volete che vada a dire a Joseph di far affondare quella barchetta che vi ostinate a chiamare nave, vi conviene ampliare quello che avete detto prima.».

Glielo aveva ringhiato in faccia, con i loro nasi che appena si sfioravano. Se fosse stato un altro contesto, magari una camera da letto, ne sarebbe stato lusingato, ma la lama puntata alla gola non gli suggeriva intenti romantici. Dovette sforzarsi di non deglutire per non ferirsi. Gli occhi di Claudette erano socchiusi, lucidi e pieni di rabbia, ma poteva vedere una strana smorfia sulle sue labbra, come se si stesse contenendo.

Stava per piangere? Era lui quello dalla parte della lama, non lei! Poi comprese.

Ha ragione Liam, sono un idiota!

Rilassò completamente la testa contro il terreno soffice, arrendendosi, poi si ritrovò a sussurrarle poche parole.

«Mi dispiace.».

Claudette sentì la rabbia nel suo petto agitarsi, spintonare per uscire, ma fu sostituita da una nube carica di tristezza. Strinse ancora di più le labbra per soffocare un singhiozzo. In quel momento non c'era Shay, con gli enormi occhi castani da cerbiatto, i corti capelli scuri e quel ridicolo pizzetto che si ostinava a tenere. Vedeva suo padre, che le aveva sempre remato contro, ricordandole quanto fosse inadeguata per quel ruolo. C'erano gli allievi che aveva cercato di addestrare, ma che si erano sempre rifiutati di ascoltarla. Vedeva tutti quelli che le avevano puntato il dito contro ridendo di lei e delle sue capacità.

Per la prima volta in vita sua gli tremarono le mani, non capiva nemmeno se dalla rabbia o dallo sforzo di contenersi dal piangere di fronte a Shay. Sapeva che era solo un idiota, uno che cercava di attirare la sua attenzione con i dispetti, come fanno i bambini, ma per lei era l'ennesimo stronzo che metteva in dubbio le sue capacità senza neanche permetterle di dimostrargli il contrario. Era stata una bambinata quella del ragazzo, dettata dalla pigrizia e dalla noia, lo sapeva, ma era satura di quei commenti vuoti, pieni solo di pregiudizio. Sperava che l'America fosse il vento della primavera che portava solo novità e cambiamento, ma presto si era dovuta svegliare alla verità dei fatti: seppur distando miglia e miglia dalla Francia, sarebbe sempre e solo rimasta una donna che tenta di fare l'uomo.

«Claudette...».

La voce di Shay era un sussurro caldo contro l'aria ancora gelida che li circondava. Lo guardò negli occhi, mascherando la sua amarezza con la rabbia.

«Mi dispiace per essere stato l'ennesimo pezzo di merda che ti ha fatto sentire inadeguata, non era mia intenzione.».

Sentì le lacrime spingere sempre di più per uscire e un singhiozzo bloccato in gola. Allontanò di scatto la lama dalla gola di Shay, alzandosi subito in piedi per riprendersi. Diede le spalle al ragazzo abbracciandosi il busto per darsi una calmata. Prendeva respiri profondi per impedirsi di piangere di fronte a lui e controllarsi, per non essere subito etichettata come "troppo emotiva e debole". Udì il fruscio delle foglie dietro di sé, segno che Shay si era tirato su, ora però guardava totalmente inerme le piccole spalle di Claudette tremare nel tentativo di contenersi. Doveva andarsene e lasciarla da sola? Provare ad avvicinarsi e confortarla? Non ne era per niente bravo, ma anche lui avrebbe voluto qualcuno affianco quando suo padre era morto, lasciandolo solo nella grande New York. Non avendo la minima idea di quello che stesse facendo, si avvicinò alla ragazza e le poso una mano al centro della schiena, muovendo leggermente il palmo per riscaldarla e farle sapere che lui era lì, nonostante tutti i dispetti e le incomprensioni.

«Mi dispiace anche per tutti gli stronzi che hai dovuto sopportare nella tua vita. Prenditi il tempo che ti serve. Se hai bisogno... io... be', fai un fischio.».

Dopo un'ultima carezza col pollice se ne andò, dirigendosi verso il poligono di tiro e senza girarsi mai a vedere come stesse Claudette. La rispettava come donna e Assassina molto più esperta di lui, non l'avrebbe trattata come una bambina.

Il gesto di Shay aveva sciolto definitivamente quel blocco di ghiaccio di rabbia e tristezza che tentata di spingere giù lungo la gola, facendola piangere. Non era amareggiata, era solo un piccolo sfogo, un modo per dare aria finalmente a quelle emozioni che si ostinava a far stagnare dentro di sé. Fu un pianto silenzioso, condito solo da piccoli singhiozzi. Una volta che ebbe dato aria tutto quello che sentiva dentro, si asciugò gli occhi e seguì i passi di Shay, poco più avanti a lei. Fece una corsetta per potergli picchiettare l'indice sulla spalla. L'altro sorpreso si girò verso di lei e si ritrovò con la mano tesa verso di lui.

«Abbiamo iniziato col piede sbagliato. Voi avete giudicato male me e io ho giudicato male voi. Rincominciamo, vi va?».

Aveva ancora gli occhi lucidi, gli zigomi e le palpebre arrossate per lo stregamento delle mani, tirava ancora su il naso a tratti. Nonostante le foglie infilate nei capelli, gli aghi di pino incastrati tra gli abiti e le macchie di resina sui pantaloni, non riusciva a non pensare a quanto fosse luminosa in quel momento. Le afferrò la mano, stringendola con forza senza aver paura di farle male.

«Shay Patrick Cormac, Assassino della Confraternita coloniale.». 

«Claudette Dubois, Assassina della Confraternita francese.»

La ragazza le rivolse il primo sorriso sincero da quando era arrivata, non uno di quegli sguardi infuocati e sdegnati. A lui sembrò risplendere più delle stelle di notte.

***

Quando Shay e Claudette arrivarono al poligono di tiro, Liam non c'era, quindi si diressero alla tenuta, un centinaio di metri più avanti. C'era agitazione in giro, molti si affacciavano dalle mura dipinte di rosso della casa per osservare la banchina. I due si scambiarono uno sguardo confuso, decidendo di vedere cosa stesse succedendo. Era dall'arrivo di Claudette che non c'era un tale marasma in giro, anzi forse anche peggio, tutti bisbigliavano tra loro indicando una nave attraccata al piccolo porto, un brigantino francese.

Dio, ti prego, non un'altra sbandata di Chevalier! Non potrei reggere un'altra scenata simile da Achille.

Quando superarono la folla però si resero conto che era appena arrivato un ospite, un uomo afroamericano stava parlando con Achille. Lunghe e vecchie cicatrici gli segnavano le guance, partendo da poco sotto l'occhio fino ad arrivare a metà guancia, gli abiti erano inconfondibilmente quelli di un Assassino, guardando il cappuccio che gli pendeva dalle spalle, ma erano anche quelli di un pirata. Dalle rughe sul suo volto si poteva intuire che poteva essere più vecchio di Achille, le mani callose inceve raccontavano di viaggi infiniti per i mari.

Si diressero da Liam, vicino alla legna da tagliare, con l'accetta in mano che ascoltava distrattamente la conversazione. Claudette fu la prima a esplicitare i dubbi di entrambi.

«Chi è l'ospite?».

«Adéwalé, uno schiavo che ha liberato sé stesso e centinaia d'altri nelle Indie Occidentali. Lui è l'incarnazione vivente del Credo.».

«Oh, oui, avevo già sentito parlare di lui.».

Anche Shay si intromise nel discorso, da bravo pettegolo.

«È successo qualcosa? Achille sembra preoccupato.».

Liam sospirò incrociando le braccia al petto, prima di parlare.

«A quanto pare c'è stato un maremoto ad Haiti. È normale per quella zona, ma ha spazzato via qualsiasi cosa, sono in pochi ad essere sopravvissuti.».

Shay rabbrividì, conosceva fin troppo bene la sensazione di terrore che ti congela con la cima in mano vedendo un'onda sovrastarti talmente tanto da oscurare il cielo stesso. Anche se all'epoca aveva solo sedici anni, erano ancora marchiate nella sua memoria le immagini del mare in tempesta che gli aveva strappato il padre. Non augurava a nessuno quella fine.

«La nave mi chiama, Achille! La gente di Haiti farà buon uso dei tuoi doni. Spero che ritroverai ciò che hai perso.» sentirono Adéwalé dire in lontananza.

Le parole scivolarono sulla lingua di Claudette senza lei se ne rendesse conto.

«Perso?».

I due uomini si voltarono verso di lei, sorpresi di trovarla lì. Achille le rivolse un sorriso prima di risponderle.

«I Templari hanno rubato due manufatti preziosi. Un manoscritto antico e la scatola che permette di capirne il senso.».

Anche Adéwalé le rivolse la parola, con sua grande sorpresa: «Ho seguito i Templari fino a queste coste, ma d'ora in poi tocca a te, amico mio.». I due uomini si strinsero le mani, prima che il capitano raggiungesse la propria nave.

Il cuore di Claudette iniziò a battere con forza nel suo petto, mentre un'idea prendeva forma nella sua testa.

«ACHILLAS!».

Il Mentore si fermò a metà strada per la casa, voltandosi verso di lei. Claudette prese un grosso respiro per mettere le parole una di fianco all'altra con un senso logico. Le tremavano le mani dall'emozione.

«Vorrei andare io alla ricerca dei manufatti!».

«Ne siete certa? Non è un incarico così semplice, avrei preferito farvi fare qualcos'altro di più piccolo, magari a Boston-».

Fu interrotto da Liam, che si fece avanti affiancandosi alla ragazza, seguito anche da Shay.

«Mentore, credo che Claudette sia più che adatta a questa missione. Sarebbe sprecata a fare commissioni a Boston.».

Shay ci mise del suo.

«Andiamo, Achille! Hai visto come ha fatto il culo a Kesegowaase l'altro giorno. Me le ha appena suonate di santa ragione.».

Claudette arrossì vedendo i due uomini sostenerla così fieramente. Non le era mai capitato.

Achille osservò i tre ragazzi, che, testardi come cervi, sembravano inamovibili. Se avesse rimandato la questione, lo avrebbero tartassato per giorni. Fece scorrere lo sguardo tra gli Assassini che aveva davanti: Liam, come sempre, era il più affabile e responsabile tra tutti, Shay prendeva tutto alla leggera con un sorriso stampato in volto, mentre Claudette lo guardava con due occhi che sembravano bruciare. Un po' gli ricordò il sé stesso di tanti anni prima, quando era stato mandato lì da Ah Tabai, il Mentore della Confraternita caraibica. In ricordo di quel ragazzino, non poteva ignorare quella fiamma.

«Va bene, ma a patto che vengano anche Shay e Liam. Non è un compito facile, neanche per gli Assassini più esperti come avete visto. Se persino Adéwalé si è fatto sfuggire i Templari, allora dobbiamo stare molto attenti.».

Poi si rigirò, diretto verso la sua casa, mentre udiva dietro di sé le urla esultanti dei tre ragazzi.

Forse, per una volta sarebbe andato tutto bene.





- CABINA DELL'AUTRICE -
Ciao!
Fatemi sapere cosa ne pensate con una stellina e/o un commento, anche di poche parole😅.
Sono nuova nel fandom, quindi se sbaglio qualcosa, correggetemi pure!
Inoltre, questa storia è anche presente su efp, il nick del mio profilo è giuliacaesar. Mi farebbe piacere vedervi anche lì❤️.

Spero vi stia piacendo,

giuliacaesar.

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