Capitolo 5

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Quando sgattaiolò fuori di casa erano le nove e trenta circa, le scarpe da ginnastica saltellavano velocemente sui gradini del palazzo antico fino a condurla giù, prima di uscire aveva sostituito la felpa malconcia con una magliettina di cotone nera. Il felpone se l'era portato dietro comunque, non si sapeva mai. Avere freddo era l'ultima delle sue paure e anche l'ultimo dei suoi problemi, in quel momento, tuttavia ridurre al minimo i possibili fastidi le sembrò un'idea ottima.

Aveva il cellulare in una tasca e il portafoglio vuoto nell'altra. Non si era portata dietro borse, anche perchè all'università non erano utili per cui tutte le sue belle e costose Vuitton, Chanel e qualsiasi altra marca costasse troppo per le persone normali erano segregate in casa del fratello maggiore.

Quella roba non mi serve.
Era curiosa di scoprire la città, mentre camminava fino al locale dove sperava di lavorare ne approfittò per guardarsi intorno, tutto era antico e maestoso, pieno di storie da raccontare. Perfino il pavimento su cui stava camminando, aveva vissuto mille epoche, mille vite, e adesso si ritrovava ad essere calpestato da un'americana squattrinata ed esiliata dalla propria famiglia.

Erano tutti cosí eleganti, ma non si sentí a disagio in tuta: finalmente poteva bellamente fregarsene di dover mantenere un profilo decente solo per non far sfigurare quella mummia di sua madre, e John.
La moglie di John era italiana eppure ci avrebbe scommesso, che quella città come la stava osservando lei in quel momento, non l'avevano mai vista.

Il sole splendeva alto nel cielo e le nuvole si nascondevano tra i palazzi storici del quartiere. Finalmente arrivò nella via indicata, era piccola ma caratteristica, a terra c'erano tante pietre a formare un pavimento rustico, sui marciapiedi una serie di tavolini di legno come li aveva già visti arrivando, decoravano l'ingresso dei vari locali.
Qualcuno faceva colazione, qualcuno prendeva solamente un caffè, un cappuccino.

Controllò il numero civico, ventuno.
Spostò lo sguardo sui numeretti vicino alle varie caffetterie e bar, ristoranti. Finalmente potè fermarlo su quello giusto, un locale molto semplice, nascosto in una nicchia sotto un balcone di un palazzo che ora era diventato un museo, o qualcosa del genere. Per entrare si doveva scendere di un gradino, Vivian fece un profondo respiro e si tuffò in quella nuova avventura.

Quando entrò non c'era quasi nessuno, pensò fosse meglio, cosí non avrebbe disturbato troppo il capo nelle ore più impegnative della giornata. Subito di lato c'era un espositore in vetro con dietro un bancone di legno dove preparavano evidentemente dei panini con gli ingredienti del giorno. Era pieno di posti cosí a Firenze, le erano sembrati tutti buonissimi e se avesse avuto soldi da spendere ne avrebbe provato volentieri uno.
A terra le mattonelle marroni rendevano il posto familiare, anche se i tavoli li trovava abbastanza moderni, un contrasto interessante, elegante.

Sul muro alla sinistra delle vetrate ampie davano sulla strada, sulla vita delle persone che andava avanti. S'immaginò di poter fare la turista per qualche giorno, non poteva.

« Buongiorno, posso aiutarla? » Le si presentò davanti una ragazza sorridente, portava i capelli legati in una coda alta, probabilmente pensava fosse davvero una turista.
« Salve, sono Vivian, la ragazza del lavoro... l'amica di Lorenzo. »
« Allora chiamo subito il titolare. » Le rivolse un sorriso cordiale che le ricordò tanto i sorrisetti che sfoggiavano i suoi familiari in qualsiasi occasione, Iv ricambiò inclinando di poco il capo da un lato, la coda bionda oscillò spostandosi dietro la sua testa.
Decise nell'attesa di legarsi la felpa in vita, iniziava a far caldo.

Dopo un po', da una porta dietro il bancone in legno venne fuori un uomo di mezza età, abbastanza alto e ben piazzato, aveva i capelli scuri e ricci, gli occhi marroni e lo sguardo decisamente troppo indagatore.
Si sentí squadrata da capo a piedi, tuttavia vi era abbastanza abituata: non era cosa nuova giudicare le altre persone nel luogo da cui era scappata, anzi, era proprio la prassi. Vivevano secondo un meccanismo contorto che poteva scommetterci, in qualche modo si era insinuato anche nella sua testa.
Infatti notò subito le occhiaie dell'uomo, i capelli disordinati segno che non avesse dormito, aveva problemi di insonnia? La barba era incolta e questo voleva dire che probabilmente aveva problemi più grossi che l'insonnia, in mala fede pensò che c'entrasse qualcosa Lorenzo ma si maledí subito.
Non erano tutti come gli Archibald, stava cercando di scoprire un mondo in cui loro non esistessero, doveva per forza esserci di meglio.

« Viviana? »
« Vivian. » Ma perchè sbagliavano tutti. L'uomo si avvicinò a lei oltrepassando l'espositore. Si sentí sovrastare ma non ebbe paura, aveva ben altro da temere piuttosto che un capo severo.
Lui grugní, questa volta Iv non seppe dire se fosse stanco o scocciato. « È uguale. »
Parlava un'italiano che non capiva, eppure fino ad ora Vi non aveva mai avuto problemi, doveva essere una sorta di dialetto, da quello che le aveva detto Lorenzo e sapeva, in Italia si parlava in modo diverso a seconda delle regioni, pur parlando sempre italiano. All'inizio le sembró una cosa inpossibile. Ora capiva cosa intendesse.

« Io sono Luca, il tuo capo.
Parli italiano? » Aveva i capelli brizzolati e un'aria burbera.
« Abbastanza. »
« Allora ti metto a prendere le ordinazioni, mi servono giovani per il turno di notte. »
Tutto qui? « Lavorerai dalle undici in poi, inizi domani.
Martina ti darà la divisa. »
Vivian annuí, l'uomo si mise le mani sui fianchi come per ritrovare un equilibrio perso per qualche istante e ritornò in quello che doveva essere il suo ufficio.
Non le aveva fatto nessuna domanda, nessun colloquio. Non sapeva neppure quali fossero i suoi tavoli.

Rimase in silenzio, forse non c'era nessuna divisione dei tavoli, forse le avrebbe spiegato tutto la ragazza di prima. Si sentí a disagio ma ancora non si preoccupò, aveva passato tutta la vita a sentirsi a disagio, almeno qui era una cosa normale.

« Ciao, io sono Martina, piacere di conoscerti. » Le allungò un braccio per presentarsi, Vivian capí solo dopo qualche secondo che volesse le stringesse la mano. « Ciao, piacere, Vivian. Non è che potresti spiegarmi un po' meglio cosa devo fare? »
« Mi piacerebbe, ma non ne ho idea, di solito Luca cambia idea in base a come si sveglia la mattina. Comunque penso che ti darà solo un paio di tavoli da servire, almeno per adesso che sei all'inizio. » Alzò le spalle, arricciando le labbra sottili.
Indossava una maglietta nera con il logo del locale, L'Antica Botte, non era certa di conoscere il significato di quelle parole ma poco le importava. « Seguimi, ti do la maglietta e il grembiule. » Con un cenno del capo le intimò di seguirla, si voltò dandole le spalle e camminò fino ad uno sgabuzzino in cui tenevano scope, roba per pulire e altre cianfrusaglie come vecchi utensili e coltelli. Lo usavano per poggiare praticamente qualunque cosa non sapessero dove mettere.
Su uno scaffale erano impilate una serie di magliette nere, Martina la squadrò. « A te ti ci vuole una small. » Poi si alzò sulle punte e prese a frugare per cercarne una adatta a Vivian.
« Mi va bene anche una media, tanto sono alta. »
« Garberebbe anche a me, ma il capo ci vuole tutte in tiro e striminzite in taglie mini. »
Vivan rimase sconvolta, non le era mai stata imposta una cosa del genere, aveva sentito tante volte parlare di questo genere di problemi che affliggevano il mondo femminile ma ci si era sempre fatta una risata sopra: anche quando a cena qualche imprenditore si lamentava delle sue dipendenti, quando lo facevano i genitori dei suoi amici.
Si sentí un oggetto e capí finalmente tante cose che probabilmente le sarebbero rimaste incomprensibili se non si fosse mai trovata a vivere in quel modo.
Notando il silenzio della bionda l'italiana parlò ancora. « Non è un uomo cattivo, purtroppo funziona cosí ovunque. » Volle tranquillizzarla anche se di normale in quei discorsi non c'era niente.

« Certo, tanto è solo una maglietta. » E invece non era solo una maglietta, ma decise di non fare problemi. Le serviva un lavoro a tutti i costi, capí finalmente anche questo: si era sempre domandata perchè le persone si lamentassero tanto di lavori che non amavassero fare, dall'alto della sua posizione si era sempre risposta che fossero solo pigre e stupide.
Invece si sbagliava, la vita era difficile.

Martina sfilò finalmente fuori dal mucchio una maglietta per l'americana, glie la porse velocemente quasi come se volesse sbrigarsi. Ci pensò solo dopo che stava effettivamente lavorando e perdendo tempo per stare appresso alla bionda. « Grazie. »

« Io devo tornare in sala, ci vediamo Vì. » Sorrise a quel nomignolo, le piaceva.
Rimase qualche secondo in più nello sgabuzzino, da sola, aprí la maglietta e la guardò per bene come ad essere certa che stesse accadendo tutto davvero: aveva un lavoro, una nuova vita e tutto quello che sarebbe successo da lí in poi, sarebbero state solo conseguenze delle sue scelte.
Ripiegò l'indumento di cotone e tornò in sala, il posto iniziava già a riempirsi, osservò bene la gente seduta ai tavoli alla ricerca di un cameriere, sorrise.
Presto sarebbe potuta andare lei ad aiutarli. Non era agitata, non aveva troppa ansia, anche se era consapevole di doversi impegnare al massimo per mantenere quell'occupazione. Le servivano soldi e quelli che aveva messo da parte erano quasi completamente finiti, probabilmente per qualche sera avrebbe saltato la cena ma non le importava.

Camminò verso l'uscita e prima di abbandonare definitivamente il locale si guardò dietro, come a controllare che non vi fosse nessuno da salutare, ancora. Per controllare che non fosse tutto un sogno.

Se avesse avuto qualche euro in più sarebbe sicuramente andata a festeggiare, ma non aveva niente e si chiese cosa si potesse fare senza soldi.
Prese il telefono e cercò dei posti da visitare, quello più vicino -e gratis- era Piazzale Michelangelo.

Camminò da sola per le vie antiche della città, sembrava venita fuori da un quadro, pittoresca ma moderna, ricca di storia ma viva. Pensò che solo uno stupido potesse desiderare di andarsene da quel posto magico, guardò le vetrine dei negozi, oltre a quelli di lusso era pieno di botteghe di artigiani: alcuni specializzati nella produzione di articoli in pelle, quindi nella lavorazione della stessa, altri sarti, facevano abiti su misura di quelli che il fratello e suo padre adoravano. Non avevano niente che non fosse di sartoria, per Vivian quella era sempre stata la normalità. Si rese conto solo in quel momento di quanto fossero esagerati i prezzi di quella roba: con il suo stipendio non si sabbe mai potuta permettere neppure mezzo paio di scarpe di quelle che aveva lasciato a casa.
Neanche un paio di Jimmy Choo, una borsa di Valentino, un abito di Versace.

Come fa chi non ha tutti quei soldi?

Si rispose da sola, immaginando che vi fossero dei negozi in cui vendevano abiti carini a poco, solo che lei non c'era mai entrata.

Continuò a camminare fino ad un'ampia scalinata, la percorse tutta senza fretta e poi finalmente arrivò a destinazione: il posto era magnifico, c'era una grande piazza panoramica da cui si vedeva tutta la città, il duomo, la cupola, tutte le vie e la gente che affannosamente viveva la sua vita.
Si avvicinò alla ringhiera e prese un profondo respiro, aveva passato vent'anni convinta di guardare tutti dall'alto, invece si era persa il meglio.

Vi fu un attimo di silenzio in cui tutti i suoni intorno a lei si fecero ovattati, era dannatamente rilassante. A rompere la magia di quell'istante il suono del cellulare: rabbrividí, chi poteva cercarla a quell'ora? Non aveva grandi amici e all'università aveva legato solo con Lorenzo.

Infatti, era un suo messaggio.

Ehi, come va?
Non mi hai più scritto, sei ancora viva, vero?
Come ti trovi? Tutto bene?

Sorrise, era cosí dolce che tante volte aveva pensato di non meritarlo, da quando era arrivata a Firenze non aveva avuto il tempo di pensare a lui neppure un secondo. Non le era mancato tanto quanto aveva pensato.
Si sentí in colpa.

Guarda dove sono.
Gli inviò subito una foto del panorama, si sentí una turista a tutti gli effetti. Passò una brezza di vento a scompigliarle i capelli mentre girava il telefono per farsi un selfie, non riusciva mai a fare uno scatto che fosse decente.

Vorrei essere lí con te.
Questa volta Vivian non sorrise, piuttosto storse la bocca. Lei invece no, stava divinamente per conto suo. Si chiese se davvero ci tenesse a lui oppure si fosse aggrappata all'unica persona decente che avesse trovato prima di fare ciò che realmente volesse.

Forse lui provava delle cose che Vivian non era capace di provare, di sentire, figuriamoci dimostrare. Non rispose, non sapeva cosa dirgli.
Le mandò una foto dei libri di economia.

Che noia! 🥱🥱

Fortunatamente cambiò discorso, forse aveva capito.

Non ti invidio per niente!

Bloccò il cellulare e tornò a perdersi nella bellezza del panorama, non aveva voglia di parlare con Lorenzo, adesso che aveva ritrovato se stessa non aveva bisogno di nessuno.
Era crudele da ammettere ma le sembrava proprio di essere in pace con il mondo, con la sua anima e con il suo cuore.

A Natale ci vediamo, vero?
Giusto, Natale. Si morse il labbro inferiore tirandolo tra i denti, era l'amico migliore che avesse mai avuto, eppure le sembrava di illuderlo.
Aveva sempre messo in chiaro che non fossero niente, e allora perchè si sentiva un verme?

Certo, quest anno niente cene in famiglia per me.

Potresti venire da me, visto che ci sei.
Che cosa? Forse scherzava, era chiaramente ironico. Sgranò gli occhi smeraldo, ferma con lo sguardo su quella proposta discutibile, era forse impazzito?

Scherzo, scema.

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