Capitolo 30

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Casa di Emily Martin era meravigliosa, i suoi non aveva mai capito davvero che lavoro facessero ma nel loro gruppo non si facevano quel tipo di domande. Anzi, non se ne facevano affatto.
Erano tre disperati che cercavano in tutti i modi di sopportare la loro esistenza e avevano smesso da un pezzo di chiedersi come facessero ad essere infelici in mezzo a tutto quello.

Aspettò sull'uscio che qualcuno arrivasse ad aprirle, giunse proprio la sua vecchia amica. Indossava un completo super scintillante, sicuramente il più costoso della festa . « Vivi, come stai? » Teneva in mano un martini, sulla faccia il sorriso di chi finalmente avesse smesso di capirci qualcosa di come funzionasse il mondo intorno a lei.
« Senza di te è tutto cosí noioso, io e Marcus abbiamo provato a trovare qualcuno per sostituirti ma non ci siamo riusciti. » Una risatina leggera le scivolò fuori dalle labbra decorate di rosso scarlatto.
La bionda si guardò intorno, fu straziante ammettere che si trovasse molto più a suo agio lí che alle feste organizzate dagli amici di Martina. Almeno sapeva che cosa fare, con chi parlare, di cosa discutere. Si tolse il cappotto e lo lasciò ad una domestica che era chiaramente in difficoltà a gestire tutta quella situazione.

I capelli castani di Emily erano sciolti sulle spalle nude, tutti parevano avere eccessivamente caldo in quella casa. Vivian strinse la sua borsetta e se la mise a tracolla per evitare di perderla. « Vieni, prendi da bere. »
Entrarono insieme e l'amica la condusse verso il salotto, attraversarono una serie di persone che parevano messe lí a caso e poi arrivarono ad un tavolino dove c'erano solo dry martini. Vivian ne prese uno e le parve di rinascere, tutto quello era l'unico antidoto che potesse permettersi alle sue ansie, agli intrighi, alla paura.

Vennero raggiunte dopo un po' dal fratello minore di Emily, Marcus. Era il classico rampollo viziato e malefico cresciuto a pane e traumi infantili. Viveva un complesso di inferiorità nei confronti del padre che lo rendeva una persona di merda, ma almeno recuperava la droga quando ce n'era bisogno.
Aveva una dipendenza che non era pronto ad accettare, che probabilmente l'avrebbe portato ad essere rinchiuso in qualche centro di cura solo per stare lontano dai pettegolezzi di Manhattan. Sia Vivi che Em sapevano sarebbe giunto presto quel momento, ma per ora, si godevano la serata, approfittavano di quello che potevano.

Marcus squadrò la nuova arrivata, nel suo sguardo chiaro v'era tutto l'apprezzamento che potesse esprimere verso il suo fisico. Si era scordata di quanto fosse viscido, e pensare che un tempo le era piaciuto.

« Andiamo in camera mia? »
La voce era calma ma non riusciva a nascondere l'impazienza di chi avesse bisogno di un aiuto per sentirsi vivo, bramava di assaporare la sensazione di essere invincibile, solo per un attimo, per una notte.
Emily alzò le spalle tutta contenta a ennuí, era qualche anno più grande di Vivian e aveva già terminato l'università. Marcus invece era stato infilato in un collegio nei paesi bassi, non aveva idea di cosa studiasse e perchè.

Nessuno le aveva chiesto dove fosse andata, perchè non avesse chiamato e cosa fosse tornata a fare. Non le domandarono neppure di John, era possibile non sapessero? Che squallore.
Non seppe se essere felice, perchè riusciva a rendersi finalmente conto di cosa desiderasse oppure triste perchè forse stava meglio quando ignorava tutte quelle cose.

Reggeva il drink in mano e decise di non voler più sentire la propria testa, quindi stordí i pensieri con l'alcol e poi finirono inevitabilmente nella camera di Marcus, lei ed Em se ne stavano sedute sul letto mentre lui svuotava un tavolino per fare spazio.

Ma che diavolo stai facendo Vivian.
Ormai l'alcol era riuscito a far sembrare qualsiasi cosa fantastica, o almeno cosí sopportabile da sembrare giusta.

Quasi le piaceva tutto quel fare la cosa sbagliata, spingersi sempre oltre il limite solo per vedere cosa ci fosse dopo, cosa succedeva.
La prima a tirare su con il naso la polverina bianca fu Emily, poi Marcus, poi fu il turno di Vivian.

Non farlo.
Stava sbagliando, e decise di sbagliare solo per mettere a tacere la voce dentro di lei che ogni tanto le suggeriva di fare la cosa giusta.

Cazzo.
La sensazione fu fantastica, si sentiva contenta come non lo era da tempo, prima dell'Italia, prima di tutto. Forse cosí felice non lo era mai stata, prese a ridere e a ballare da sola mentre la musica le arrivava ovattata alle orecchie, Emily la seguí e girò su se stessa fin quando non le venne l'affanno.
Fin quando il mondo non le sembrò un minimo più interessante. Faticava a tenersi su con i tacchi ma non volle toglierli, si sentiva una strafiga quando li indossava.

Chissà cosa direbbe Michael se me li vedesse addosso.
Si morse la lingua, tutto quel casino, la droga, l'alcol, la festa e ancora pensava a lui? Doveva toglierselo dalla testa. Le sembrava che per colpa sua non riuscisse a godersi quella dannata serata.

Emily iniziò a barcollare e prima che potesse fermare la sua danza corse in bagno, quello interno alla stanza di Marcus per vomitare. Vivian si affacciò per controllare che fosse viva, aveva solo bevuto e danzato troppo.
Si posò sullo stipite proprio all'uscio della porta. Le ricordò Martina, le venne da sorridere ma poi si spense subito, ancora lui. « Em, tutto bene? »
« Si, si. »
Non ebbe bisogno di ulteriori conferme, e a quanto pareva neppure il fratello il cui centro principale d'interesse era divenuto la nuova arrivata.

Vivian lo squadrò da capo a piedi, i capelli biondi lo facevano sembrare uno straniero affascinante, gli occhi languidi bramavano di poterla baciare. Glie lo si leggeva in faccia di cosa avesse bisogno.
Le spalle larghe erano coperte da una camicia azzurrina cucita su misura, i pantaloni satoriali gli cadevano a pennello sulle gambe lunghe e, Vivian ricordava, muscolose.

Erano finiti a letto insieme un paio di volte, soprattutto da piccoli per rendere divertenti i pomeriggi senza nulla da fare, pieni di amaro e delusioni causate da genitori apatici e insensibili. Vivian non era mai stata con qualcuno che desiderasse davvero, solitamente lo faceva per divertimento, per puro piacere.

Marcus le si avvicinò e sentí tutto ad un tratto il calore che emanava, perfino il suo profumo sembrava attraente.
Forse il modo migliore per scordare Michael era provarci con un altro, lasciarsi andare.

Gli sorrise maliziosamente e lui prontamente si avvicinò ancora di più e la baciò, subito fece scontrare i loro corpi mentre l'avvolgeva con le braccia in una morsa passionale.
Le loro lingue si trovarono presto e sebbene all'inzio fosse elettrizzante, sebbene lui sapesse indubbiamente dove mettere le mani per soddisfare Vivian a lei sembrò tutto vuoto.

Si staccò da lui. « Non mi va. »
Lui rimase con le mani sulle gambe snelle di lei, glie le accarezzava piano ma senza trasmetterle nulla. « E perchè? »
Voltò il capo di lato. « Sono stanca. » Una scusa decisamente poco credibile dopo aver fatto uso della sostanza più elettrizzante di tutte. Semplicemente non aveva voglia.

Nel momento in esatto in cui le loro labbra si erano toccate Vivian l'aveva odiato solo per non essere un altro, perchè non era Michael. Tutto quello che non fosse lui le sembrava spento e disgustoso, una tortura senza fine.

Marcus mugugnò qualcosa di incomprensibile e allontanò le mani dal corpo di Vivian, come se all'improvviso gli facesse schifo. « Certo che sei strana Archibald. »
« Solo perchè non voglio dartela? » Infastidita sibilò quelle parole spinta da un'energia che normalmente non avrebbe mai avuto. In realtà si sentiva una merda ma piuttosto che ammetterlo peferiva attaccare e ferire chi non aveva colpe.

« No, Vivian, anche se pensi che siamo tutti dei coglioni si vede che hai un casino in testa. »
« Io— » Rimase sorpresa, non si aspettava quello slancio di emotività e non si sarebbe mai aspettata di dover reagire a delle parole tanto profonde di Marcus, l'aveva colpita per bene. « Io non ho un casino in testa! » sbottò furiosa, aggiustandosi con le mani l'orlo del vestito stropicciato. « E non penso che siate tutti dei coglioni. »
Lui si mise a ridere, scosse il capo e andó a sedersi sul letto, davvero quello che aveva detto Vivian era cosí assurdo?

« Non te ne accorgi neanche, ah? »
« Di cosa? »
« Tratti tutti come se fossi superiore, come se tu vivessi in un mondo e il resto dell'umanità in un altro. »
Che diavolo stava farneticando? Le parve di sentire la descrizione di come lei vedesse la sua famiglia, davvero agli occhi degli altri lei era cosí? Aveva passato la sua esistenza a disprezzare gli Archibald, per rendersi conto che forse lei non fosse altro che una di loro.
Non era possibile. « Lo fai da sempre, anche quando eravamo piccoli. » Continuò a parlare preso ormai da un vortice di frenesia che gli impediva anche solo di mettersi a sedere più rilassato. « E questa cosa ti rende anche affascinante, lo ammetto, mi piacevi per questo. Tutti volevamo provare a vedere come fosse vivere come te, solo che è una merda. »

« Io— » Non sapeva cosa dire, scivolò a terra e si tolse finalmente i tacchi fastidiosi, che scena patetica. « Io vivo come cazzo mi pare, e non ho mai chiesto a nessuno di provare a capirmi, non capisco perchè cazzo la gente muoia dalla voglia di entrare nella mia testa. Non costringo nessuno a venirmi dietro, se qualcuno vuole farlo è un suo problema. » Vivian, ma che stai dicendo?

« Lo vedi? Ancora quell'aria di superiorità del cazzo, non puoi trattare la gente di merda e aspettarti che non ti odi, Vivian. »
Serrò i denti e cercò nella stanza qualcosa su cui affondare lo sguardo rovinato e lucido, era cosí incasinata che parlava la maggior parte delle volte tirando fuori l'opposto di quello che volesse realmente dire. Come se ci provasse gusto ad autodistruggersi.
Perchè sei cosí?
A volte le sarebbe piaciuto entrare nella propria testa per mettere in ordine tutte le cose che non amdassero, ma non si poteva fare. « Sono venuta qui per divertirmi, non per una lezione del cazzo su come si trattano le persone. »

Dopo quella sentenza, si alzò, raccolse le proprie scarpe e la borsa, lui la osservò mentre se ne andava via, Emily era ancora chiusa in bagno a farsi passare il senso di nausea e Vivi era abbastanza certa che non avesse udito nulla di quella conversazione straziante.
Le parole di Marcus furono per l'americana uno schiaffo in pieno volto, pensava di essere migliore di tutti, ma lo era davvero?

Camminò fino all'ingresso e ricordò che dovesse recuperare il cappotto, richiamò la stessa domestica che la guardò decisamente stranita. Doveva avere proprio un aspetto orribile.
Pazienza.

S'infilò il cappotto largo e ringraziò di avere un autista che per tutto il tempo l'aveva aspettata fuori. Lo raggiunse e si fece aprire la porta dell'auto. « Tutto bene signorina? »
Vivian gli rivolse una breve occhiata e poi alzò le spalle, prima di rifugiarsi all'interno dell'auto calda. « Alla grande. »
Quando fu finalmente seduta e rilassata si concesse uno sguardo alla città di notte fuori dal finestrino, era deprimente ma aveva comunque qualcosa di magico.

Squillò il cellulare dentro la sua borsa e la disturbò mentre fantasticava su una vita diversa, e rifletteva sulle parole di Marcus.
Era Michael.

Non so che ore siano lí, comunque buonanotte.

Strinse le labbra e lasciò cadere la testa all'indietro, non doveva andare cosí, era tutto sbagliato. Le parole di Marcus le risuonavano nella testa e la perseguitavano incessantemente.

Merda Vivian.
L'hai proprio combinata grossa stavolta.
Marcus aveva ragione.

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