Capitolo 28

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Avrebbe voluto dirglielo, avrebbe voluto trovare il coraggio di rivelargli tutto perchè se lo meritava, non meritava le bugie, non meritava di essere preoccupato per una come lei. Non aveva niente da dargli, se non menzogne.

« Come va? »
Era affranta, glie lo si leggeva nel tono di voce anche se cercava di mimetizzarlo a tutti i costi con un'eccessiva stanchezza. « Tutto bene. » Fece una breve pausa, sicuramente stava fumando, Vivian lo immaginò mentre stringeva le labbra sulla sigaretta per aspirare un tiro e placare qualsiasi ansia lo stesse tormentando. « Ma alla fine di cosa aveva bisogno tuo fratello? »

Strinse le labbra sottili e incrociò le gambe sul letto, come se potesse vederla mentre assumeva una posizione più seria. « In realtà non sta bene, è per questo che sono corsa qui, altrimenti non sarei mai venuta. »
« È una cosa grave? » parlò senza pensarci, poi si rese conto che magari la sua potesse essere una domanda invadente. « Se vuoi dirmelo eh. »
Le venne da sorridere, lo vide spostarsi i capelli all'indietro, un altro gesto che faceva sempre quando era nervoso. « Si, un po'. Penso che rimarrò qui fin quando non starà meglio, magari una settimana. »
Silenzio.
Una settimana senza vedersi dopo quello che c'era stato tra loro era una tortura, lo sapeva anche lei, ma non aveva soldi per tornare e in più voleva capirci qualcosa di quello che stava succedendo. E poi John aveva bisogno di lei, non glie l'aveva chiesto esplicitamente ma non servivano troppe parole quando si trattava dei fratelli Archibald.

« Una settimana? »
Si morse una guancia, abbassò la testa con aria colpevole e pensò ad un modo per partire prima, non ve n'erano.
« Si, devo chiedere ai miei i soldi per tornare perchè io sono al verde, e poi mio fratello ha bisogno che stia qui. »

« Con il lavoro come fai? »
Merda.
Non ci aveva neanche pensato, in effetti per una che non aveva un soldo in tasca perdere il lavoro non doveva essere proprio il massimo, solo che lei non era realmente povera, per cui alla chiamata di Giulia si era scordata dei dettagli della sua recita e la vita reale aveva preso il soptavvento sulla finzione.

« Non lo so, se mi licenziano troverò altro, comunque per tre giorni posso chiedere a Martina di coprirmi. »
Oppure avrebbe potuto chiamare Lorenzo e chiedergli di trovarle un altro lavoro.

Ci fu un attimo di silenzio in cui entrambi vollero dirsi quanto sentissero la mancanza l'uno dell'altra, ma non ne ebbero il fegato. La voce li abbandonò proprio nel momento in cui pensarono di poterlo fare.
« Ho messo il quadro in camera tua. »
« Quale? » Sorrise maliziosa, mentre il tono si fece volutamente provocatorio.
« Quello che ho fatto dell'alba in salotto. »
Le labbra si distesero un un ghigno compiaciuto, divertito.

Si morse il labbro inferiore. « Pensavo l'altro... » Si riferiva chiaramente al suo ritratto, solo pensare a quando l'aveva dipinto riuscí a farle perdere la lucidità per qualche secondo.
« L'altro me lo tengo per me. » mormorò piano, la voce divenne più calda, odiava non essere con lui, adesso che non aveva più paura di baciarlo, di mostrargli quanto lo desiderasse.
« Si? »
« Certo, chiuso nel mio studio. Cosí non c'è il rischio che possa essere visto da nessuno. »
« Sei geloso? »

Sospirò, buttò fuori il fumo dalle labbra sottili. « Della mia arte, certo. »
« Ah, della tua arte. »
« Non voglio che possano posarsi su di lei occhi che siano diversi dai miei. » Vivian sentí il cuore batterle nel petto come non aveva mai fatto, era una sensazione diversa dall'eccitazione, dalla voglia di averlo, si sentiva le mani tremare e la gola chiusa come se non dovesse più respirare. « Impazzirei. » confessò, consapevole a quel punto di non poter fare altro che impazzire, perchè l'unica cosa davvero sua era quel quadro e doveva rassegnarsi a dividere Vivian con chiunque lei desiderasse di sostituire a lui. Non c'era nulla a legarli se non una strana forza che impediva loro di riuscire ad ignorarsi per troppo tempo, si erano abbandonati ad essa ma ammetterlo ad alta voce era tutta un'altra storia.

« Allora tienilo al sicuro. »
« Lo farò. »

Erano passate solo poche ore e già si sentiva come se le mancasse un pezzo di se stessa. Adesso era più rilassata, si mise sdraiata sul letto e si concesse di chiudere gli occhi mentre teneva il telefono attaccato al volto con una mano. Era terribilmente stanca, ma parlare con Michael le piaceva, era l'unica cosa che rendeva il suo soggiorno lí meno simile ad un inferno. « Non è che non torni più, vero? » Lui stava ridendo, era chiaramente una battuta ma a Vivian suonò spaventosa, per un momento ebbe paura che quel presagio potesse avverarsi. Comunque pensò che non fosse poi un'ipotesi cosí improbabile, conoscendo i suoi familiari avrebbero tranquillamente potuto trovare il modo per ottenere una cosa simile se l'avessero ritenuta necessaria.

Per il momento Vivian non serviva, quindi stava bene lontano. « Impossibile, non ti liberi cosí di Vivian Archibald. » Era la prima volta che utilizzava il suo cognome con Michael in quel modo, di solito preferiva non nominarlo, sebbene fosse scritto sul loro campanello le dava fastidio anche solo il suono della sua voce mentre lo pronunciava. Sbadigliò e dovette girarsi su un fianco per darsi una svegliata, quel letto era davvero morbido.
I soldi compravano letti migliori ma non sogni meno tormentati di chi non avesse niente.

Lui sembrò accorgersi dei suoi movimenti lenti. « Che ore sono lí? Hai riposato un po'? »
« No, ma penso che a momenti non sentirai più la mia voce. »
« Dai, ti lascio dormire. »
Avrebbe voluto implorarlo di non chiudere, di continuare a parlare fin quando non avesse più udito niente dall'altra parte. Le piaceva la sua voce, le piaceva il modo in cui le parlava e pronunciava il suo nome, sentirlo era come averlo lí con lei e le sarebbe piaciuto da matti addormentarsi con quella dolce melodia nella testa.
Ma tacque e lo salutò.

Dormí profondamente, sognò di essere in Italia e sembrava tutto cosí bello, era Natale e aveva appena finito di addobbare l'albero con Michael. Lei, che con lui non aveva passato ancora nessun inverno, che mai in vita sua aveva decorato un albero di Natale, ci avevano sempre pensato i domestici e ai bambini non era permesso avvicinarsi, avrebbero rovinato la perfezione richiesta dalla mamma e padrona di casa.

Nel suo sogno erano tutti contenti, lui aveva appena finito di appendere una decorazione dal suo lato e Vivian si era spostata per sbirciarlo, avevano fatto una specie di gara a chi riuscisse ad addobbarlo meglio e lui stava ovviamente vincendo. Quando si allontanò per prendere le sigarette lasciate in salotto la bionda allungò il collo oltre la sua parte.
« Stai barando! »

Tornò camminando svelto quasi come se sapesse che l'avrebbe trovata in quel modo. « Dai, che sarà mai una sbirciatina! »
Con la sigaretta accesa tra le dita si avvicinò a lei, indossava un maglione grigio di lana grossa e dei pantaloni neri, lo stile era il solito cupo e trasandato anche mentre tutti vestivano i toni del Natale.

« Forse puoi farti perdonare, mi stanno venendo in mente un sacco di modi interessanti. »
Le iridi corvine divennero sottili, lei lo raggiunse e lo baciò dolcemente come non era mai riuscita a fare con nessun altro. Michael ricambiò quelle attenzioni e finirono per non staccarsi più, fin quando lui non divenne sabbia e le scivolò via dalle mani.
Si ritrovò da sola, nella sua camera di Manhattan senza Natale, senza Michael.

Fu in quel momento che si svegliò, gli occhi si aprirono alla ricerca di una via di fuga da quell'incubo incomprensibile. Le mancò il respiro, dovette alzarsi e aprire la finestra alla ricerca di qualcosa che la svegliasse davvero, il freddo di New York riempí presto la stanza e lei si trovò costretta a richiuderla. Spostò le coperte e s'infilò al caldo, il cellulare era ancora posato sul cuscino.

Sentí bussare. « Signorina Vivian, Giulia mi ha chiesto di chiamarla, c'è sua madre in salotto. »
Merda.
Vivian si tirò le coperte sopra la testa e si nascose fin quando la domestica non bussò una seconda volta, allora decise di rimettersi le scarpe e scivolare via dal tepore del piumone soffice.
Aprí l'armadio e si guardò ad uno specchio che sapeva fosse interno all'anta, non era truccata, non aveva i capelli in ordine e gli abiti erano tutti sgualciti oltre che di pessima qualità.

Era già capace di individuare le cose che mamma Grace avrebbe criticato aspramente, in passato si sarebbe odiata anche lei per avere un aspetto simile, adesso non le importava più.
« Signorina, sua madre— »
« Arrivo, un secondo! » Il tono di voce si fece più impertinente contro l'unica persona che non avrebbe mai potuto osare di risponderle male, quella poveretta che si era ritrovata a lavorare in casa del diavolo.

Si legò i capelli in una coda alta e quando uscí riservò un'occhiata scocciata alla donna, fece finta di odiarla ma in realtà la invidiava, poteva scappare in ogni momento mentre lei no, non era giusto.
Questa non ebbe il coraggio di guardarla e fiondò il capo verso il basso, aveva i capelli legati perfettamente in un'acconciatura che non lasciava liberi quelli che dovevano essere dei ricci stupendi, castana dalla pelle olivastra si chiese di quale favore avesse bisogno per continuare a lavorare ancora in quel posto maledetto.

Camminò fino al salotto e la vide subito prima che lei potesse accorgesi del suo arrivo, compostissima nel completo di chanel rosso, la schiena dritta e la testa alta come se dovesse sempre dimostrare quanto fosse migliore e al di sopra di tutti. I capelli biondi legati in uno chignon basso le conferivano un'aria più autoritaria.

Vivian tremò di paura, non le aveva più parlato dopo che si era allontanata da tutti. Non riusciva a muoversi, immobile sull'uscio della porta aspettava che accadesse qualcosa.
Sua madre si voltò, prima di parlarle, Grace, ritenne fosse opportuno esprimerle con lo sguardo tutto il disprezzo che provasse nei suoi confronti in quel momento, e non solo per l'anbigliamento scadente. « Bentornata. »
Giulia dietro di lei, come esempio della figlia che avrebbe sempre voluto. Le rispose con un sorrisetto cordiale, il viso duro e freddo la fece irrigidire irrimediabilmente, voleva scappare. « Quanto tempo. » Roteò lo sguardo, avanzò verso il divano e trovò posto.
« Pensavo di vederti tornare prima, non credevo che vivere da stracciona ti sarebbe piaciuto cosí tanto. »

« Sono tornata solo per John. »
« Lo so, ho detto io a Giulia di chiamarti. »
« Tu volevi che io gli stessi vicina? » Sorpresa, si strofinò la fronte con la mano, mentre poggiava il viso sull'altra, annoiata dalle solite conversazioni senza una fine.

La madre le si mise davanti e spostò il peso su un fianco. « Voglio che tu lo vendichi. »
Il tono era severo, sembrava una sentenza di condanna a morte più che una richiesta. Vivian quasi saltò dallo spavento e le venne da vomitare all'improvviso.
Lei non si era mai messa in mezzo a quelle cose, alle vendette, agli affari, non pesava che sarebbe mai arrivato il suo turno.
Non voleva, non erano cose da persone sane di mente e poi aveva paura, una paura matta.

Non esiste.
Diglielo, dille che non vuoi, che non è giusto e ti opporrai con tutta te stessa. Non rimanere zitta, Vivian.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro