Capitolo 19

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Michael aveva pensato tutta la mattina a quanto sarebbe stato bello intagliare quelle stupide zucche con Vivian, erano anni che non faceva una cosa simile eppure pensava che con lei sarebbe stato diverso.
Da quando sua madre aveva divorziato con il padre lui non ne aveva più saputo niente di Halloween e di addobbi felici, tante sere l'aveva aspettata a casa con il necessario pronto sul tavolo, ma lei non era mai arrivata e lui si era sentito cosí stupido che quando aveva smesso di provarci si era ripromesso che mai più avrebbe provato una sensazione simile.
Aveva nove anni e già sapeva come non soffrire, decise che non avrebbe preteso più niente, che non avrebbe mai più fatto nulla per far piacere a quella donna che ormai lo aveva abbandonato.

Quella delle zucche fu solo la ciliegina sulla torta, in realtà la mamma di Michael aveva smesso di interessarsi a lui appena suo padre aveva deciso di mollarla per una più giovane, era entrata in crisi, si sentiva uno schifo e sebbene lui avesse bisogno di lei aveva passato l'adolescenza a consolarla e a sopportare i suoi continui e folli amori.

Mentre il padre gli aveva insegnato come trattare le donne, cioè da oggetti da usare per soddisfare i propri piaceri, la madre gli aveva dimostrato che le dipendenze affettive facessero solo un gran male.
E quindi era venuto fuori lui, un disturbato ragazzino di diciotto anni che riusciva a sfogarsi solo facendo cazzate. Le cose non cambiarono neppure quando sua mamma conobbe il padre di Leonardo, anzi, probabilmente peggiorarono. Si sentí rifiutato, messo da parte per una famiglia e un modo di vivere che non gli appartenevano, volevano tutti si comportasse come il fratellastro, studente modello, figlio perfetto e pareva tutte le volte venuto fuori da una rivista di moda. Sempre tutto imbellettato nella divisa della sua schifosa scuola privata.

Non era mai abbastanza, non lo sarebbe mai stato allora tantovaleva che facesse come gli pareva.

Maledetta americana...
Quella maledetta americana gli ricordava ogni giorno quanto fosse vulnerabile, non aveva esitato neanche troppo quando gli aveva chiesto di insegnarle ad intagliare le zucche. Avrebbe dovuto dire di no, avrebbe dovuto prevederlo.

Mentre lei faceva sesso con il suo amichetto damerino lui le frantumava in mille pezzi per poi buttarle, era assurdo essere arrabbiati in quel modo solo per un pomeriggio perso. Eppure lui si sentiva strano, a disagio.

Quando ebbe finito si diede una sistemata e decise di andarsi a rifugiare da Leonardo, lo odiava ma restava la persona più vicina a lui che conoscesse.
Non si lavò neanche i capelli, ancora sudicio di zucca si vestí e decise di raggiungerlo ovunque fosse. Probabilmente stava studiando in biblioteca quell'idiota, pensó comunque di disturbarlo, sebbene non parlassero più da un po' la necessità di distrarsi era sicuramente più importante del suo orgoglio.

Prese il telefono e cercò nella rubrica il numero del fratellastro, si fermò in mezzo alla strada quando si rese conto che non aveva idea di dove andare. « Leo? »
« Quindi ora mi parli? »
« Posso venire da te? Mi serve il bagno. »
Detta cosí sembrava piuttosto ambigua e strana come richiesta. « Il mio non posso usarlo, devo farmi una doccia. »
« In che senso? »
« Vivian è con uno. »
« Ma se avete due bagni. » Grugní nervoso e si pentí quasi subito di averlo chimato. Perchè gli faceva tutte quelle domande?

« Ma che cazzo c'entra? Dove sei? » 
« Sono a casa, sto studiando. »
« C'è mamma? »

Ci fu un attimo di silenzio.
« No, non c'è nessuno, puoi venire. »
Non che i suoi familiari ripudiassero Michael, era piuttosto il contrario: il figlioletto non desiderato aveva rinunciato da tempo a costruire un rapporto con loro, il patrigno rimaneva un estraneo mentre la mamma forse ancora di più. Odiava quando gli domandavano della sua vita, del suo lavoro, quando provavano a convincerlo a studiare.
Lo disprezzavano e glie lo si leggeva nello sguardo, nel volto ogni volta che diceva qualcosa, che provava a piacere a sua madre. Come se la sua vita fosse stata sempre quella, si permetteva di giudicare chi fosse diverso.

Disprezzava cosí tanto il suo passato che odiava chiunque glie lo ricordasse, quella povera donna.

Arrivò in poco tempo, prese un pullman e poi proseguí qualche minuto da solo. Il palazzo in cui abitavano era in centro, storico ma non fatiscente, ma antico e nobile. Il portone principale aveva sopra una specie di stemma che lo aveva sempre affascinato.
Vivevano in mezzo all'arte eppure la usavano per mostrare la loro ricchezza, non l'apprezzavano come dovevano, non ne erano capaci. Era aperto, quindi lui salí facilmente le scale fino al primo piano. Odiava quel posto, era stato costretto a viverci per cosí tanto e controvoglia che appena era riuscito se n'era scapparo.

« Vieni— ma che hai fatto? » Leonardo aprí la porta e lo trovò fuori, ingobbito e fermo con le mani nelle tasche del cappotto. Il nervosismo se lo stava divorando, non lo vedeva cosí da anni, era davvero difficile che qualcosa riuscisse a turbare la sua faccia da schiaffi.

« Lascia stare. »
Si fece spazio scansandolo con una spallata.

« Che hai in testa? »
« Zucca. » grugní stizzito, mentre camminava deciso verso il bagno. Aspettò qualche minuto prima di togliersi il cappotto, aveva ancora freddo e il calore della casa non era riuscito a riscaldarlo subito. Leo chiuse la porta e lo raggiunse incuriosito, lasciò da parte perfino il fastidio per essere stato interrotto durante il suo studio giornaliero.

« Perchè? » La domanda sorse spontanea, non trovava nessuna giustificazione a quella situazione.
Lo osservava sconvolto e anche un po' divertito dal riflesso dello specchio del bagno.

« Vuoi venire sotto la doccia con me, per caso? » gli ringhiò contro mentre le mani tatuate frugavano nei cassetti alla ricerca di un asciugamano pulito.

Strinse le labbra con aria scocciata. « Ora ti fai una doccia, poi mi racconti. » Incrociò le braccia al petto e gli diede un'ultima occhiata stranita prima di tornarsene alle sue cose.

L'acqua scorreva calda sul corpo freddo di Michael e si chiese come sarebbe stato avere Vivian lí, insieme a lui, invece che con quello stupido damerino incravattato. Solo il pensiero fu dannatamente piacevole, si sentí mancare il respiro per qualche secondo e dovette riprendersi con un getto d'acqua fredda. Non voleva rimuginare troppo con il pensiero su quella ragazza, anche se ultimamente la sua mente finiva inevitabilmente lí.

Tornò da Leo in un asciugamano in fibra troppo pregiato per uno come lui, lo sentiva soffice sulla pelle e la sensazione gli sembrò piacevole. « Chiudi quei cazzo di libri. » Stava studiando in salotto, il libro di economia aperto sul tavolo in legno antico.

« Se mi racconti cosa è successo, si. »
« Ho provato ad intagliare delle zucche ma è finita male. »
« Tipo ti è esplosa in faccia? Avevi frammenti di polpa tra i capelli, cosa è finito male? Era uno dei tuoi esperimenti artistici? »
Troppe domande gli davano terribilmente fastidio, si lasciò cadere su una delle sedie imbottite sotto lo sguardo perplesso del fratellastro. « Se bagni quella sedia con l'accappatoio tua madre ti ammazza. »
« Ops. » Dirglielo gli fece solamente crescere un ghigno malefico sul volto. Avrebbe sfidato quella donna fin quando non si fosse resa conto che non erano delle stupide sedie costose a garantire la felicità.
Avrebbe voluto essere lui, la sua felicità. Un figlio che chiedeva solo di bastare alla sua mamma, tutta quella tristezza era il segreto più grande di Michael.

« Se non mi dici cosa stavi combinando le racconto della mostra. » Spione. L'americano stava da qualche tempo cercando di organizzare una mostra e in realtà c'era anche riuscito, senza gli agganci della madre aveva trovato dei finanziatori e un posto decente in cui si sarebbe svolta.
Solo non aveva voglia di dirlo ad alcun membro della sua famiglia, tranne Leo, ovviamente.
« Che stronzo. » Lo fulminò, poi si decise a parlare. « Ero con Vivian, abbiamo iniziato a tirarci quella roba addosso, per gioco. » Solo a ripensarci gli venne da sorridere, poi piombò nuovamente nel grigiume malinconico che l'aveva accompagnato fin lí.
Glie lo si leggeva in faccia che qualcosa non andasse, era cosí strano che Leo ebbe paura di fargli altre domande, lo lasciò continuare da solo. « Poi è arrivato un amico di Vivian, credo le abbia fatto una sorpresa. Io me ne sono andato e quelli si sono messi a scopare in bagno. »
« In che senso? » Martina non gli aveva mai parlato di un fidanzato di Vivian, neanche di sue storielle possibili. Pensava fosse una specie di suora, da quando era arrivata in Italia non aveva mai risposto alle avances di nessun ragazzo, mentre lavorava, almeno.

« Che hanno fatto sess— »
« Ma perchè tu te ne sei andato? »
« ... Perchè mi sentivo di troppo. » Bugiardo!
« Michael Rinaldi che si sente di troppo? » Alzó le sopracciglia, come a voler sottolineare quanto fosse improbabile la risposta che aveva provato a rifilargli.

« Quello mi stava proprio sul cazzo, era vestito come tuo padre e parlava come mamma. » Si alzò per cercare nel capotto abbandonato all'ingresso il suo pacchetto di sigarette, poi tornò da Leo e continuò il suo monologo.
« Quando lei gli ha detto di pulire ha fatto una faccia... » Come se fosse schifato, quell'idiota.

« Quindi è per lui che sei andato via. »
« Certo, non capisco come facciano ad essere amici— o quello che cazzo sono. » grugní infastidito, poi si schiarí la voce e si accese una sigaretta, se la mise tra le labbra e ne bruciò l'estremità.
Leo si apprestò subito a cercare un posacenere, certo che altrimenti il fratellastro avrebbe finito per smicciare a terra.

Nella voce di Michael c'era qualcosa di diverso, non era solo rabbia eppure sembrava inpossibile da decifrare, almeno per Leo. Che fosse geloso? L'avrebbe pensato subito per qualsiasi persona, ma quello era un sentimento che non avava mai visto nello sguardo del peggiore tra gli egoisti. Viveva come se niente potesse toccarlo, e spesso era stato realmente cosí. « Magari fanno solo sesso. »
« Dici? » Sembró realmente interessato alle considerazioni del fratellastro, al punto che alzò lo sguardo e spostò un attimo la sigaretta tenendola a mezz'aria tra le dita vicino al posacenere.
« Vabbe, tanto anche se fosse, a te che te ne frega? »

« Niente, a me non me ne frega proprio niente. È che potrebbe avere di meglio, poi figurati se mi metto a dire cosa deve fare. »
Alzò le spalle e tornò a prendere la sua dose di nicotina per calmare i nervi e tutta quella agitazione non prevista, cosí fastidiosa da fargli tremare i polsi. Si sistemò meglio l'asciugamano perchè inziava ad aver freddo, conciato in quel modo.

Leonado ne ebbe la conferma, quello che aveva visto passare e illuminare brevemente lo sguardo di Michael era gelosia. Rimase zitto senza sapere che cosa dirgli, perchè sapeva quanto odiasse essere messo alle strette e quando gli si toccava l'animo troppo imprudentemente si finiva per farlo schizzare via e allora si richiudeva a riccio completamente.
« Di meglio tipo chi? »
« Che ne so, qualcuno che sappia come si sta al mondo, tanto per cominciare. »
Neppure sapeva chi fosse Lorenzo, non aveva idea di cosa facesse nella vita ma aveva dedotto impeccabilmente che non sapesse come cavarsela. Stava parlando di pancia senza riflettere sulle proprie parole.

« Ci sarà anche lui ad Halloween? »
Giusto per infilare meglio il coltello nella piaga, gli mostrò un ghigno compiaciuto in volto. Non succedeva mai che fosse lui quello on difficoltà.

« Non lo so, ah, e Martina ha voluto sapere se ci saresti stato anche tu, sicuro proverà a parlarti. » Era giunto il momento di smetterla di parlare solo di lui, era diventato fastidioso. Leo abbassò lo sguardo, quello era un tasto delicatissimo. Si sistemò la vestaglia di velluto caldo e scosse il capo, piano. « Sei veramente un coglione. »
« Che cazzo ne sai tu? Ho bisogno di concentrarmi sul mio futuro, e basta. »
« Fino a poco tempo fa era compresa nel tuo futuro. »
« Le cose cambiano. »
« La ami ancora, l'hai mollata solo perchè non ha il tuo stesso conto in banca, ti rendi conto di quanto sei idiota?! »

« Non metterti in mezzo Michael, se tu vivi in un modo non significa che sia giusto per tutti. »

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